BENVENUTI NEL TERZO MONDO - IL GIORNO DOPO L’ATTACCO ALLA CASERMA DEI CARABINIERI, A SECONDIGLIANO LA GENTE SOLIDARIZZA (MA NON TROPPO): “UN GIUDICE NON CI PUÒ TOGLIERE I FIGLI, NON DEVE METTERE LE MANI SULLE CREATURE”
Conchita Sannino per “la Repubblica”
RIONE TERZO MONDO SECONDIGLIANO NAPOLI
Cancelli. Ovunque cancelli. Bocche cucite e vetri a terra. Inferriate e porte blindate. In caserma, nelle associazioni di volontariato, perfino nella scuola elementare incontri catene e lucchetti. E il suono di questi ferri che si aprono o si sprangano, sopra il silenzio di un giorno di “guerra”, è la voce della paura che convive col resto. È come se lo Stato si adeguasse, per poter operare in certe frontiere.
A Secondigliano, cuore di Napoli nord, la stazione dei carabinieri finita sotto il piombo dei criminali, ha un uscio che sembra quello delle illustrazioni di antiche segrete ottocentesche. Un minuscolo portoncino nero in ferro, nel quale puoi entrare ma esci soltanto se il militare di turno al primo piano decide di aprirti dall’alto. Una zona che chiamano “il terzo mondo” da sempre, ufficialmente è il Rione dei fiori: ma anche la toponomastica si adegua.
«Non c’è alternativa — fa spallucce un brigadiere — Ero abituato alle caserme con la porticina leggera, al nord. La maggioranza dei nostri “utenti” hanno problemi con la giustizia, alcuni poveracci, altri criminali, comunque scappano da qualcosa o da qualcuno: uno sfratto, le tasse non pagate, il carcere o la pistola di un rivale di clan».
Una palazzina a tre piani e in cima un maresciallo, giovane, asciutto, stipendio di poco più di 2mila euro, che da ieri risponde solo con un sorriso muto — e teso — a chi gli chiede come si faccia a lavorare qui dentro, come si possa spalancare un edificio sapendo che a mezzanotte uno dei tuoi ha rischiato la vita pur essendo al riparo, pur lavorando al di qua del fortino.
Una raffica di striscio, i colpi di kalashnikov esplosi dalla “paranza” di ventenni- boia, una batteria di giovanissimi killer, per sferrare la sua sfida alle istituzioni. Con un messaggio che suona più o meno così: “Un giudice non ci può togliere i figli, la legge si deve fermare alle condanne, non deve mettere le mani sulle creature”.
Intorno i motorini, gli occhi, la ferocia di ragazzi diventati già boss ma invisibili. E i ragazzi-carabinieri sanno che i ragazzi-boia li aspettano là fuori. Certo, non c’è la faida che fece 60 morti di dodici anni fa, non c’è la pulizia etnica di un clan contro l’altro — come avvenne quando a due passi da questa caserma, il regno del boss Paolo Di Lauro fu sconfitto dai suoi colonnelli, gli scissionisti della famiglie Amato e Pagano.
Ora, qui fuori, c’è l’assedio più imprevedibile e sottile che un generale dei carabinieri, il comandante Antonio De Vita venuto a stringere la mano a suoi militari sotto attacco, chiama «la camorra liquida ». «Quest’azione così vile dimostra anche che la nostra attività sul territorio è incisiva, e le nostre azioni continueranno, più martellanti di prima», premette.
Ma sa altro, sa (quasi) tutto, De Vita, dieci ore dopo l’attacco. Come i magistrati in Procura. Sanno che erano almeno in quattro, che sono scesi da due scooter, il volto coperto e i mitra impugnati sotto le telecamere per lanciare una sfida. Il comandante spiega: «A sparare sono stati, immaginiamo, i giovani delle “paranze” di cui avete parlato tante volte. Ragazzi ai quali mi sento di dire: deponete le armi, la vita non è un videogioco».
Il generale saluta i suoi, sotto si fermano a solidarizzare alcune mamme: «Ci dispiace, non è giusto, voi lavorate per la sicurezza». Voci isolate. Il resto è silenzio, gente che si rintana. Il presidente di municipalità che è più grande di una media cittadina, 110mila abitanti tra Secondigliano e dintorni, Vincenzo Solombrino, ricorda che «accanto alla criminalità qui c’è un problema enorme di povertà.
Famiglie che non sanno come andare avanti, e fanno figli che non sanno dove andare a lavorare, e magari non vanno a scuola perché non ci credono che serva a qualcosa». Proprio in una scuola, la “Parini”, a pochissimi metri da qui, nel 2014 è venuto Matteo Renzi. Il tweet del premier di quella giornata, «La lotta alla camorra parte da qui, scuola di Secondigliano», fu il loro orgoglio per settimane.
«Poi non è cambiato molto. La ristrutturazione promessa in quella scuola non è stata portata fino in fondo. E si guardi intorno: i carabinieri asserragliati, la gente ha paura, lo sente questo silenzio? E qui ci sono tre scuole».
Dalle finestre dell’istituto Berlinguer, materna, elementare e media, si vede la stazione dell’Arma colpita dai mitra. Dentro, due insegnanti, Enza De Vincentis e Carmen Russo, un quotidiano fatto anche di ragazzi problematici. Loro attraversano l’istituto e ti accorgi dei corridoi, le aule, le segreterie, i laboratori tutti protetti da inferriate e catenacci. Persino il custode ti richiama con cortesia: «Il cancello dell’ingresso...No, non accostarlo. Chiuderlo».
«Su 900 allievi — spiegano le due prof — almeno il 60-70 per cento hanno problemi di varia natura e famiglie disagiate. Vari furti, raid, e le sparatorie sono un elemento del loro crescere. L’altro giorno hanno ucciso un pregiudicato, e li sentivamo parlare in classe di questa persona, lo difendevano, dicevano che se lo aspettava, lo sapeva che lo avevano condannato a morte».
Però, sorridono, «guardi che da qui sono usciti anche ragazzi laureati in Fisica e Ingegneria. Casomai la sfida è non penalizzare la normalità, non far ricadere le colpe di tanti sul merito e il talento di chi vuole farcela». Ma la speranza va protetta dietro alti cancelli.