Emanuela Zuccalà per D-la Repubblica
Entrando al ristorante per cenare da soli, può capitare, oltre a sentirsi addosso gli occhi dei clienti, di avvertire nel quesito del cameriere: «Tavolo per uno?», un impasto di pietà e derisione. Occupare lo spazio pubblico da spaiati emana tuttora un' aura di disagio e sfortuna.
A meno che non si prenoti all' Eenmaal di Amsterdam, il primo ristorante al mondo arredato a mono-tavoli, la singletudine può essere percepita come autentico difetto sociale. Lo sostiene la sociologa israeliana Kinneret Lahad, che sta per pubblicare un libro non a caso intitolato A Table for One (Manchester University Press): «Soprattutto la donna sola e over 40 appare anomala, crea sospetto», dice Lahad, «come se la società le chiedesse tacitamente di rendere conto della sua situazione».
Secondo l' esperta, la mestizia irradiata dal pasto solitario è allegoria perfetta dello stigma sociale che s' ostina ad abbattersi su ogni singleness, ma in particolare su quella femminile, più statisticamente rilevante. Che è diversa sia dal dating alla Sex and the City, sia dalla bulimica ricerca d' amore alla Bridget Jones, ma può essere status permanente, non sempre volontario, di chi per mille ragioni non aderisce ai modelli di coppia e di famiglia. Le occasioni per sentirsi puntare contro una luce pietosa o giudicante variano dalla cena in solitaria al biglietto per uno al cinema e a teatro.
Fino all' imbarazzo delle feste in cui si è gli unici privi di partner, attorniati da coppie e famiglie, con gli amici che si sentono in dovere d' invitare un altro single allo scopo di elidere le differenze o, peggio, d' intessere nuove relazioni a caso pur di salvare i solitari da una condizione avvertita come innaturale.
Per Kinneret Lahad, sebbene la discriminazione colpisca entrambi i sessi, è soprattutto il vetusto cliché della signorina attempata a essersi calcificato in una «categoria culturale indecifrabile, trascurata persino dalla letteratura femminista. Poiché la famiglia resta ovunque il metro di misura, il numero uno sfugge alla comprensione, e la percezione della single come anomalia può causare in lei depressione e senso d' inadeguatezza allo spazio pubblico. È un nervo scoperto delle nostre società».
Non solo: la delegittimazione dei single è un paradosso, poiché era dal Baby Boom che non assistevamo a una rivoluzione demografica di simile portata. In Italia le "famiglie unipersonali" - così le chiama l' Istat, con espressione dal suono già artefatto - rappresentano oggi il 31,3% dei nuclei familiari: un' impennata del 12,9% dal 1971. Sono quasi 8 milioni, al 58% donne e in maggioranza over 45, con una forte presenza (il 47,4%) di ultra 65enni. In Europa 16 Paesi ci superano. Negli Stati Uniti i single sono oltre il 50%.
In un decennio, i single sono cresciuti del 40% persino in India (il primo ministro Narendra Modi è fra loro), dove ha dato scandalo il libro La sacerdotessa non si sposa mai di Sharanya Manivannan (HarperCollins): un dissacrante j' accuse al patriarcato che, per le donne, non concede eccezioni ai ruoli di moglie e madre.
Percepiti come deviazioni dalla norma, i partner-free sono bistrattati anche economicamente. In Italia, secondo l' Ocse, la mancanza di sgravi fiscali fa sì che versino in tasse il 49% del reddito, contro il 39,9% delle coppie con un figlio. Negli Usa «i coniugati accedono a più di mille benefici federali, al contrario dei single», sottolinea Bella DePaulo, psicologa all' Università della California e teorica del singlism: una tipologia di razzismo più pervicace e subdola di altre poiché introiettata come lecita. «Ammettiamolo», aggiunge DePaulo: «Si presuppone che noi single siamo tutti immaturi, disadattati ed egocentrici».
Al di là di vedovanze, separazioni, nubilati e celibati, le statistiche non ci dicono quanti rifuggano la coppia per scelta, nell' intervallo fra due relazioni, per necessità, per traumi da tradimento o semplicemente da convivenza. Il che segna differenze non da poco, così come il vivere da single a Milano, in provincia o nel Sud Italia, dove le alternative alla famiglia classica restano marginali. «Mi chiedono: "Che problema hai?"», confida Nunzia Marciano, 35enne giornalista al Canale 8 della Campania, la regione con la presenza più esigua di "famiglie unipersonali": appena il 25%.
Infatti il libro di Marciano Single per legittima difesa (Polidoro) è un caso editoriale a Napoli e dintorni. «Preferisco una buona lettura e un bicchiere di vino a un uomo al quale dover controllare il cellulare», sorride l' autrice. La sua è una duplice autodifesa: dagli approcci maschili sgradevoli, certo, ma prima ancora «dalle pressioni sociali che ci vogliono per forza in coppia e con figli» chiarisce. «A Napoli, una donna che vive sola è un' aliena».
Milano è invece la capitale italiana dei single: sono il 52,8% dei nuclei familiari e hanno quasi stracciato l' etichetta dell' identità difettosa. Con un' eccezione: «Se sei una donna sola con figli, gli sguardi variano dalla commiserazione al giudizio, come se avessimo stampato in faccia il fallimento», osserva Gisella Bassanini, madre mai sposata e presidente dell' associazione Small Families, che preme sulle istituzioni affinché s' accorgano dei 2,5 milioni di monogenitori italiani. «Una legge lombarda ci riconosce sostegno economico solo se siamo stati sposati. In hotel i nostri figli pagano come gli adulti perché lo sconto famiglia prevede due genitori. Siamo trattati da ingranaggi rotti, quando invece sarebbe ora di affrontare seriamente il mutamento sociale consolidato».
Un' esigenza reclamata anche dalla sociologa dell' Università di Milano-Bicocca Graziella Civenti, che nel libro Una casa tutta per sé (Franco Angeli) intervista 250 donne ultra 45enni che abitano sole nel capoluogo lombardo. E impongono una domanda: «Quando invecchieranno, e saranno sempre di più», si chiede l' esperta, «quali politiche sociali e abitative attueremo, in un Paese con un welfare basato solo sulla famiglia?».
Intanto, però, «queste signore sono attive nel volontariato, con solide reti amicali, soddisfatte dello stare per conto proprio. Alcune hanno già giocato le partite della vita, come il matrimonio e i figli, e i loro percorsi identitari sono stati più ricchi rispetto alle generazioni precedenti. Arrivano quindi alla singletudine con un nutrito bagaglio di esperienze e consapevolezza. E se i momenti di malinconia esistono per forza, insieme alla pesantezza di gestire da sé la quotidianità, quasi nessuna cambierebbe la propria situazione».
Contro l' angoscia del table for one, dunque, il single può pure essere felice, come argomenta il best-seller Going Solo (Penguin) del sociologo della New York University Eric Klinenberg. Per lui, mentre le coppie tendono a isolarsi, gli spaiati sono invece molto social, sia nel mondo virtuale che in quello reale. Ma i single di Klinenberg (che infatti è sposato con figli) sono provvisori, poiché il fine sempre sotteso è accasarsi: «Vivere solo ti permette di tornare sui tuoi passi», suggerisce per esempio, «di capire chi sei e cosa vuoi dalla tua prossima relazione».
«In realtà esiste un' unica categoria di single infelici: quelli che non stanno bene con se stessi», constata la psicoterapeuta Maria Elettra Cugini, autrice di Single con gioia (Franco Angeli) e lei stessa sola dopo la separazione. «Alla prima vacanza con un' amica, ci imbarazzava l' ingresso in società nella nostra nuova condizione. Il ristorante dell' hotel era pieno di coppie e noi eravamo una specie d' attrazione. Ma l' ultima sera un signore ci salutò dicendo: "Siete le uniche due persone, qua dentro, con i volti contenti"».
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