Giuseppe Legato per ''La Stampa''
Violenza fisica psicologica, ingiurie, minacce, danneggiamenti. In una sola parola: maltrattamenti in famiglia. E lesioni aggravate. La condanna di primo grado - a 1 anno e 6 mesi di carcere senza sospensione condizionale della pena - è firmata dal giudice Giulia Casalegno. Data: 20 giugno 2016. In 10 pagine c' è il volto oscuro di Said Mechaquat, 27 anni, l' assassino dei Murazzi, l' uomo che ha ucciso Stefano Leo il 23 febbraio scorso. Che non è solo un' anima in pena perché non vede il figlio da tempo.
Ma è «un violento», uno «che aveva ridotto la ex compagna in uno stato di succubanza, costretta a subire percosse e minacce «con frequenza costante. Per sua stessa ammissione almeno tre volte al mese». Calci, pugni, nasi sanguinanti, fughe da casa e temporanee riappacificazioni. Poi di nuovo, daccapo.
Un inferno.
Quel procedimento penale che nel caso di pronuncia definitiva avrebbe condotto dritto in carcere Said - nonostante la condanna inferiore ai due anni - è fermo da due anni e mezzo.
Pende l' appello e - si apprende dal legale di parte civile - non è stata ancora fissata la data.
E pensare che in aula, la prima volta, la ex compagna Ambra B. vittima di violenze e soprusi costanti, ci era entrata il 19 febbraio 2015. Fu un dibattimento relativamente veloce: un anno e 2 mesi di condanna per l' uomo. Nelle motivazioni della sentenza c' è l' indole fin qui nascosta dell' assassino dei Murazzi. Della convivenza con la donna che gli ha dato un figlio e poi lo ha lasciato. Oggi si capisce perché.
Per 3 anni Said e Ambra hanno abitato in via Principessa Clotilde a Torino. Si erano conosciuti a novembre del 2011 ai corsi professionali dell' istituto professionale Boselli: «Eravamo innamorati, ma tantissimo» ha detto in aula. «Siamo partiti per Ibiza dove lui aveva trovato un lavoro. Quando siamo tornati, nel 2012, abbiamo deciso di andare a vivere insieme in un appartamento in affitto. La mia famiglia ci aveva aiutato a metter su casa.
Lui lavorava e pagava il canone. Ci amavamo molto anche se litigavamo spesso. Le prime volte che è capitato mi aveva dato uno spintone, poi..». Poi lui diventa ancora più aggressivo. La colpisce con schiaffi e pugni. E calci. Anche mentre è incinta. Lei che tace. I vicini di casa sentono tutto. Chiamano la polizia.
In 3 anni e mezzo le volanti faranno visita sei volte a quell' alloggio ormai ostaggio della violenza di un uomo fuori controllo. Said viene arrestato in due occasioni: a novembre 2013 Ambra viene trovata dai poliziotti in strada. E' seminuda e ha il piccolo figlio in braccio. Lui intanto sta sfasciando i mobili. «Era in lacrime e veniva soccorsa dai passanti» scrive il giudice. Verrà accompagnata all' ospedale: «Distorsioni multiple». Prognosi: 10 giorni.
Torna a casa, lui viene scarcerato. E lei lo perdona. Ricapita: di nuovo violenze inaccettabili. A Said viene imposto il divieto di avvicinamento. Lei lo accoglie di nuovo a casa.
Non cambia nulla. «Cerca anche di convincerlo a rivolgersi a una psicologa. Ma l ui non conclude il percorso».
Emerge sempre di più il profilo dell' uomo che non governa le sue pulsioni aggressive. Altre botte a fine 2013: «Ambra aveva visto in un carabiniere una figura paterna e lui l' aveva spronata a denunciare» si legge in sentenza. Non segue querela in caserma. Il giudice motiva: «Ambra, al tempo era una giovanissima donna diventata mamma inaspettatamente non capace di affrontare una situazione del genere. Di certo non era in grado per costituzione e per carattere di fronteggiare l' aggressività di Said che prevedeva sistematicamente la risoluzione delle discussioni attraverso l' uso della violenza a senso unico».
E poi «si è innamorata e in uno stato di succubanza che si manifesta attraverso l' assenza totale di denunce». Si lasciano nel 2014. La condanna arriva un anno dopo. Quaranta giorni fa il terribile omicidio di Stefano Leo. Ambra è sullo sfondo, si è rifatta una vita con un altro uomo. E forse Said voleva uccidere lui.