1. IL PRESAGIO DI ALESSANDRA «HO SEMPRE IL TERRORE DI SCATENARE LA SUA IRA»
Antonio Borrelli per "Il Giornale"
Colpi multipli alla testa e diverse ferite al torace. Così è morta Alessandra Matteuzzi, la 56enne uccisa a colpi di martello, mazza e panchina di ferro dall'ex compagno Giovanni Padovani, ora in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dallo stalking. A confermarlo è l'autopsia sul corpo della donna, deceduta in ospedale due ore dopo l'aggressione a causa di un'emorragia dovuta allo sfondamento del cranio.
Il peggior epilogo di un'escalation di violenza, brutalità e sottomissione che Alessandra subiva ormai da mesi.
Non ne poteva più, la donna, che aveva prima sopportato il controllo ossessivo del 27enne durante la loro relazione e poi le minacce e gli agguati quando aveva deciso di lasciarlo. A rivelarlo fu lei stessa, il 29 luglio scorso, nella denuncia-querela presentata ai carabinieri per segnalare lo stalking dell'uomo: «Il nostro rapporto si basava sempre sull'invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati.
GIOVANNI PADOVANI ALL UDIENZA DI CONVALIDA
Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell'auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata». Dopo i diverbi avuti già a inizio giugno con il compagno, Alessandra rivelava: «Tutte le volte in cui io ho accondisceso alle sue richieste è stato per paura di scatenare la sua rabbia. Alla luce di tutte le occasioni in cui è riuscito ad accedere al condominio dove abito, ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa, o quando apro le finestre». Ma il calciatore aveva costruito una vera e propria gabbia intorno ad Alessandra, attraverso la quale riusciva a controllarla e manipolarla. A febbraio, ad esempio, la 56enne scopre che le password dei suoi profili erano state tutte modificate.
«Sia le email che le password abbinate ai miei profili - raccontava agli inquirenti - erano sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a lui».
Non solo: «Anche il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono». Quando, in piena estate, Alessandra si allontana da lui e smette di rispondere al telefono, l'incubo diventa sempre più vicino: trova lo zucchero nel serbatoio dell'auto e le gomme tagliate, lui le ruba le chiavi di casa.
Poi, lo stalker parte alla volta di Bologna portando con sé un martello.
Prima di allora - rivela Matteuzzi ai carabinieri - non c'erano comunque mai state aggressioni fisiche. Solo una volta il 27enne aveva spintonato la compagna facendola cadere su un letto, in Sicilia. A metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi, «è stato più volte aggressivo nei miei confronti, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta».
GIOVANNI PADOVANI TESTIMONIAL DI UNA CAMPAGNA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
Parole che pesano come macigni, quelle pronunciate dalla vittima pochissime settimane prima l'efferato delitto, e che continueranno ad alimentare polemiche sull'effettivo funzionamento della macchina della giustizia. «Era una bella persona: forse è stata proprio questa bontà che non le ha permesso di vedere il diavolo che aveva davanti. E quando se ne è accorta ed è andata a fare la querela, era tardi», ha commentato Sonia Bartolini, cugina di Alessandra.
2. DELIRIO DI POSSESSO
Filippo Fiorini per "La Stampa"
Una rosa bianca nel tergicristallo dell'auto e un abito scuro per il funerale. Nel giorno in cui la procura ha rilasciato il nullaosta per il seppellimento di Alessandra Matteuzzi e a breve si deciderà la data della cerimonia, Stefania passa davanti all'utilitaria da cui ha sentito in diretta telefonica Giovanni Padovani che strattonava e picchiava a morte la sorella. L'auto è rimasta parcheggiata lì da martedì sera, sotto la casa di Bologna dove la donna ha subito l'agguato. Qualcuno ci ha appoggiato sopra un fiore.
Stefania tiene un vestito nero sulla gruccia, con la cura di non gualcirlo. Piove, ma ha gli occhiali da sole calati su quello che la sua psicologa, dottoressa Scalambra, definisce «uno tsunami emotivo» e «forti sensi di colpa» per non essere riuscita a salvarla dalle follie dal suo stalker.
Nell'ordinanza che convalida l'arresto per omicidio di questo ventisettenne calciatore marchigiano, si riassume il movente con «un irrefrenabile delirio di gelosia e desiderio di manipolazione», ma lei lo ha vissuto in prima persona come confidente della sorella maggiore: accuse di tradimenti inesistenti, videochiamate continue per sapere dove si trovava Sandra, un'app installata sul telefono di lei, che gli girava automaticamente i backup delle chat, il furto delle password dei social, scenate con stoviglie in frantumi, l'ordine di chiudere il profilo Facebook, tre effrazioni nel suo appartamento, due manomissioni del contatore per farla scendere in cortile quando non rispondeva al citofono, la separazione che non aveva accettato, la pretesa che gli rendesse conto di chi aveva iniziato a seguire su Instagram (in particolare i suoi compagni di squadra) e, addirittura, l'imposizione di un ultimo giorno insieme come fossero ancora fidanzati. Una visita all'ospizio in cui è ricoverata la madre di Sandra, un paio d'ore appartati in macchina, una pizza, due birre e una visita alla tomba del padre della donna, dove Padovani le ha chiesto un giuramento di eterna fedeltà.
Questi i preamboli di un delitto efferato e sostenuto da futili motivi: un primo colpo di martello probabilmente decisivo, poi calci, pugni e una panchina usata come spranga, perché non aveva risposto al messaggio della buonanotte che lui le aveva mandato la sera prima. Tra tutto ciò, il martello è un elemento che può fare la differenza in un processo dove si prospetta l'ergastolo. Sebbene Padovani se lo sia portato da casa, lo abbia nascosto in una siepe alle 18,30 quando è stato visto per la prima volta nel giardino del condominio di Sandra, non gli viene ancora contestata l'aggravante della premeditazione.
Si tratta di un aspetto che potrà essere aggiunto più avanti, ma lui intanto ha detto agli agenti che lo arrestavano di averlo portato per difendersi dalla sorella della vittima (Stefania, appunto) e dal marito, che in un'occasione lo avevano «minacciato con il crick dell'auto».
Appurato ormai che invece l'ha usato in tutt' altro modo, l'avvocato Chiara Rinaldi, che la famiglia ha nominato a propria tutela, spiega di valutare la possibilità di «contestare questa calunnia delle minacce, con una denuncia per diffamazione». Un'altra azione che intendono intraprendere i Matteuzzi è quella contro chi ha insinuato su internet che il modo di porsi e lo stile di vita mostrato da Alessandra sui social, la rendano in parte responsabile della sua tragica fine.
«È una seconda ferita che è costretto a subire chi le voleva bene - ha spiegato Rinaldi -. Non è che perché indossava un top corto o si faceva una foto ammiccante, meritava che un uomo le rompesse la testa. Ci tuteleremo in ogni sede». Alessandra aveva 56 anni, un corpo giovanile e un aspetto aggraziato. Il primo a pagare le conseguenze di un'esternazione on-line, è stato il direttore della Croce Bianca dell'Emilia-Romagna, Donatello Alberti, che aveva scritto: «Comunque anche lei come andava conciata, ovvio che il ragazzo era geloso» e per questo ieri è stato sospeso da questa cooperativa di trasporti ospedalieri e dovrà affrontare un procedimento disciplinare. Intanto, Padovani resta nella sezione per chi ha commesso crimini di genere del carcere di Bologna. Si temono rappresaglie nei suoi confronti, se fosse trasferito nel settore comune.
alessandra matteuzzi la sorella di alessandra matteuzzi 2 alessandra matteuzzi giovanni padovani bologna la strada dove e' stata uccisa alessandra matteuzzi. giovanni padovani. il sangue davanti alla casa di alessandra matteuzzi giovanni padovani 1 la sorella di alessandra matteuzzi 3