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Secondo la mitologia catto-progressista, la comunità di Bose è nata l’8 dicembre del 1965, il giorno in cui Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II indossando per la prima volta paramenti vescovili e non pontificali, con il pastorale in mano come un qualunque vescovo, sul sagrato della Basilica di San Pietro, con l’altare rivolto verso i fedeli.
Da quel fatidico giorno il fondatore di Bose Enzo Bianchi, e fino al 2017 unico “priore” della comunità, è riuscito nel non far capire a nessuno cosa avesse nella testa. Il mantra ufficiale era: siamo una forma di vita monastica.
Anzi, un forma di comunità perfetta, fatta apposta per piacere a tutti, anche ai fighetti di sinistra del Belpaese: niente separazione e piena uguaglianza tra uomini e donne, niente divisione tra confessioni cristiane, infatti, ne fanno parte cattolici, protestanti, ortodossi e luterani, niente divisione tra laici e preti perché nella comunità sono anch’essi uguali.
Ma proprio di “comunità di vita monastica” si trattava? Bianchi non è prete, si è fatto monaco e priore da sé, si è inventato una “regola di vita” mai approvata da alcuna autorità ecclesiastica perché prevede la convivenza di monaci e di monache.
Inoltre accetta cristiani di varie confessioni cristiane comprese quelle che in teoria, come i luterani e i calvinisti, della teologia cattolica su monaci, monache e monasteri ci vomitano volentieri addosso.
Forse anche per questo, a Bose seguivano leggi e liturgie (intoccabili per il resto del mondo cattolico) mischiate elegantemente con tutto quello che il pensiero dominante imponeva lungo i decenni.
Contrariamente a tutti i monaci e le monache del mondo cattolico, vanno a messa una volta a settimana. Il loro calendario è ecumenico, e le feste e i santi cattolici fanno fatica a fare capolino: quelle della Madonna quasi non appaiono, del Sacro Cuore e Corpus Domini neanche a parlarne. Però vengono inserite e pompate molte feste protestanti e ortodosse.
E non solo: Gandhi viene venerato il 30 gennaio come “giusto tra le genti”, David Livingstone il 30 aprile e Martin Lutero il 18 febbraio. Poi recitano preghiere di ringraziamento anche per Buddha, venerato il 27 novembre, ma anche per Visnù, Shiva e Maometto.
Niente di strano se la pancia cattolica sulle teorie di Bianchi sulla Madonna, Eucarestia e cose simili inondano la rete con una valanga di perplessità. Mentre i più colti hanno sommerso gli uffici dottrinali e disciplinari della Dottrina della Fede, e le denunce avrebbero subito un’impennata feroce durante gli anni di Benedetto XVI.
Quindi, in altre parole, da quando esiste, Bianchi e i suoi hanno fatto di tutto per guadagnarsi l’appellativo che il Vescovo di Vercelli dell’epoca Albino Mensa aveva affibbiato a Bose: «casa di tolleranza religiosa».
Cosa sia, realmente, nella Chiesa Cattolica la Comunità di Bose non è mai stato facile comprendere. Anzi, i molti malpensanti che inondano la rete sono addirittura convinti che del qualificativo “cattolico” a Bose facciano volentieri a meno sia il fondatore sia la novantina di seguaci, uomini e donne che sembravano accompagnarlo in questa avventura.
Sembravano, perché ormai tutti sanno che benché si attribuissero volentieri il titolo di fratello e sorella, in mezzo a loro i serpenti e i coltelli stavano strisciando e volteggiando da anni.
Nel 2014 Enzo Bianchi (allora priore) aveva già chiesto una visita da parte di persone esterne alla comunità e nel 2011 aveva dichiarato al settimanale Jesus: “Negli ultimi anni ho avuto l’esperienza della falsità, qui al nostro interno, non verso di me in particolare, ma verso tutta la comunità. Non pensavo di poter vivere, passati i sessant'anni, una tale destabilizzazione interiore da restare in alcuni momenti profondamente confuso. Non avevo mai provato questa esperienza: la cattiveria sì, la si può capire, ma la falsità non è nel mio orizzonte. È stata la prova più dura che ho sofferto nella mia vita nella Chiesa e nella vita monastica”. Ora, per subire la mazzata che ha ricevuto, quale altra cattiveria gli hanno fatto? Si tratta dei soliti abusi?