CARCERE DI TORINO LORUSSO E CUTUGNO
Avrebbero fatto finta di non sapere, o di non vedere, nonostante i racconti di alcuni detenuti e le relazioni dell’allora Garante comunale dei diritti delle persone private della libertà, Monica Cristina Gallo: per questo, il direttore e il comandante degli agenti del carcere «Lorusso e Cutugno» sono indagati per favoreggiamento (entrambi) e omessa denuncia (solo il primo). Avrebbero insomma coperto gli atti di violenza e vessazione di cui sono accusati una ventina di agenti della polizia penitenziaria, sei dei quali arrestati nell’ottobre dello scorso anno. Questa, almeno, è l’ipotesi della Procura.
La svolta
La svolta è arrivata grazie agli accertamenti del Nucleo investigativo di Torino della stessa polizia penitenziaria, che è riuscita a ricostruire la vicenda tra confidenze, sussurri, false piste e dicerie, che si aggiravano tra le mura del carcere già dall’ottobre 2018. Un’indagine complessa e complicata, in un ambiente molto difficile, sia per i detenuti che per chi, tra le celle, ci deve lavorare.
CARCERE DI TORINO LORUSSO E CUTUGNO
«Dici che sei un figlio di p...»
L’inchiesta — coordinata dal pubblico ministero Francesco Pelosi — ha messo in fila gli episodi, almeno una decina, accaduti nel braccio C. C’è chi era costretto a ripetere in continuazione «sono un pezzo di m…», chi veniva obbligato a spogliarsi e a subire in silenzio schiaffi, calci, pugni. E poi minacce, di continuo: «Tu adesso devi firmare un foglio, dove dici che sei un figlio di p…, altrimenti prendi il resto». E ancora: «Per quello che hai fatto, tu qui ci devi morire. Ti renderemo la vita molto dura, te la faremo pagare, ti faremo passare la voglia di stare qui dentro».
CARCERE DI TORINO LORUSSO E CUTUGNO
Botte, insulti, perquisizioni a vanvera, devastazioni delle celle erano diventati una routine. Davanti alla quale — sempre secondo la ricostruzione degli uomini del Nucleo investigativo — il direttore Domenico Minervini, 50 anni e il capo degli agenti, Giovanni Battista Albertotanza 46 anni, non avrebbero preso i dovuti provvedimenti. Il direttore — che ha nominato come difensore l’avvocato Michela Malerba — non avrebbe agito nonostante avesse ricevuto più di una segnalazione dal garante per i detenuti. E il comandante delle guardie — tutelato dall’avvocato Antonio Genovese — dopo essere stato informato di quanto accaduto, avrebbe aiutato i colleghi indagati.
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Accuse di tortura
Tra le ipotesi d’accusa, anche quella di aver condotto un’indagine interna arrivata a incolpare però due detenuti. Su 21 agenti, a 17, a suo tempo messi agli arresti domiciliari, è contestato anche il reato di tortura, modificato invece nei confronti di altri. Alcuni, invece, sono accusati di lesioni. Tutte le «persone offese» individuate dagli investigatori, sono detenute per reati a sfondo sessuale. Non è un mistero per nessuno — spiegò un inquirente — che all’interno dei penitenziari reati come questi destino una certa ostilità: ma qui ci sarebbero stati «trattamenti inumani e degradanti per la dignità della persona detenuta», come riassunto nell’avviso di fine indagini notificato ai due. Comportamenti che sarebbe stati «ricorrenti»: si mormorava che, alla sera, nel padiglione C, qualche divisa si dedicasse con regolarità alla cura dei detenuti.