Alfio Sciacca per corriere.it
«Cosa avrebbe riservato il destino a me e Giovanni, se non fosse morto così precocemente?». Nel suo libro Ilda Boccassini si interroga e svela anche particolari inediti sul rapporto che la legava a Giovanni Falcone, il giudice istruttore che conobbe negli anni ‘80 e del quale, come una ragazzina di liceo, subito pensò «comunque è un figo».
Scrive del magistrato, ma anche dell’uomo e del fascino che lo circondava. «Me ne innamorai. È molto complicato per me parlarne. Sicuramente non si trattò dei sentimenti classici con cui siamo abituati a fare i conti nel corso della vita. No. Il mio sentimento era altro e più profondo, non prevedeva una condizione di vita quotidiana, il bisogno di vivere l’amore momento per momento. Ero innamorata della sua anima, della sua passione, della sua battaglia, che capivo essere più importante di tutto il resto. Sapevo di non poter condividere con lui un cinema o una gita in barca, pur desiderandolo, ma non ero gelosa della sua sfera privata, né poteva vacillare la mia. Temevo che quel sentimento potesse travolgermi. E così in effetti sarebbe stato, perché lo hanno ucciso».
E poi racconta dei tanti incontri, di lavoro e no. Dalla giornata al mare all’Addaura, nell’estate del ‘90, e di quando lui la invitò a tuffarsi. «...io pensai alla messa in piega appena fatta. Pensieri da donna che non mi fermarono e lo raggiunsi. Giovanni prima mi prese la mano, poi la lasciò e cominciammo a nuotare verso l’ignoto...».
«Ilda la rossa» svela che in realtà i suoi capelli sono «un normale castano senza infamia e senza lode, ma fin dagli anni della giovinezza mi piaceva tingermi con l’henné, un segno di libertà molto in voga tra le ragazze che negli anni Settanta tenevano alla loro emancipazione e volevano farlo vedere». A Giovanni «piacevano molto i miei riccioli. Quante volte mi ha detto che i miei occhi “erano bellissimi”».
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E racconta anche dei viaggi di lavoro insieme, come quello fatto in Argentina nel giugno del ‘91, per interrogare il boss Gaetano Fidanzati. «Avevo anche un walkman con una cassetta di Gianna Nannini , che ho imposto a Giovanni per tutta la durata del viaggio. Alcune canzoni mi facevano pensare alla nostra storia e le ascoltai più volte, per ore, stringendomi a lui. In top class non c’erano altri passeggeri, eravamo soli in quel lusso rilassante, la nostra intimità disturbata solo dall’arrivo delle hostess. Rimanemmo abbracciati per ore, direi tutta la notte, parlando, ascoltando Gianna Nannini e dedicandoci di tanto in tanto ad alcuni dettagli dell’interrogatorio e ai possibili sviluppi dell’indagine . Che notte...».
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