Alessandra Testa per www.corriere.it
Emo Gruppioni recita un rosario al giorno. Ed è con la corona in mano che lo troviamo quando varchiamo la soglia della sua abitazione, che si trova al terzo piano di un immobile popolare del quartiere Borgo Panigale, zona ponente di Bologna.
Emo — 83 anni e una pesante disabilità motoria —, da 15 è perseguitato da un dramma personale: non riesce a convincere gli inquilini del palazzo ad installare un ascensore, che gli permetterebbe di uscire. Per cui vive barricato in casa.
Il Superbonus
Tramite la figlia Elisa le ha provate tutte e anche ora, che grazie al Superbonus 110% avrebbe potuto inserire gratuitamente l’agognato intervento all’interno dei lavori di riqualificazione energetica dell’edificio, tutto sembra comunque congiurare.
Un condòmino — uno solo — ha impugnato la delibera votata dalla maggioranza dell’assemblea per installare finalmente l’ascensore nel palazzo; per cui l’intervento, che si doveva concludere in teoria entro fino 2021, rischia di nuovo saltare, lasciando Emo ancora una volta chiuso in casa. «Evidentemente valgo troppo poco», dice lui con rassegnazione.
Moglie e figlia provano a difenderlo dalla macchina fotografica. Sono persone schive, non vogliono apparire, ma questa volta l’ingiustizia che sentono è troppo anche per loro. «I nostri vicini non hanno umanità», dicono. «Il mio più grande desiderio è andare il più spesso possibile al cimitero per portare almeno un fiore alle mie sorelle», si lascia scappare Emo.
Il Covid
La pandemia ha duramente colpito la famiglia Gruppioni ed Emo, a causa del virus, ha perso le due sorelle maggiori, Egle ed Edda, anche loro ultraottantenni. Ed è proprio per Edda ed Egle, che non vedeva dal 2019 e che non è riuscito neanche a salutare quando sono mancate, che Emo vorrebbe veder installata la piattaforma elevatrice.
«Non ci vedevamo da prima del Covid — svela — perché anche per loro, che non avevano i miei problemi di deambulazione, era faticoso venirmi a trovare a casa e raggiungermi fin quassù al terzo piano». Emo parla delle sorelle e intanto scorrono le immagini di un televisore acceso.
«Visto che non riuscivamo a vederci proprio a causa delle difficoltà a salire tre rampe di scale — ricorda — ci scambiavano foto via cellulare ma, non avendo dimestichezza con la tecnologia, non siamo mai riusciti a metterci in collegamento in videochiamata».
L’ictus
La figlia Elisa, 47 anni, biologa al Policlinico Sant’Orsola, sorride ma cerca di proteggere il padre. Sente la responsabilità per lui da quando, quarant’anni fa, è stato colpito dall’ictus che gli ha cambiato per sempre la vita. Era una bambina di appena 8 anni. Emo era un carpentiere meccanico che, per ironia della sorte, installava gru. La moglie una casalinga. Persone semplici.
«Si sono sacrificati molto per farmi studiare — riconosce Elisa — e ora tocca a me. Mio padre non può uscire solo per le visite mediche, prelevato dalla pubblica assistenza in ambulanza. Deve poter uscire anche solo spinto da noi in carrozzina». Vedere il cielo, sentirsi vivo. Però questa vicenda non gli fa bene ed è agitato.
La telenovela per riuscire ad installare l’ascensore va avanti da tempo: dal 2006, quando la famiglia interpellò il Caad, il Centro provinciale per l’adattamento dell’ambiente domestico del Comune, per vagliarne la fattibilità. Il condominio concesse l’autorizzazione, ma i costi erano eccessivi: «Per noi — spiega Elisa — 100 mila euro da soli erano davvero troppi».
Quegli euro, però, adesso arriverebbero col superbonus e non peserebbero sul condominio. Chi ha impugnato la delibera, infatti, ha portato motivazioni statiche non economiche. Per ora dalla parte di Emo c’è un solo Confabitare, l’associazione nazionale dei proprietari immobiliari che denuncia una vicenda che, probabilmente, solo un contenzioso legale potrà sbloccare.