Fabrizio Peronaci per www.roma.corriere.it
«Una ragazza con funzioni di spia entrò nell’obitorio ...» «Il corpo della Skerl era stato appena deposto...» «La cassa da morto uscì da un cancello controllato, beffando la vigilanza...» È un viaggio macabro e ai confini dell’incredibile quello intrapreso dalla Procura di Roma per fare luce sull’ultimo mistero della Vatican connection: perché la bara di Katy Skerl, la 17enne uccisa nel 1984, è stata rubata?
L’inchiesta giudiziaria per sottrazione di cadavere ha portato la Squadra Mobile al cimitero Verano dove, nel sopralluogo tenuto il 13 luglio, si è avuta l’inquietante conferma: il loculo, così come da «imbeccata» del superteste del caso Orlandi, era vuoto. La cassa di legno è sparita. Dentro, c’era solo una maniglia d’ottone, dettaglio peraltro di cui lo stesso personaggio aveva già parlato. La famiglia di Katy è caduta dalle nuvole: «Non ce l’aspettavamo, è stato un duro colpo», ha detto una cugina. E adesso, per gli investigatori, si profila la sfida più difficile: mettere ordine nell’intrigo, studiare le connessioni con altri misteri, capire perché i resti di una vittima di omicidio, quasi 40 anni dopo, possano ancora «scottare».
La catena è da brividi. Katy Skerl, studentessa del liceo artistico di via Giulio Romano, abitante con la mamma (separata) e il fratello a Montesacro, quel 21 gennaio di 38 anni fa, un sabato, aveva appuntamento alle 19 con un’amica sulla Tuscolana, per andare a sciare insieme a Campo Felice il giorno dopo. Ma non arrivò. Fu trovata strangolata la domenica mattina ai margini di una vigna a Grottaferrata. Un maniaco? Un’oscura vendetta? Omicidio dimenticato fino al 2015, quando Marco Accetti, il fotografo che due anni prima si era autodenunciato del sequestro di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori (scomparse nel 1983), iniziò a parlare anche del giallo Skerl.
È da qui che si deve partire: il personaggio-chiave degli ultimi sviluppi è lui. Fondamentale la cronologia. Nella primavera 2015, dopo 13 interrogatori, gli investigatori concludono che Accetti non abbia fornito elementi di autoaccusa sufficienti: la consegna del flauto riconosciuto dai familiari come quello di Emanuela (compresa una specifica abrasione a un angolo della custodia), la quasi identità tra la sua voce e quella del telefonista soprannominato «l’Amerikano» e la conoscenza di molti dettagli non bastano a considerarlo attendibile. L’allora procuratore Giuseppe Pignatone chiede al gip l’archiviazione. E allora lui che fa? Si «vendica» rendendo pubblici i retroscena del delitto di Grottaferrata. Una sfida per dire: altro che mitomane, state a sentire, così imparate a non credermi sulla Orlandi...
Così nasce l’affaire Skerl. L’indicazione del «cenotafio vuoto» al riquadro 115 fu Accetti a pubblicarla nel suo blog, addirittura l’8 settembre 2015. Ci sono voluti quasi sette anni a scoperchiare quella tomba (ulteriore indice della delicatezza del caso) e adesso, verificato che la bara è stata rubata davvero, torna inevitabilmente alla ribalta l’intero racconto.
La versione dell’«uomo del flauto» (famiglia agiata, infanzia in scuole cattoliche, papà massone, spiccato anticlericalismo) è che Katy sia stata uccisa per una forma di ritorsione della fazione opposta a quella in cui lui fu ingaggiato per compiere il sequestro Orlandi-Gregori (e attivare i conseguenti ricatti all’ombra della Santa Sede, nel periodo dello scandalo Ior e dei veleni seguiti all’attentato al Papa del 1981). Scenario all’apparenza inverosimile, ma una circostanza (scoperta dal Corriere) potrebbe consolidarlo: compagna di classe di Katy al liceo era la figlia di uno dei funzionari bulgari accusati di essere stati complici di Ali Agca.. Le ragazzine si frequentarono anche a casa, di pomeriggio. Katy fu scelta come «bersaglio» per questo?
Chiariti gli antefatti, arriviamo al racconto-choc dell’equivoco personaggio: «Della mia intenzione di presentarmi in Procura (cosa poi avvenuta solo nel 2013, ndr) resi partecipi nell’aprile 2005, dopo la morte di Wojtyla, alcuni sodali con cui condivisi le responsabilità per i fatti degli anni ‘80. Seppi che alcuni di costoro - ricostruisce Accetti - temevano che io potessi fare i nomi dei responsabili dell’omicidio di Catherine Skerl , per cui si adoperarono a sottrarre uno degli elementi che poteva legare il caso della ragazza a quello delle Orlandi- Gregori». I regolamenti di conti, pare di capire, erano alimentati da un timore: finire in galera, visto che il reato di omicidio non si prescrive.
emanuela orlandi mirella gregori
Marco Accetti mostra di sapere molto della sventurata Katy. «Quando la Skerl fu vestita per essere deposta nella bara, era presente una ragazza che, spacciandosi per parente, insistette per assistere alla preparazione del feretro. Costei ravvisò un certo elemento indosso alla Catherine, e tale dettaglio fu usato in un comunicato del 1984, ed attribuito alla Orlandi».
Siamo al passaggio-chiave. In successive rivelazioni l’ex indagato chiarirà che il «dettaglio» altro non era che l’etichetta della camicetta bianca indossata dalla defunta con su scritto «Frattina 1982», dicitura che si ritrova in un comunicato del 22 novembre 1984 di rivendicazione del sequestro Orlandi, a firma «Turkesh», contenente sette particolari (alcuni astrusi, altri no) elencati dai rapitori per dimostrare alla famiglia il possesso di Emanuela. Una sciarada: «È così che all’epoca funzionavano le operazioni coperte: utilizzando dei codici», ha sempre replicato lui, che sulle mancate verifiche fece presentare un esposto a Piazzale Clodio dal suo avvocato.
Ed eccoci al furto della bara di Katy. È mattino presto, al Verano... «Per impossessarsi di tale elemento (la camicetta, ndr) alcune persone organizzarono nel 2005 una fittizia squadra di addetti ai lavori cimiteriali - rievoca Accetti - e, simulando un lavoro di riesumazione, smurarono il fornetto e lo richiusero dopo aver prelevato la bara». Scena giudicata inverosimile. Almeno fino all’altro giorno...
«Tali persone caricarono la cassa su un carro funebre ed uscirono da uno dei cancelli vigilati, come se si trattasse di un’operazione di traslazione. Lasciarono all’interno della tomba una maniglia che svitarono alla stessa cassa. Tale maniglia raffigurava un angelo. Il significato di tale azione era una sorta di codice. Tra i motivi del trafugamento, vi era anche l’intenzione di esercitare alcune pressioni...» Tornano, i ricatti sulla pelle di giovani vittime inconsapevoli e delle loro famiglie. È di certo questa la parte più complessa dell’inchiesta in corso: ricostruire contesto e movente dei fatti.
La conclusione di Accetti, nel post-imbeccata pubblicato nel settembre 2015 sul suo blog, puntava a chiamarsi fuori... «Se poi veramente dovesse risultare la violazione e il trafugamento della salma, non si pensi possa essere opera del sottoscritto. Le mura ed i cancelli del cimitero monumentale e storico del Verano sono alquanto alti, impensabile farne travalicare una bara notte tempo. Inoltre tale azione necessitava in qualunque modo della partecipazione di più persone...»
Già, che sia entrata in azione una gang - per le modalità dell’azione - è fuor di dubbio. E di conseguenza una domanda va aggiunta alle altre: Accetti copre qualcuno? Poi c’è da chiedersi: perché nel 2013 è uscito allo scoperto auto-accusandosi del rapimento di Emanuela, e preoccupandosi molto di essere creduto? Il fotografo oggi 66enne è stato mandato avanti da qualche misterioso «referente», allocato magari in ambienti altolocati?
L’obiettivo (ferma restando la sua presenza in alcuni passaggi delle vicende) è stato forse favorire un ultimo depistaggio sul movente dell’azione-Orlandi, consegnando alla storia una verità diversa da quella reale? L’uomo del flauto, detta in altri termini, «fa comodo» a qualcuno? I misteri restano e fanno girare la testa, in questa lugubre saga noir. Ma paradossalmente quel loculo buio e vuoto al riquadro 115 del Verano potrebbe regalare inattesi spiragli di luce.