Estratto dell’articolo di Daniele Raineri per “la Repubblica”
ATTENTATO A MOSCA AL CROCUS CITY HALL - IMMAGINE DEGLI ATTENTATORI
Lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco a Mosca nel giro di poche ore […] Ma la firma dello Stato islamico era già di fatto nei video che ieri sera arrivavano dall’atrio del teatro Crocus: una squadra di almeno cinque uomini con fucili d’assalto e zaini carichi di munizioni che si muove con rapidità e abbatte civili man mano che li incontra […]
Una classica operazione d’assalto contro passanti inermi fatta da volontari inghimasi, una parola araba che indica i miliziani che si lanciano in una missione e accettano la possibilità di morire, e diventare martiri, ma che non danno per scontato di finire uccisi, almeno non subito. E infatti talvolta riescono a far perdere le proprie tracce, come è successo ieri, e a tornare ai loro nascondigli […]
È una tattica che si differenzia da quella solita, quella degli attentatori che trasportano esplosivi e si fanno saltare in aria, perché chi la adotta vuole infliggere il più alto numero di perdite possibili in luoghi diversi e così alzare ancora di più il livello di caos e di paura. Vengono in mente il grande attacco a Mumbai del novembre 2008, fatto da squadre di un gruppo pachistano affine per ideologia allo Stato islamico, e gli attacchi multipli a Parigi del novembre 2015 – incluso quello alla sala da concerti Bataclan.
Sul “perché adesso” c’è da fare attenzione. Quando lo Stato islamico a gennaio aveva mandato a farsi esplodere due attentatori a Kerman, in Iran, in mezzo alla folla che celebrava il quarto anniversario dell’uccisione del generale Qassem Suleimani, c’era stata la tentazione immediata di collegare quella strage – morirono 94 persone – alla guerra nella Striscia di Gaza e alla tensione in Medio oriente.
Ma il gruppo estremista agisce e ragiona per tempi e categorie suoi, e colpisce per opportunismo: attacca quando può. È da molti anni che lo Stato islamico minaccia Mosca e quando finalmente ha individuato un modo per far arrivare cinque o sei volontari suicidi armati con fucili e munizioni nella capitale russa lo ha sfruttato, senza riguardi per tutto lo scenario attorno, l’invasione in Ucraina, le elezioni russe appena concluse, quelle presidenziali americane a novembre e altro: il jihad si combatte pensando ai decenni, non ai mesi.
Sul “chi”, c’è da notare che il 7 marzo l’Fsb, i servizi di sicurezza russi, avevano ucciso due uomini kazaki del cosiddetto Wilayat Khorasan, la divisione afgana dello Stato islamico conosciuta anche con la sigla inglese Iskp, in un villaggio della regione di Kaluga, poco a Sud di Mosca, perché stavano pianificando un attentato contro una sinagoga. Il giorno stesso l’ambasciata americana e quella britannica avevano emesso comunicati di allerta sulla possibilità di attentati commessi da estremisti a Mosca, anche in sale da concerti: di solito questi avvertimenti nascono da intercettazioni.
È possibile che dopo l’uccisione dei due uomini lo Stato islamico afgano avesse comunicato con un’altra cellula nascosta in Russia e fosse stato ascoltato dai servizi segreti americani. Ieri fonti d’intelligence hanno detto alla rete Cnn che c’erano informazioni «abbastanza specifiche» sin da novembre sul fatto che lo Stato islamico, in particolare la sezione afgana, stesse preparando un attentato contro la Russia. Il Wilayat Khorasan pesca in un vasto serbatoio di reclute che possono viaggiare in territorio russo con facilità. Un canale Telegram vicino ai servizi russi fornisce tre nomi di sospettati provenienti dall’Inguscezia: Gurajev Amirkhan nato nel 1989, Adam Ozdoev del 1987 e Tsuroev Zelimkhan del 2000.