Luca Ricolfi per www.ilmessaggero.it
Riassumiamo i fatti. L’altro ieri i residenti di Torre Maura (quartiere di Roma) hanno dato vita a una rivolta, con vari episodi di violenza e di intimidazione, quando si sono accorti che il Comune stava trasferendo 77 rom in un centro che, fino a poco prima, aveva ospitato alcune decine di migranti. Gli abitanti di Torre Maura, recentemente “liberati” della presenza dei migranti, non ci hanno visto più quando se li sono visti sostituire con i rom.
L’operazione rientra nella cosiddetta “terza via” di Virginia Raggi: trovare un compromesso fra il buonismo “senza sé e senza ma” della sinistra e il cattivismo, anch’esso senza se e senza ma, della Lega e del suo leader Salvini. L’idea è (o meglio era) di sgomberare i campi rom, assicurando percorsi di reinserimento individuale (formazione, lavoro, alloggio, ritorno in Romania), ampiamente finanziati dalla mano pubblica. Una strategia già tentata senza grande successo l’estate scorsa con il campo rom di Prima Porta (Camping River). Oggi, forse scottata da quell’esperienza, la sindaca la riformula in modo un po’ più filosofeggiante: “Su migranti e campi rom sto portando avanti la ‘terza via’: inflessibili con i delinquenti, accoglienti con le persone fragili. Semplificare i temi complessi è sbagliato”.
Giustissimo, ma più facile a dirsi che a farsi. Perché portare in blocco 70 rom in un quartiere degradato, che ha già enormi problemi, dallo stato penoso degli alloggi comunali ai roghi dei cassonetti, che cos’è se non un modo semplicistico di affrontare il problema? (e infatti l’Amministrazione comunale ha già fatto macchina indietro: i 70 rom, in massima parte donne e bambini, saranno portati tutti via entro una settimana).
Semplicistico, soprattutto, è prendersela con l’ira popolare senza comprenderne le ragioni. Ragioni che non giustificano in alcun modo gli atti violenti e le manifestazioni di odio (su cui già indaga la Procura) ma che hanno una loro macroscopica consistenza. Proviamo a riassumerle, una ad una.
Prima ragione. La gente non capisce perché si continui a parlare di periferie degradate, della necessità di riqualificarle, dell’urgenza di un ritorno della politica nei quartieri, e poi non riesce né a tener pulite le strade (che è il minimo sindacale per un’amministrazione), né a garantire la sicurezza (che è il minimo sindacale per uno Stato), e come se questa assenza non fosse già abbastanza colpevole scarica su un territorio già stremato i problemi di specifici gruppi sociali (migranti e rom), peraltro noti per un tasso di criminalità superiore alla media.
Seconda ragione. La gente non capisce perché un cittadino italiano ordinario, per vivere, debba sbattersi in cerca di un lavoro e di una casa, mentre alcuni gruppi sociali “speciali” paiono godere di una sorta di diritto a reddito e alloggio. E ancor meno capiscono che altre minoranze sventurate, questa volta costituite da cittadini italiani, non godano di altrettanti diritti e attenzioni (“andate via, fate venire i terremotati che stanno sotto la neve!” è una delle frasi che si sono ascoltate durante le proteste a Torre Maura).
Terza ragione. La gente non capisce la “terza via” perché sa perfettamente come andrà a finire: il lato buonista premierà le persone fragili (o presunte tali), il lato cattivista resterà lettera morta. Perché è facilissimo spendere soldi dei contribuenti o dell’Europa per gestire l’accoglienza, è praticamente impossibile arginare i comportamenti illegali (le periferie non sono sufficientemente presidiate dalle forze dell’ordine, intere porzioni del territorio sono in mano alla criminalità, chi infrange le leggi può tranquillamente essere arrestato e liberato decine di volte).
La realtà, temo, è che la Terza via, attuata con tanta improvvisazione (pare che dell’operazione di trasferimento a Torre Maura non fosse stato informato neppure il presidente grillino del VI Municipio, di cui Torre Maura fa parte), non possa che rafforzare la reazione cui pretende di porre un freno. Certo, se si pensa che le reazioni rabbiose al trasferimento dei rom siano dovute alla rozzezza del volgo romano, o all’estrema destra che soffia sul fuoco, aizzando i peggiori istinti popolari, allora non c’è niente da fare: fascismo e razzismo avanzano tenendosi per mano, e tocca ai sinceri democratici resuscitare antifascismo e antirazzismo, i due grandi anticorpi alla disumanizzazione trionfante.
C’è però anche un altro modo di mettere le cose. A giudicare dai resoconti della protesta, dalle frasi e dagli slogan che si sono sentiti, il sentimento centrale che pare animare la protesta non è l’odio ma, forse più semplicemente e umanamente, un forte, fortissimo, disperato senso di ingiustizia. Chi fatica a sbarcare il lunario in un quartiere degradato, non riesce a capire perché i migranti non siano inviati in altri quartieri delle città (già: perché?), soprattutto in quelli del politicamente corretto i cui abitanti manifestano orgogliosamente in favore dell’accoglienza. Ma soprattutto non capisce un’altra cosa: perché, nella distribuzione delle risorse pubbliche, la maggior parte dei cittadini siano lasciati soli, a giocare la loro difficilissima battaglia individuale per la sopravvivenza, mentre ad alcuni gruppi e minoranze (rom e migranti innanzitutto) è accordata una speciale precedenza e attenzione, il tutto senza che alcun merito, o fragilità estrema, giustifichi una tale differenza di trattamento.
2. SALVINI PUNGE RAGGI: «METODO SBAGLIATO». LEI: «COLPA DEGLI UFFICI»
Simone Canettieri e Lorenzo De Cicco per www.ilmessaggero.it
In pubblico, da parte di Matteo Salvini, c'è una stoccata netta nei confronti della sindaca e la conferma della linea dura contro i nomadi che delinquono: «È sbagliato spostare dalla sera alla mattina decine di persone da palazzo a palazzo, quartiere a quartiere, di periferia in periferia. Le cose vanno fatte alla luce del sole, in maniera trasparente. Se ci sono rom che si vogliono integrare sono i benvenuti: quelli che pensano al furto non meritano niente». In privato, invece, c'è una telefonata «cordiale» e dai toni più confidenziali che istituzionali. Obiettivo, capire come «affrontare la rivolta». A metà giornata la sindaca Virginia Raggi riesce a mettersi in contatto con Salvini. Il ministro dell'Interno si fa spiegare per filo e per segno chi sono i residenti che protestano, perché lo fanno, chi c'è dietro ai disordini. Per la grillina è l'occasione di uno sfogo, che esce lentamente durante la conversazione, mentre gli illustra il quadro della situazione che si è sviluppata nelle ultime ore.
«Un'escalation di violenza e intolleranza», la definisce il Campidoglio. Da parte di Salvini c'è un atteggiamento belligerante a metà. Davanti alle telecamere il titolare del Viminale esprime sì una serie di perplessità sul modus operandi utilizzato dal Comune, ma preferisce non affondare più di tanto il colpo durante la telefonata. La cautela del «Capitano» si può spiegare in diverse modi. Gli preme non aprire un altro fronte con il M5S, visto il clima di guerra totale che si respira in parlamento. Una precauzione che si incastra in uno scenario molto più complicato. D'altronde Lega e M5S sull'inclusione di migranti e rom e, più in generale, sull'approccio a queste tematiche, sono diametralmente all'opposto.
LE TELEFONATE
Nella catena di telefonate la prima a essere interpellata dal ministero dell'Interno è il prefetto della Capitale, Paola Basilone. Tocca a lei fare il punto a Salvini che vuole essere informato su una protesta che, da martedì sera, ha preso una piega pericolosa, con le auto incendiate, i tafferugli, i cassonetti scagliati in strada, a fare da argine alle forze dell'ordine. La rappresentante del governo chiama poi in Campidoglio, parla a lungo, per tutta la giornata, col delegato alla Sicurezza della sindaca, Marco Cardilli, l'unico rappresentante dell'amministrazione stellata a recarsi a Torre Maura, accolto dai fischi dei residenti. E così riparte il giro inverso, fino al contatto tra «Matteo» e «Virginia». I vertici M5S blindano la sindaca. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede le esprime «massimo sostegno» davanti a questi focolai di violenza e queste aggressioni di matrice estremista. Se si scava in profondità, in molti sono costretti anche tra i big pentastellati a barcamenarsi. Spiega Mattia Fantinati, sottosegretario alla Pubblica amministrazione: «La guerra fra poveri c'è perché la sinistra non poteva integrare altri soggetti fragili e ha scavato un gap ancora più grande fra ricchi e poveri. Oggi questa bomba sociale viene strumentalizzata dai neofascisti».
Paola Taverna, vicepresidente del Senato in quota M5S, che nel VI Municipio di Roma ha anche una base elettorale forte, dice di «condividere l'esasperazione di chi, pur avendo sempre mostrato spirito di accoglienza, ritiene ingiusto sovraccaricare ulteriormente una piccola comunità». E se la prende con l'Ufficio Rom del Campidoglio, finito ora anche nel mirino di Raggi, con la rimozione della responsabile, Michela Micheli, e un'indagine interna. «La gestione degli uffici è stata inqualificabile», è convinta Raggi.
I LIMITI
La sindaca condivide con Salvini l'obiettivo finale, quello cioè di arrivare allo smantellamento progressivo dei campi rom. Ma la strategia per arrivarci è diversa. Raggi non crede nella ruspa amata dal leader del Carroccio. Nell'ultimo anno ha parlato spesso - lo ha fatto anche l'altro ieri, appena scoppiata la protesta, in tv - della «terza via» del M5S, a metà, dicono in Campidoglio, tra il «buonismo di certa sinistra» e la linea dura del Viminale. Insomma, «inflessibili con i delinquenti, accoglienti con le persone fragili, come i bambini».
Facile dirsi, molto complicato da mettere in pratica. Il piano Rom varato dal Campidoglio ormai quasi due anni fa, numeri alla mano, arranca. Per ora è stato smantellato solo il Camping River, con l'appoggio del Ministero dell'Interno, per mettere fine a una situazione di abbandono che aveva prodotto un'«emergenza sanitaria», come scrisse Raggi nell'ordinanza di chiusura. I rimpatri volontari in Romania non decollano, anzi: fino a oggi sono tornate nel paese d'origine appena 6 famiglie. Una goccia nel mare. Anche il bonus affitto, cioè l'assegno del Comune, fino a 800 euro al mese, per permettere ai nomadi di prendere casa lontano dalle baracche, finora, è stato un fiasco.
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