A ROMA UN 22ENNE DI ORIGINE ROM E' MORTO SCHIANTANDOSI SUL GRANDE RACCORDO ANULARE A 290 KM ORARI CON L'AUDI CHE STAVA GUIDANDO: LA FOLLE CORSA E' STATA RIPRESA CON IL TELEFONINO - FERITI I DUE AMICI CHE ERANO CON LUI, TRA CUI UNA RAGAZZA INCINTA - NON SI ESCLUDE CHE IL RAGAZZO POSSA AVER INGAGGIATO UNA GARA CLANDESTINA CON UN'ALTRA AUTO, POI FUGGITA - LO PSICHIATRA PAOLO CREPET: “QUANDO SI VIVE IN VIRTÙ DEI LIKE DURA TUTTO POCO: NON TI ASSUMI RESPONSABILITÀ PER TE STESSO, MA NEPPURE PER GLI ALTRI..." - VIDEO
1. SI LANCIA ALL’ORA SUL GRANDE RACCORDO ANULARE: MORTO UN 22ENNE
Grazia Longo per “la Stampa”
incidente a 300 all ora sul grande raccordo anulare 1
Chiariamo subito che il video non è per deboli di cuore: dentro a un'automobile di grossa cilindrata un ragazzo schiaccia a manetta l'acceleratore, mentre l'amico lo riprende con il telefonino. La radio spara musica rap ad alto volume, entrambi cantano a squarciagola «Per te potrei anche morire...». E alla fine, quando il tachimetro dell'Audi R8, un bolide da 570 cavalli, segna 293 km all'ora, arriva lo schianto fatale e uno dei due muore per davvero.
Ha perso la vita così, la notte di lunedì scorso sul Grande raccordo anulare di Roma, Orsus Brischetto, 22 anni, di origine Rom, residente ad Aprilia, che si trovava al volante della potente Audi. Feriti, ma non in pericolo di vita, i due amici che viaggiavano con lui: Nicholas Calì, anch' egli di origini Rom, e una ragazza incinta.
Sul drammatico incidente indaga la polizia stradale e non è neppure escluso che Orsus Brischetto avesse ingaggiato una gara clandestina con un'altra automobile poi fuggita. All'attenzione degli investigatori, oltre al filmino sul cellulare, anche l'esame degli impianti di video sorveglianza sul Grande raccordo anulare all'altezza della stazione di servizio Casilina, vicino alla quale è avvenuto lo schianto.
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L'Audi lanciata a folle velocità è andata a sbattere contro le barriere dei new jersey e per il ragazzo non c'è stato nulla da fare. È morto dopo l'arrivo al Policlinico di Tor Vergata. Nicholas Calì è stato invece immediatamente sottoposto alle cure del policlinico Casilino e si è subito capito che, nonostante la gravità della situazione, non era in pericolo di vita. Mentre la ragazza è stata soccorsa all'Umberto I e dimessa poche ore dopo.
Della folle corsa in auto ripresa con il cellulare non si occupa solo la polizia stradale. Gli atti sono stati, infatti, comunicati anche alla Squadra mobile della capitale, perché Brischetto e Calì sono cognomi in passato finiti nel mirino della sezione Gico (Gruppi d'Investigazione sulla Criminalità Organizzata) della guardia Finanza. Il motivo? Entrambe le famiglie sono risultate coinvolte nello spaccio di di cocaina ed hashish nel quadrante Sud di Roma, in virtù dei legami intrecciati con cosche della 'ndrangheta. Su di loro aveva indagato anche la Direzione distrettuale antimafia.
2 - PAOLO CREPET "NON ABBIAMO EDUCATO LE NUOVE GENERAZIONI A SOGNARE"
Grazia Longo per “la Stampa”
Professor Paolo Crepet, come psichiatra in che modo valuta il desiderio del ventenne di farsi riprendere in video durante la corsa folle in auto?
«I due atteggiamenti sono le due facce dello stesso problema e la loro somma è la nullità. La mia non è una critica ai giovani ma a noi che non li abbiamo educati a sperare, a sognare.
Di qui la tendenza a sfidare la morte con l'aggravante del video, della rappresentazione pubblica come conferma della propria identità. Noi adulti dovremmo chiederci se davvero non c'entriamo nulla. Abbiamo cambiato la T-shirt, non l'anima. In fondo queste tecnologie digitali le abbiamo inventate noi».
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Ma quel senso di onnipotenza, di invulnerabilità, che spinge i giovani ad imprese folli c'è sempre stato.
«Certamente, la sfida alla morte non è contemporanea. Dietro si nasconde l'incapacità di avere una speranza, un sogno. Sono sicuro che se avessi potuto chiedere al giovane morto sul Gra quale sogno avesse mi avrebbe risposto: «Correre». Senza alcuna possibilità di guardare al futuro, di perseguire un sogno vero».
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Un atteggiamento dietro al quale si nasconde una fragilità interiore?
«Sicuramente. Non solo perché si guarda solo al "qui e ora", ma lo si fa in virtù della pubblicità di certi comportamenti sui social media. Non è la prima volta che negli ultimi anni assistiamo a un terribile incidente stradale mentre ci si fa riprendere in un video da pubblicare. E tutto per che cosa? Per ottenere dei like in più.
Chi vive in virtù dei like non è certo più forte degli altri ma anzi è più debole. Peraltro dura tutto poco: le storie su Instagram e Tik tok durano appena 24 ore. È come pensare di fare il giro del mondo in 80 giorni e invece finisce tutto in 24 ore.
Si tratta di gesti in cui non solo non ti assumi responsabilità per te stesso, ma neppure per gli altri. È solo un caso, infatti, che in questo incidente gli altri due ragazzi siano rimasti vivi. E noi adulti dovremmo interrogarci su cosa abbiamo sbagliato».
A che cosa si riferisce?
«Pensiamo a Instagram: nasconde un giro d'affari milionario grazie alla tanta pubblicità. Persino il congresso americano ha chiesto che rapporto c'è tra il business di Instagram e il disagio giovanile. Il mio può apparire un pensiero ottocentesco, ma io non voglio essere contro i social media, credo tuttavia che occorra tenere gli occhi aperti».
In che modo si può intervenire?
«Per esempio allentando il rapporto simbiotico che i bambini e i pre adolescenti hanno con il telefonino. Recentemente si è rivolta a me la mamma di un bambino di 9 anni che era sempre incollato ai social media sul cellulare: la donna gli ha tolto l'apparecchio e il figlio ha spaccato tutto ciò che gli capitava a tiro nella sua cameretta. Siamo di fronte a una dipendenza totale come quella dalle droghe».