SAN PATRIGNANO, SOGNO O INCUBO? – IL FIGLIO DI PAOLO VILLAGGIO, EX OSPITE DELLA COMUNITÀ DI MUCCIOLI: “L’HO ODIATO E GLI HO VOLUTO BENE, SAN PATRIGNANO ERA UN MICROCOSMO CON LE SUE INVIDIE E GELOSIE. CERTO, CI SONO STATE ANCHE COSE ORRIBILI” – FABIO ANIBALDI, SCAPPATO PIÙ VOLTE DA “SANPA”: “SPERAVO CHE IN VENTICINQUE ANNI CI FOSSE STATA UNA MUTAZIONE CULTURALE, E INVECE LA COMUNITÀ NON ACCETTA RITRATTI CHE NON SIANO DI PROPAGANDA...”
vincenzo muccioli san patrignano
1 – PIERO VILLAGGIO "HO ANCHE ODIATO MUCCIOLI MA DEVO A LUI SE SONO VIVO"
Massimo Calandri per “la Repubblica”
«Ho visto le prime 3 puntate su Netflix: per ora, mi è sembrato abbastanza veritiero. Ma di quel posto hanno scelto di raccontare soprattutto la cupezza. Forse perché il pubblico è morboso: preferisce la violenza, alle storie belle. Però San Patrignano era pure sorrisi, giornate di sole. Fiori».
vincenzo muccioli paolo villaggio 2
Piero Villaggio - figlio di Paolo, l'attore genovese - aveva 22 anni: si faceva di eroina da sette, quando i genitori, dopo diversi tentativi falliti in cliniche italiane e svizzere, lo affidarono disperati alla comunità di Vincenzo Muccioli.
«Era l'84. Io, un tossico. Mi hanno messo davanti a quel gigante col vocione e per stanchezza gli ho detto: facciamo come dici tu. In realtà pensavo che sarei scappato, per andare a drogarmi. È finita che sono rimasto fino all'87».
"SanPa: luci e tenebre". Alla Comunità dicono che la docu-serie racconti solo le ombre.
sanpa luci e tenebre di san patrignano
«È difficile spiegare San Patrignano, se non l'hai vissuto. La ragione non sta solo da una parte: può essere bianca, nera o grigia, dipende dalla prospettiva. Glielo avevo detto, a quelli di Netflix. Mi avevano contattato, perché raccontassi tutto: va bene, ma prima spiegatemi esattamente cosa ne volete fare. Non li ho più sentiti».
E allora di che colore è la ragione, a San Patrignano?
«Volete sapere se ci sono state violenze, ingiustizie, bugie, dolore? Sì, molte. Ma non solo. Un tossico, se ha la roba, è tranquillo: però quando gli manca, non c'è più niente di normale. E tu, dalla tua prospettiva, non puoi raccontare, giudicare, spiegare. Non puoi, se non l'hai vissuto. San Patrignano era un mondo a parte: con gente piena di problemi, grossi problemi. E un uomo che quella gente voleva solo salvarla. A qualunque costo».
Vincenzo Muccioli.
«Un bestione di un metro e 90 per un quintale, un leone: faceva paura. Tirava certi schiaffoni. Ma aveva anche un carisma, una sensibilità, un'empatia incredibili: gli passavi accanto, e lui aveva già capito cosa ti girava nella testa. Quando sono entrato c'erano 180 ospiti, 3 anni dopo eravamo 600: gestiva tutto da solo. Ha commesso tanti errori, spesso ha esagerato: ma aveva ragione, credetemi».
Le violenze, ha detto.
«Una volta ho portato da mangiare a un ragazzo: era stato rinchiuso in una stanza, nudo. Sono tornato da Vincenzo, davanti ad altre persone gli ho urlato: "Sei pazzo, non puoi trattare la gente così". Che ceffone, ho preso. Qualche ora dopo, da soli, mi ha spiegato: "Devo farlo, con voi non ho alterative". Era giusto così».
Ha mai visto delle persone incatenate? (Pausa)
«Se le avessi viste, non ve lo direi. Ma posso dirvi che molti di quelli che sono scappati, poi sono morti. Vincenzo voleva solo evitare che si uccidessero».
Qualcuno lo ha denunciato, Muccioli è finito in carcere.
«Lo avevano accusato delle persone che volevano andarsene da San Patrignano, e non essere più riprese. Spesso qualcuno cercava dei pretesti per destabilizzare la situazione, e trovare così un motivo valido per fuggire. E tornare a drogarsi. Ci sono invece state cose orribili, imperdonabili: come la morte di Maranzano, pestato a morte nella macelleria chissà da chi. Qualcuno avrebbe dovuto avere il coraggio di ammettere che succedevano anche cose brutte».
fabio anibaldi all'epoca della comunita'
Lo ha mai odiato?
«Tante volte. Ma il punto è sempre quello: la prospettiva. E spesso la mia era quella di un tossico. L'ho odiato e gli ho voluto bene, anche se quel giorno dell'87 sono andato da lui e gli ho detto che non mi piacevano troppe situazioni. San Patrignano era un microcosmo: con le sue invidie, gelosie, miserie.
"Se dopo 3 anni non hai capito e te ne vuoi andare, vattene": così mi ha detto. Il giorno dopo ho preso la valigia, lui ha rifiutato di salutarmi. Però quando sono entrato lì ero all'inferno, e Vincenzo mi ha reso un uomo libero».
A 59 anni, Piero Villaggio oggi vive in un casale in provincia di Perugia, insieme alla moglie. E gestisce un'enoteca. Non ha figli. Ma se ne avesse avuto uno disperato com' era lei allora, lo avrebbe mandato da Muccioli?
«Mi spiace dirlo però sì, non ho dubbi: lo avrei portato in quella comunità. Perché lui avrebbe fatto di tutto, per salvarlo».
uno dei ragazzi incatenati a san patrignano
Le mancano ancora un po' di puntate, alla fine del docu-film.
«Lasciatemi vedere SanPa sino in fondo, prima di esprimere un giudizio. Spero che prima o poi mostrino anche il sole, i fiori, i sorrisi perché è stato un posto fantastico. Sorrisi che ci sono ancora oggi, ne sono sicuro. Anche se quel posto non lo potrai mai spiegare, se non l'hai vissuto sino in fondo».
2 – "LA COMUNITÀ NON ACCETTA CRITICHE È LA STESSA LOGICA DEI REGIMI TOTALITARI"
Franco Giubilei per “La Stampa”
Su San Patrignano e su Vincenzo Muccioli, fra gli Anni 80 e 90 l'opinione pubblica italiana si spaccò in due fra amici e nemici di SanPa. Oggi che un documentario tenta di ricostruire quel periodo cruciale, le polemiche divampano di nuovo, come se certe ferite sanguinassero ancora.
La comunità si sente sotto attacco e condanna l'opera, ma chi, allora, proprio grazie a Muccioli uscì da una dipendenza pesantissima da eroina e cocaina per poi diventare capo della comunicazione di San Patrignano, per questa difesa d'ufficio della struttura di Coriano ha parole ancora più dure: «Speravo, mi auguravo che in venticinque anni ci fosse stata una maturazione culturale - dice Fabio Anibaldi, entrato in comunità nell'83, prima di scappare più volte, venire riacciuffato per essere rinchiuso due settimane in uno stanzino fino a riemergere ed entrare nella cerchia dei collaboratori più stretti di Vincenzo -. Invece, adesso come allora, la comunità non accetta ritratti che non siano elogiativi o agiografici, di propaganda. Quando vendi l'anima all'immagine pubblica, ti perdi e perdi il contatto con te stesso».
Nell'analisi di Anibaldi, fra i protagonisti della docuserie Netflix coi suoi ricordi, «a San Patrignano non hanno fatto tesoro di quella stagione tremenda degli Anni 90». Una data, fra quelle che lo hanno marcato di più, è l'8 marzo del 1993, quando nel villaggio costruito sulle colline riminesi per aiutare i tossicomani si materializzano dieci macchine della polizia.
È stato ritrovato il cadavere di Roberto Maranzano, il 36enne massacrato nel reparto macelleria della comunità, e comincia l'inchiesta: «Vincenzo subito disse di non sapere, ma in seguito ammise di esserne venuto a conoscenza tre-quattro mesi dopo l'omicidio - racconta l'ex ospite di SanPa, che oggi lavora al Gruppo Abele a Torino -. Io entrai in crisi, anche per il ruolo che avevo.
Avessero almeno ammesso l'errore, il fatto che San Patrignano si era espansa in modo selvaggio per cui Muccioli ha dovuto delegare ciò che prima faceva di persona a soggetti sbagliati». Il contesto in cui tutto questo è avvenuto ha visto una crescita enorme della comunità, che a inizio Anni 80 ospitava 280 persone di cui si occupava personalmente Vincenzo Muccioli, per arrivare a oltre 2mila nell'anno della sua scomparsa, il 1995.
Anibaldi lascia per sempre la comunità due giorni prima della morte di Vincenzo, ma anche un episodio così drammatico è circondato dal mistero, visto che lui e tutti gli altri seppero della malattia del fondatore solo da un articolo di Biagi sul Corriere, dopo due mesi di sua assenza dalla comunità. Fra le questioni delicate, anche il fatto che Muccioli gli tenne nascosta per anni la sieropositività, nonostante frequentasse una ragazza a Milano.
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Ma a colpirlo di più, oggi, è la reazione della comunità al documentario Netflix: «Loro non accettano critiche - spiega Anibaldi -, è la logica dell'o con noi o contro di noi, non c'è dissenso all'interno e tanto meno è concepibile quello al di fuori. Accettano solo l'ammirazione incondizionata per la loro opera, che è la logica tipica di certi regimi totalitari».
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Un atteggiamento autolesionistico, aggiunge, perché «occorre fare i conti col proprio passato, così come io so di essere stato un tossico e di essermi prostituito. Mi fa tristezza vedere questa identità fittizia. È comodo chiudere gli scheletri negli armadi a doppia mandata, ma fa solo male a te stesso».
sanpa luci e tenebre di san patrignano
Un'impostazione che si rifletterebbe anche nell'efficacia dell'intervento terapeutico su persone che «hanno messo la loro vita nelle tue mani, e infatti tutto funzionava finché stavi lì dentro, ma come uscivi crollavi». Negli ultimi mesi della sua permanenza a SanPa, Anibaldi scrisse anche un libro sulla sua esperienza che oggi ha fornito più di un elemento per la docuserie Netflix: «Mondadori voleva pubblicarlo in fretta e furia, avevan
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