Fulvio Bufi e Alessandra Coppola per corriere.it
Mario Paciolla, il trentatreenne italiano trovato morto il 15 luglio scorso nel suo appartamento di San Vicente de Caguan, in Colombia, dove lavorava in una missione Onu, fu uno degli autori del report redatto dalle Nazioni Unite sul bombardamento, nell’agosto 2019, di un campo di irriducibili delle Farc in cui morirono anche sette adolescenti.
Lo scrive il quotidiano colombiano «el Espectador» in un articolo a firma di Claudia Julieta Duque, la giornalista che sul caso Paciolla sta portando avanti un’inchiesta parallela a quella delle autorità locali e che sin dal primo giorno è convinta che Mario non si sia suicidato (fu trovato impiccato e con segni di ferite ai polsi) ma sia stato ammazzato da qualcuno che poi ha organizzato una messinscena per depistare le indagini.
La partecipazione di Paciolla (che in Colombia lavorava proprio al processo di pacificazione tra le ex Farc e il governo) alla redazione del report potrebbe essere collegata, secondo la ricostruzione della giornalista colombiana, al suo stato d’animo nei mesi successivi, quando cominciò a sentirsi particolarmente inquieto e a desiderare con sempre maggiore determinazione di lasciare la missione.
Nemmeno tre mesi dopo il bombardamento del campo dei dissidenti Farc guidati da Rogelio Bolivar Cordova, noto con il soprannome di Gilardo el Cucho, il potentissimo ministro della Difesa Guillermo Botero fu costretto alle dimissioni dalle accuse mossegli dal senatore del partito U Roy Barreras con una mozione di censura che conteneva anche parti del rapporto stilato da Paciolla e dagli altri della missione Onu.
Un rapporto che invece non avrebbe dovuto avere nessun utilizzo per scopi politici, e che soprattutto sarebbe dovuto rimanere coperto a tutela sia delle informazioni sensibili contenute sia di chi lo aveva redatto.
La fuga di notizie
Questa fuga di notizie avrebbe colpito moltissimo l’operatore italiano, che quando, a cavallo tra il novembre e il dicembre dell’anno scorso, tornò dai suoi genitori a Napoli, passò molto tempo a cancellare tutto quanto di personale vi fosse in Rete: dalle foto sui social alle poesie pubblicate su alcuni siti culturali italiani e francesi.
Cambiò le impostazioni del suo profilo Facebook, alzando al massimo il livello di privacy, cancellò tutto ciò che aveva scritto su Twitter e fece fare il backup del suo pc. Un comportamento che si spiegherebbe con il timore di subire un attacco informatico, se non di averlo già subito. Secondo l’articolo del quotidiano colombiano, Mario Paciolla avrebbe anche confidato a qualche amico di sentire di essere stato «tradito e usato», e addirittura di sentirsi «sporco».
L’inchiesta giornalistica
L’articolo di Claudia Julieta Duque riporta anche una frase attribuita a Paciolla, una confidenza che pure avrebbe fatto a qualche persona fidata: «Voglio dimenticare per sempre la Colombia, non è più sicura per me. Non voglio più mettere piede in questo paese o all’Onu. Ho chiesto un cambiamento qualche tempo fa e non me l’hanno dato. Voglio una vita nuova, lontano da tutto».
E che fosse ansioso di lasciare San Vicente lo ha confermato più volte anche la famiglia, che ha raccontato anche di come Mario stesse studiando il francese per poter prendere, una volta rientrato in Italia, l’abilitazione all’insegnamento. Certo lui era pronto per andarsene. Aveva già acquistato un biglietto per Parigi e si sarebbe dovuto imbarcare su un volo in partenza il 20 luglio.
Invece non è mai tornato. E non sono rientrati a Napoli nemmeno molti suoi oggetti personali. Come, tra gli altri, il mouse sporco di sangue del suo pc. Che dopo essere stato ripulito sarebbe finito, non si sa come, nella sede Onu di Bogotà.
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