GLI ULTIMI, DISPERATI GIORNI DI KURT COBAIN – IL 3 MARZO 1994 IL LEADER DEI NIRVANA TENTO’ IL SUICIDIO IN UNA CAMERA D’ALBERGO A ROMA: VENNE TROVATO ESANIME DA COURTNEY LOVE, LA MOGLIE CHE LO AVEVA INIZIATO ALL’EROINA. IL MUSICISTA 27ENNE AVEVA INGERITO FRA LE 50 E LE 60 PILLOLE DI UN POTENTE TRANQUILLANTE - I MEDICI RIUSCIRONO A SALVARLO, MA UN MESE DOPO COBAIN SI SPARO’ UN COLPO DI PISTOLA IN TESTA NELLA SUA CASA DI SEATTLE – IL CONCERTO DI MODENA, DOVE DOVETTE APPOGGIARSI PER REGGERSI IN PIEDI - VIDEO
Estratto dell’articolo di Franco Giubilei per www.lastampa.it
Tirava una brutta aria fin dall’inizio sul tour italiano dei Nirvana del ’94: il concerto di debutto a Modena il 21 febbraio era percorso da ondate oscure e violente originate dal palco dove Kurt Cobain, visibilmente a pezzi, doveva appoggiarsi agli amplificatori per reggersi in piedi. Portava un golfino verde che sembrava appeso alle spalle per quanto era esile, un fantasma doloroso e dolente in preda com’era a droghe e farmaci, a sedare il terribile mal di stomaco.
Quella sera al Palasport un’atmosfera cupa ne annunciava la morte imminente, se qualcuno fosse stato abbastanza attento da leggerne i segni: nei movimenti, nel suono, nella disperazione urlata nel microfono. I ragazzi del pubblico, annebbiati dall’alcol bevuto in gran quantità prima dello show, apparivano in buona sintonia con lo sfascio generale. Pura Generazione X.
Nel giro di una decina di giorni Kurt Cobain andò a picco: sbarcato a Roma il 3 marzo con moglie e figlia – Courtney Love, che lo aveva iniziato all’eroina, e la piccola Frances Bean, tre anni - il leader dei Nirvana si sistemò nella camera 541 dell’Excelsior dove Courney, la mattina dopo, lo trovò esanime, il naso sanguinante e un biglietto fra le dita. Overdose da Roipnol, un tranquillante potentissimo buttato giù a manciate, pare fra le 50 e le 60 pasticche.
I medici dell’Umberto I, dove viene portato in ambulanza, lo ripescano dal coma mentre la Cnn interrompe i programmi per annunciarne il suicidio. Si rimette in piedi e torna in America, ma l'8 aprile viene trovato cadavere in casa a Seattle da un elettricista che doveva montargli un sistema d’allarme. Si era sparato alla testa col suo fucile.
Col suicidio di Cobain morivano i Nirvana e tramontava il grunge, breve ma intenso fremito punk che aveva attraversato con successo l’America e il resto del mondo, trasformando un artista introverso come lui nella rockstar che non riusciva a sopportare di essere. I 27 anni che aveva al momento della morte lo elevarono all’Olimpo dei martiri del rock’n’roll falciati alla stessa età da droghe, alcol e stravizi: Brian Jones nel ’69, Janis Joplin e Jimi Hendrix l’anno dopo, Jim Morrison nel ’71. Anche Amy Winehouse avrebbe raggiunto il gruppo lasciando questo mondo nel 2011 e rafforzando la leggenda nera del rock che trascina in una danza mortale i suoi giovani eroi, fino ad annientarli. […]
In quell’ultima tournée tutto si ruppe, fino al ricovero di Cobain a Roma, dove l’aveva seguito la moglie Courtney Love. Riacciuffato in extremis dall’overdose, uscì dal coma e fece ritorno a Seattle, ma l’appuntamento era solo rimandato di pochi giorni. Il 5 aprile i fan dei Nirvana si ritrovarono a piangere l’ultima vittima della maledizione del 27.
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