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"SFORZO COORDINATO PER DIPINGERE UNA FALSA IMMAGINE DELLA NOSTRA COMPAGNIA" - MARK ZUCKERBERG SI DIFENDE DALLE ULTIME ACCUSE DI ODIO, DISINFORMAZIONE E ILLEGALITA' CHE CIRCOLANO SU FACEBOOK, MA LA SOCIETA' DOVRA' INCASSARE COLPI ANCORA PIU' DURI: DOPO AVER PASSATO PARTE DEI DOCUMENTI AL "WALL STREET JOURNAL", LA SPIA FRANCES HAUGEN LI HA MESSI A DISPOSIZIONE DI UN CONSORZIO DI GIORNALISTI E MOLTE TESTATE E...

Da Ansa.it

 

MARK ZUCKERBERG

«Le critiche in buona fede ci aiutano a migliorare ma penso che stiamo vedendo uno sforzo coordinato per usare selettivamente documenti trapelati per dipingere una falsa immagine della nostra compagnia»: cosi il patron di Facebook ha reagito alla diffusione degli ultimi documenti interni sull'inazione verso odio, disinformazione e illegalità.

 

«La realtà è che abbiamo una cultura aperta che incoraggia la discussione e la ricerca sul nostro lavoro, in modo che possiamo fare progressi su molte questioni complesse che non sono specifiche solo per noi», ha aggiunto.

 

Massimo Gaggi per il Corriere.it

 

NICK CLEGG E MARK ZUCKERBERG

Venerdì scorso un altro articolo di retroscena del Wall Street Journal sulle negligenze di Facebook durante l’attacco al Congresso del 6 gennaio scorso. Poi una raffica di inchieste su argomenti simili di altre testate, dal New York Times alla Cnn, a Nbc News mentre in una nota interna il vicepresidente del gigante delle reti sociali responsabile per la comunicazione, Nick Clegg, avverte che il gruppo di Mark Zuckerberg dovrà prepararsi a difendersi da colpi ancor più duri: «Arriveranno altri titoli brutti per noi».

 

mark zuckerberg nick clegg

È il preannuncio di un’altra ondata di rivelazioni imbarazzanti e dannose – ieri un’altra cannonata del Washington Post sulle responsabilità della società californiana nelle rivolte contro i musulmani che l’anno scorso hanno causato decine di morti in India — dopo quelle delle 11 puntate dei Facebook Files pubblicate dal Wall Street Journal a partire dal 13 settembre scorso. Un’inchiesta basata - si scoprirà dopo - sul materiale fornito dall’ormai celebre Frances Haugen: la data scientist che lavorava per Facebook e che, avendo visto da dentro i suoi comportamenti riprovevoli, ha deciso di denunciarli.

 

Frances Haugen al Senato 2

Ascoltata anche dal Congresso, Haugen è diventata un’eroina della resistenza contro il semimonopolista dei social media che coi suoi algoritmi ha tollerato - o addirittura incentivato - una pericolosa disinformazione politica per non rinunciare a un business molto redditizio. Eroina Frances Haugen lo rimane, ma i fatti emersi negli ultimi giorni le hanno fatto perdere l’aura del cavaliere solitario.

 

Dapprima è emerso che la whistleblower che ha attaccato Facebook era spalleggiata e sostenuta finanziariamente dal miliardario e attivista politico Pierre Omidyar, il co-fondatore di eBay. Un sostegno necessario, è stato spiegato, per far fronte alle enormi spese legali che Frances dovrà sostenere per difendersi dalle accuse dell’azienda di aver commesso reati penali trafugando migliaia di documenti interni.

 

Pierre Omidyar

Poi, però, è emerso anche altro: Haugen viene assistita da Larry Lessing, celebre giurista di Harvard, studioso dei problemi del web, ma anche grande attivista politico. E Lessig, per quanto riguarda i rapporti con la stampa, l’ha affidata a Bill Burton, un ex addetto stampa di Barack Obama negli anni della sua presidenza, che ora ha una sua agenzia di comunicazione, ma rimane legato al partito democratico.

 

Burton è entrato in scena quando Frances aveva già consegnato una parte del materiale trafugato al Wall Street Journal. Ma siccome i file sottratti a Facebook sono migliaia, Burton ha convinto Frances a metterli a disposizione di un consorzio di giornalisti di molte testate (tra le quali Atlantic, AP, New York Times, Washington Post, varie tv e anche due giornali esteri, il francese Le Monde e la tedesca Süddeusche Zeitung).

 

Frances Haugen al Senato 3

Le testate hanno ricevuto il materiale da studiare il 10 ottobre e si sono tutte impegnate a rispettare un embargo fino a stamattina, in modo da dare più impatto all’offensiva mediatica.

 

Pur lavorando per una causa ritenuta nobile – denunciare i danni prodotti ai sistemi politici di molti Paesi dagli abusi di Facebook – i giornalisti che si sono trovati riuniti in questa sorta di consorzio informale non hanno nascosto un certo fastidio: abituati alla concorrenza accanita del giornalismo investigativo, stavolta hanno dovuto cantare in coro.

 

frances haugen

Primo nodo: come chiamare questa nuova impresa giornalistica? Il Journal, rimasto fuori dal consorzio avendo già avuto il materiale in anteprima, premeva perché si continuasse ad utilizzare il logo dei Facebook Files, ma le altre testate, volendo marcare una distanza dal quotidiano finanziario, hanno preferito Facebook Papers.

 

Poi, come racconta oggi Ben Smith sul Times, il fastidio è diventato malessere e anche rabbia quando sono cominciate a uscire le prime indiscrezioni con gli autori degli articoli che hanno cercato di difendersi dalle accuse affermando di non aver violato l’embargo: sostengono di aver usato materiale raccolto dalle loro redazioni prima della formazione del consorzio dei Facebook Papers.

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