1 – IN UCRAINA IL COMICO PRESIDENTE APRE AI RUSSI
Francesca Sforza per “la Stampa”
Il primo discorso da presidente dell' Ucraina, Vladimir Zelensky lo ha rivolto ai Paesi del blocco post-sovietico: «A voi dico, guardate cosa è successo qui, tutto è possibile». Con oltre il 70 per cento dei voti, il comico e protagonista della fortunata serie «Il servo del popolo» ha conquistato al secondo turno la presidenza dell' Ucraina, lasciando al leader uscente Petro Poroshenko - che ha immediatamente riconosciuto la sconfitta - poco più del 25 per cento dei consensi.
«Non farò discorsi patetici - ha concluso Zelensky dopo aver abbracciato gli uomini e le donne della sua squadra a ridosso dei primi exit poll - voglio dire soltanto grazie a ognuno di voi, oggi il cambiamento è cominciato».
Tra i primi a rivolgergli le congratulazioni c' è stato il blogger russo di opposizione Alexiey Navalny, che ha salutato l' arrivo di Zelensky come un segnale politico molto positivo.
Piuttosto fredda invece l' accoglienza del Cremlino: il portavoce del presidente russo Dmitri Peskov ha fatto sapere che «è prematuro parlare delle possibilità di cooperazione con la nuova amministrazione ucraina, mentre quello che si può rilevare è che Kiev ha compromesso la legittimità delle elezioni a causa della negazione del diritto di voto a milioni di ucraini residenti in Russia».
Una reazione che conferma quanto la lettura «Zelensky amico di Putin» sia il frutto delle ultime avvelenate giornate di campagna elettorale - in cui il gioco si era fatto piuttosto sporco - ma non corrisponda alla realtà. Non solo perché nessuno, in Ucraina, può fare una campagna elettorale dichiarandosi amico di Putin e sperare di vincerla, ma anche perché i codici, in questa tornata elettorale, sono davvero cambiati, come dimostra la pacata apertura del neoeletto presidente nei confronti della Russia: «Intendo riavviare i colloqui di pace con i separatisti filorussi, e continueremo nella direzione degli accordi di Minsk per ottenere un cessate il fuoco»
Il segnale più evidente che qualcosa in Ucraina è cambiato, è la scomparsa dalla scena politica di un «padre della patria» come Poroshenko, che ha avuto il compito difficilissimo di tenere il Paese nelle peggiori condizioni geopolitiche possibili. E sebbene non sia esclusa una collaborazione tra i due all' interno del Parlamento (per cui si vota fra qualche mese), è indubbio che la realtà politica appare ribaltata.
arkadij babchenko con petro poroshenko
Anche l' Unione Europea se n' è accorta: «Zelensky potrà contare sul forte sostegno dell' Ue al percorso di riforma dell' Ucraina, compreso il consolidamento dello Stato di diritto, la lotta alla corruzione, il mantenimento della stabilità macrofinanziaria e il proseguimento della riforma essenziale del settore energetico», hanno scritto ieri il presidente del Consiglio europeoDonald Tusk e il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker, facendo sentire la loro voce in un' area in cui l' Europa è tanto invocata quanto, spesso, poco presente.
La realtà ucraina racconta oggi di un Paese che grazie a una serie televisiva ha ritrovato se stesso: sarà stato il combinato disposto di satira e comicità tradizionale o lo straordinario cast di attori e sceneggiatori che hanno fatto sì che la fiction fosse acquistata da Netflix, ma la capacità di immedesimazione che il protagonista Vassily (impersonato da Zelensky) ha saputo creare in un intero popolo non ha precedenti. La lotta quotidiana alle ingiustizie di un insegnante di storia diventato presidente all' improvviso, la guerra senza quartiere contro la corruzione, la sua tenace perseveranza di fronte a una burocrazia elefantiaca e disarmante, ma anche la voglia di futuro, di competenze, di passione politica.
Questi sono stati gli ingredienti de «Il servo del popolo», che puntata dopo puntata si configurava come un vero e proprio manifesto politico, -tanto che le ultime tre sono andate in onda gli ultimi tre giorni della campagna elettorale. «Se io ho votato per un ebreo che parla russo , allora vuol dire che davvero tutto è possibile», dice uno dei tanti commenti nella pagina del «Servo del popolo», che è anche il nome del partito.
Vladimir Zelensky ha portato alla ribalta non solo un protagonista, ma un' intera generazione di nuovi ucraini, che si sono lasciati alle spalle la corteccia antisemita dei loro padri e nonni, che parlano ucraino da quando sono nati anche se conoscono il russo, che guardano all' Europa e chiedono più spazio per il digitale, per i viaggi, per gli scambi. Adesso si tratterà di vedere se le promesse saranno mantenute, se la squadra del presidente sarà all' altezza delle sue ambizioni, ma certo, da ieri, un' intera parte del mondo post-sovietico è stata superata dalla storia.
2 – "NULLA È VERO, TUTTO È POSSIBILE" I TEST SOCIALI NATI DALLE SIT-COM
Jacopo Iacoboni per “la Stampa”
Ucraina, anni dieci del duemila. Un comico che in una sitcom interpreta un cittadino comune che diventa presidente dell' Ucraina contro le élite, diventa davvero presidente nella vita reale. Nell' età in cui niente è vero, tutto è possibile, scriveva il titolo di un libro di Peter Pomerantsev. E infatti le prime parole che quel comico pronuncia, una volta eletto, sono: «Posso dire come cittadino ucraino a tutti i Paesi dell' ex Unione Sovietica, guardateci: tutto è possibile».
Italia, anni zero. Un comico in difficoltà nella carriera inizia a interpretare la parte di un cittadino comune contro le élite, «uno vale uno», «non siamo un partito non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta», sono i suoi slogan. Asseconda, ma in buona parte anche produce e soffia sopra, una rivolta che dieci anni dopo - il 4 marzo 2018 - sfocerà nella più incredibile storia mai vista di un partito interamente creato dal nulla e arrivato al potere in una grande democrazia occidentale.
La storia dei due comici arrivati al potere presenta ovviamente molte differenze: in Italia Beppe Grillo ha creato una macchina sempre più autoritaria, insofferente verso i media e il dissenso interno, alleata con l' estrema destra, durissima sui migranti. In Ucraina Zelensky potrebbe invece offrire uno sbocco di opposizione a una società civile sempre più insofferente verso il presidente uscente Poroshenko.
Il metodo però è simile: entrambi, Grillo e Zelensky, hanno dietro un imprenditore nella comunicazione, Zelensky ha Igor Kolomoyskyi (oligarca che produce anche la sitcom di Zelensky, dal titolo «Servitore del popolo»), Grillo aveva Gianroberto Casaleggio e una piccola società di web marketing.
In un' epoca in cui vero e falso non si distinguono, l' unico che può dire «il re è nudo» con qualche speranza di esser creduto è uno che impersona una parte, meglio ancora se fa ridere: e allora il punto diventerà capire chi scrive i testi. Non è la prima volta che succede, del resto.
In Paesi più piccoli e remoti sono stati condotti i test di maggior successo in tal senso, finora. In Guatemala nel 2015 fu eletto un comico televisivo famoso. Jimmy Morales. Si presentò con lo slogan che gridava spesso anche prima di candidarsi: «Ni corrupto, ni ladrón».
«Onestà onestà», in fondo anche quella era una ripresa di ciò che in Italia già da anni era stato escogitato. Andò a finire che nel 2018 Morales creò un potere insofferente di vincoli e controlli, non rinnovò la «Commissione internazionale contro l' impunità in Guatemala», una authority indipendente che vigila contro la corruzione in quel paese, impedì il rientro nel paese a Ivan Velazquez, il commissario anticorruzione.
Come se il M5S si trovasse con dei leader o dei plenipotenziari arrestati per corruzione. A volte queste cose sembrano situazionismo anarco-marxista, come quello del danese Jacob Haugaard, che iniziò a candidarsi nel '78 e nel '94 finì eletto al parlamento, facendo campagna contro il climate change ma anche a favore della Nutella nelle razioni ai militari. Il nonsense però, a quelle latitudini, difficilmente sfocia in autoritarismo. Altrove sì. Effetto collaterale programmato.
angela merkel petro poroshenko
Nel Brasile di Bolsonaro, poche settimane fa, il comico conservatore Danilo Gentili è stato condannato a sei mesi di galera per aver detto oscenità contro un politico di sinistra.
Meglio mettere le mani avanti, avrà pensato Bolsonaro.
3 – IL COMICO ANTISISTEMA IN UCRAINA? MICA TANTO. ECCO CHE FA IL “SUO” OLIGARCA (20 aprile 2019)
Micol Flammini per “il Foglio”
Sapere di chi fidarsi in questa campagna elettorale ucraina è difficile. Gli elettori, secondo i sondaggi, hanno già scelto: è meglio il nuovo Volodymyr Zelenski rispetto al già sperimentato Petro Poroshenko. Meglio l’attore seppure con la sua vuotezza politica dell’imprenditore accusato di aver disatteso molto promesse. Per Poroshenko, Zelenski è stato il nemico inaspettato, la sua candidatura, il suo linguaggio, i suoi mezzi lo hanno sconvolto e all’improvviso, ma ormai è troppo tardi, l’attuale presidente si è trovato a dover cambiare le armi a sua disposizione.
A cercare i punti deboli, l’imitazione, la forza della sceneggiata. Zelenski si è presentato come l’antiestablishment, come colui che avrebbe potuto rompere con il sistema oligarchico che in Ucraina come in Russia ha spaccato la società in due. Eppure un oligarca lui ce lo ha alle spalle ed è uno di quelli che a Kiev contano di più. Si chiama Igor Kolomoiski e i suoi legami con l’attore sono iniziati anni fa: la serie televisiva che ha garantito a Zelenski la fama – “Servitore del popolo” – è andata in onda sul canale 1+1 di Kolomoiski; sempre sulla rete dell’oligarca è stato trasmesso l’annuncio della candidatura proprio mentre le altre reti mandavano in onda il messaggio dell’ultimo dell’anno del presidente. L’attore ha evitato fino all’ultimo i dibattiti, ha rifiutato gli inviti dei giornalisti e 1+1 ha mantenuto il monopolio su Zelenski.
“E’ un candidato fantoccio”, ha detto da subito Poroshenko e in molti tra analisti e politici non gli danno torto. L’attore non ha alcun peso politico, serviva un volto, nuovo e familiare al tempo stesso, e per qualcuno l’idea di realizzare la serie in cui un professore diventa presidente forse è parte di un progetto più ampio, di una campagna elettorale iniziata con molto anticipo.
Kolomoiski era il proprietario di Privatbank, la più grande banca del paese, alla quale l’oligarca avrebbe sottratto 5 miliardi di dollari. L’istituto poi è stato nazionalizzato e ieri un tribunale ha stabilito che il cambio di proprietà era illegale, dando ragione all’oligarca. Kolomoiski ha 52 anni, ha diversi interessi nei media e nell’energia.
Nominato nel 2014 governatore dello stato di Dnipropetrovsk, nell’est dell’Ucraina, ha finanziato con 10 milioni di dollari il battaglione Dnipro per respingere l’aggressione russa e arginare l’insurrezione separatista. E’ diventato così l’eroe degli ucraini, amato a livello nazionale e internazionale, il Wall Street Journal gli aveva anche dedicato un reportage dal titolo: “L’arma segreta dell’Ucraina: l’esuberante oligarca Igor Kolomoiski”. Ha senz’altro un grande attaccamento patriottico alla nazione, ma anche ai suoi affari e negli anni è stato accusato di corruzione, intimidazione, omicidio. Da quando nel 2015 il governo ha deciso di nazionalizzare Privatbank, Kolomoiski vive all’estero tra la Svizzera e Israele, e Zelenski negli ultimi anni è andato 14 volte a Ginevra e a Tel Aviv, le città da cui l’oligarca non ha mai smesso di fare guerra a Petro Poroshenko, soprattutto attraverso il suo canale dal quale ha accusato il presidente di aver ucciso suo fratello.
Gli ucraini sanno chi c’è dietro a Zelenski, ma non importa, meglio il nuovo, anche se ha finto di essere antiestablishment e non lo era. I sondaggi danno l’attore al 59,7 per cento e il presidente uscente al 21,7. Quello che sembrava impossibile sta diventato possibile, Poroshenko se ne è accorto tardi e quando a fine campagna elettorale ha cercato di rincorrere l’avversario nella sua campagna istrionica era ormai tardi. “Non ha mai lavorato tanto come sotto la minaccia della vittoria di Zelenski”, scherzano gli ucraini che non vedono l’ora di cambiare nonostante i rischi. Ma Poroshenko perderà due volte: contro l’attore e contro Kolomoiski.
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