Dario Balotta per il “Fatto quotidiano” - Estratti
Mentre si dipinge di farsesco la privatizzazione di Ita Airways, nata dalle ceneri di Alitalia - con sentenze che obbligano la compagnia a reintegrare i vecchi lavoratori del vettore ormai fallito - nei cieli italiani si addensano nuovi e minacciosi nuvoloni.
Questa volta è ancora Ryanair protagonista. La compagnia irlandese assieme alle altre low cost che operano sul mercato italiano ha preso di mira il decreto del governo per fronteggiare il caro tariffe esploso quest’estate.
L’intervento era doveroso, ma la modalità si sta rivelando inefficace e si rischia l’effetto boomerang. La reazione della Ryanair, che trasporta un terzo dei passeggeri del mercato italiano (quasi 46 milioni), ne è la prova.
L’amministratore delegato Micheal O’Leary si è spinto addirittura a chiedere le dimissioni del direttore dell’Enac Pierluigi De Palma, cosa che non si sarebbe mai potuta permettere in Germania, Francia o Gran Bretagna, dove i vettori tradizionali sono stati privatizzati e dove le quote di traffico sono distribuite in modo più equilibrato.
De Palma sarebbe colpevole di aver suggerito al ministro Adolfo Urso il decreto che prevede, per abbassare i prezzi, limiti all’uso dell’algoritmo che calcola le tariffe e restringe la concorrenza. Il problema è che anche la reazione di Urso (“non ci faremo ricattare”) è inoffensiva visto che l’Italia è stretta tra l’inadeguatezza e l’inefficienza di Ita Airways, che perde sempre più quote di mercato, e il far west consentito alle low cost, in particolare a Ryanair. L’Italia è la vera “gallina dalle uova d’oro” del colosso di O’Leary: vale più del 35% del suo fatturato e più di un terzo del traffico movimentato.
Nel nostro Paese sono presenti decine di scali pubblici gestiti da enti locali e camere di commercio nati vuoti per dare prestigio alla politica del territorio e che costringevano la vecchia Alitalia (sussidiata dall’Iri prima e dal Tesoro dopo) a fare voli in perdita. Pur di sopravvivere, questi scali, attraverso sussidi mascherati, “pagano” le compagnie low cost per operare da loro. Ryanair è diventata il maggior beneficiario della generosità dei piccoli scali e ne ha colonizzati alcuni, in primis quello di Orio al Serio (Bergamo).
Con il pretesto di adottare tariffe scontate, il vettore irlandese si è da sempre distinto in comportamenti anti-sindacali. Nel nostro Paese ha basato la maggior parte dei suoi aerei, riuscendo a ottenere lauti sussidi dalle società aeroportuali sotto il nome di co-marketing, sotto il ricatto – quando necessario – di spostare i voli in un altro scalo.
L’Italia è il Paese con il maggior numero di aeroporti d’Europa, una quarantina, e questo non gioca a nostro favore. L’eccessiva frammentazione aeroportuale influisce pesantemente sulla produttività degli aeroporti. Questi ultimi, poi, per sopravvivere, debbono riconoscere alle low cost (Ryanair è in testa) un corrispettivo che varia tra 5 e 10 euro a passeggero, un altro sussidio mascherato a favore delle compagnie e a danno degli utenti. Il risultato è che il contributo al Pil del sistema aeroportuale è stimato pari a circa il 3,5% mentre a livello europeo siamo intorno al 4,1%.
Tutto questo con un apporto all’occupazione limitato rispetto ai sussidi pubblici e una occupazione a terra (handling) e lato volo mal retribuita e con tutele normative minime. In Italia Ryanair è stata sotto indagine per evasione fiscale e contributiva ma nonostante questo continua a colonizzare il Paese indisturbata e non sarà un decreto a risolvere lo stato di crisi del trasporto aereo italiano.
Il governo è stretto in un vicolo cieco: non può alzare la voce perché Ita non è in grado di costituire un’alternativa sul mercato domestico, che non ha nessuna intenzione di presidiare, e rischia contestazioni europee se i servizi della Commissione dovessero riscontrare che il decreto vìola il Regolamento UE 1008/2008 sui servizi aerei.
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