Carlo Laudisa per “la Gazzetta dello Sport”
Un miliardo e 300 milioni di euro in nove anni per una finale di Champions League. L'emiro Al Thani non ha badato a spese per arrivare sul tetto d'Europa e la sua dispendiosissima caccia alle stelle ha contraddetto il lodevole spirito del Fair Play Finanziario, lo strumento ideato dall'Uefa per aiutare i club ad uscire dalle secche dei debiti. Dopo un decennio Ceferin ha raggiunto l'obiettivo. Ma a caro prezzo.
Sul piano della competitività e (per certi versi) della credibilità. È fresco il ricordo dell'assoluzione del Manchester City, l'altro colosso arabo che in questi anni ha schivato le norme e i controlli con una condotta evidentemente spregiudicata. Detto che anche in questa edizione lo squadrone di Pep Guardiola si è fermato ai quarti, resta sullo sfondo una sensazione di amarezza: di occasioni mancate.
In questi anni i nostri club hanno faticato a districarsi tra i paletti del monitoraggio. Inter e Roma hanno penato a lungo, mentre il Milan è tuttora sotto osservazione. Vista da casa nostra è una vicenda ricca di contraddizioni. Tante ristrettezze per chi prova ad alzare la testa e pochissimi freni per i ricchi.
E con questo sistema i rapporti di forza economici (e tecnici) rischiano di restare cristallizzati. Un fenomeno che in prospettiva merita riflessioni. L'impressione è che i vertici della confederazione europea stiano elaborando dei correttivi. In questi giorni è sulla bocca di tutti il futuro di Leo Messi: con l'Inter che sfida proprio City e Psg. Con quali armi si combatterà questa battaglia? Partono tutti alla pari?