Jacopo Aliprandi per corrieredellosport.it
Sono trascorsi 294 giorni dal momento in cui la Roma ha cominciato la discesa verso gli inferi. L’esonero di José Mourinho ha segnato l’inizio della crisi, non (solo) per il licenziamento di un punto di riferimento per l’ambiente romano, dell’allenatore che ha trascinato il club verso la vittoria di un trofeo europeo sfiorandone anche un altro, che ha ridato entusiasmo a una piazza rassegnata da risultati mediocri, che ha messo la faccia pubblicamente risultando l’unico dirigente a denunciare problemi interni ed esterni.
Ma anche perché ha tracciato il punto di non ritorno di una proprietà che da lì ha preso solo decisioni di pancia, confuse e disorganizzate. Come?
Cacciando due allenatori, sfoltendo l’organigramma dirigenziale, ascoltando soltanto la voce interna della Ceo Souloukou e quella esterna di Charles Gould della Retexo senza avvalersi di altri consigli di chi invece avrebbe potuto cambiare immediatamente le sorti di una stagione che è a un filo dall’essere compromessa definitivamente.
Il direttore sportivo è stato preso tramite una società di consulenza e non parla altra lingua che il francese, il direttore tecnico resta soltanto un’invocazione di chi lavorava (e lavora) quotidianamente all’interno del Fulvio Bernardini, oltre che dei tifosi che dal primo anno di Mou avevano capito il bisogno di una figura che proteggesse mediaticamente l’allenatore, i giocatori e lo stesso club.
La scelta dell’ultimo allenatore, Ivan Juric, è arrivata tramite consigli esterni, interpretazioni tattiche e valutazioni algoritmiche che al momento non stanno avendo successo. Insomma, 294 giorni di caos nei quali è stato cancellato tutto quello che è stato fatto di buono nelle stagioni precedenti e che hanno portato la Roma in purgatorio. Il problema per i tifosi è che la discesa può ancora proseguire.
Roma, 120 milioni investiti male e i dirigenti
I Friedkin - ora impegnati soprattutto sull’Everton - hanno indirettamente rivendicato il loro importante investimento sul mercato, spiegando così anche l’esonero di DDR dopo appena quattro partite e un rinnovo triennale firmato appena due mesi prima. Sono 123,2 i milioni spesi per gli acquisti, mica male per un mercato in tempo di crisi. I soldi ci sono, però poi bisogna investirli bene.
Non si discutono i 35 milioni per Dovbyk, fin qui uno dei pochi positivi e che è riuscito a segnare sei gol ricevendo pochi palloni giocabili. Ci si può domandare invece perché arrivare a spendere 23 milioni per Le Fée per cedere Bove a 12, o perché non prendere un terzino destro titolare promuovendo il panchinaro Celik e chiamando Abdulhamid dagli Emirati. Poi riscattare Angeliño senza però inserire un altro titolare ma il giovane e inesperto Dahl dal Djurgarden. Totale minuti giocati dallo svedese: zero.
Poi gli innesti tardivi di Koné, Hermoso e Hummels, tre profili chiesti da De Rossi a inizio estate e arrivati a fine mercato, pochi giorni prima del suo esonero. Tanti punti di domanda che non hanno ancora ricevuto risposte. Il perché è semplice: i Friedkin non parlano se non attraverso comunicati, la Ceo Souloukou durante il suo incarico non ha mai rilasciato una dichiarazione ufficiale, Ghisolfi sembra aver preso da poco il controllo completo della direzione sportiva.
Ah, già: il club da un mese e mezzo è anche senza amministratore delegato. La Roma è nel caos: la colpa a Trigoria veniva attribuita prima a Mourinho e poi a De Rossi, ora invece non viene neanche più puntato il dito. Forse perché al Fulvio Bernardini non c’è più nessuno, forse perché il dito non sa più dove puntare: se in Texas, in California, in Inghilterra o in Francia. Di sicuro, almeno fino a ora, non nella sede della Roma.