Da I Lunatici Radio2 https://www.raiplayradio.it/programmi/ilunatici/
Arrigo Sacchi è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in onda dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei (tra la mezzanotte e cinquanta e le due circa il format viene trasmesso anche in tv su Rai 2).
L'ex allenatore di Milan e Nazionale ha parlato un po' di se: "Il mio rapporto con la notte? Da sempre vado a letto molto tardi, anche adesso. So che sbaglio, perché le ore migliori per dormire sarebbero quelle antecedenti all'una, però sbagliare è umano.
Da allenatore, non sempre facevo il giro dell'albergo per vedere se i ragazzi erano a letto. Ogni tanto prima delle partite andavo nelle camere per ribadire concetti, dare coraggio e chiarezza. Per risparmiare le visite, avevo messo i due difensori centrali nella stessa camera, i due attaccanti nella stessa camera, e così via".
Sugli esordi del mito legato alla sua carriera: "Da bambino se andavo in bicicletta sognavo di essere Coppi, se giocavo a calcio volevo essere un grande giocatore, ma ho sempre amato molto il pallone. Ho amato talmente tanto il calcio, che una volta, a otto anni, mentre ero al mare con la mia famiglia, mi persero.
Era il 1954, in Italia non era ancora diffusa la televisione, erano tutti disperati perché ero scomparso, ma mio padre aveva visto che c'era un bar che trasmetteva la partita, e venne al bar sapendo che mi avrebbe trovato lì. Sono diventato un allenatore per caso. Ho giocato a calcio fino a 19 anni. Poi ho smesso.
Mi sposai, iniziai a condurre una vita regolare, ma la squadra della cittadina in cui io abito stava retrocedendo e mi chiesero se andavo a giocare. Ci salvammo. Avrei dovuto giocare anche l'anno dopo, ma d'estate mi venne un gran male alla schiena. E allora il dirigente tecnico di questa squadra, il bibliotecario di Fusignano, mi disse di fare l'allenatore. Risposi che non ero capace, lui fu insistente.
Dopo un mese parlavo già come gli allenatori. Si chiamava Alfredo Belletti. Andai da lui chiedendogli di comprare un libero. Lui mi rispose che se fossi stato un bravo allenatore, il libero l'avrei costruito con le idee e con il lavoro. Mi fece capire tutto. Vincemmo il campionato, e pensai che vincere fosse la cosa più semplice del mondo. Non è così".
Ancora Sacchi: "Non pensavo di entrare nella leggenda, ma dico una cosa che vale per tutti, in ogni ambito. Ci si realizza non solo attraverso la vittoria, ma attraverso l'impegno e il lavoro.
Quando uno ha dato tutto quello che può dare è già un vincitore. Purtroppo questo Paese oggi ha una posizione culturale non elevata e lo testimonia il fatto che in Europa le iscrizioni all'università ci vedono al penultimo posto. Noi abbiamo fatto di tutto per non far crescere la cultura in questo Paese. Parlo del calcio, ma anche in generale. C'è una gara a chi cerca sempre di far le cose senza aiutare gli altri. Eroi sono tutti coloro che fanno quello che possono fare. E quante volte facciamo questo?".
L'ex tecnico di Milan e Nazionale è un fiume in piena: "Questo Paese, quando ha fatto squadra, è diventato una forza veramente. Questo Paese, persa la guerra, era distrutto moralmente, economicamente e materialmente. Dopo 25 anni eravamo la quinta potenza economica mondiale. Questa è la forza della squadra. Il nostro Paese ha confuso i valori. Crede che le scorciatoie siano il progresso. E' un Paese che crede che le conoscenze valgano più della conoscenza. E' un Paese purtroppo dove il giornalista se vinci anche non meritando, ma hai vinto, per vendere più giornali dice delle bugie. E' una gara a chi è più scorretto. Cerchiamo sempre di fare delle piccole congreghe per avere un vantaggio. Ma così non si fa squadra".
Sul calcio: "Da ragazzino sentivo tanti stranieri parlare di Italia e dire solo pizza, spaghetti, mafia e catenaccio. Io ho deciso di provare a togliere il catenaccio, nel mio piccolo. Nel dizionario internazionale del calcio c'erano solo due parole italiane, che erano catenaccio e libero. Ma con queste parole vai vicino al passato, non al futuro. Prendere delle scorciatoie ti fa regredire, mentre gli altri avanzano. In nazionale convocai 120 giocatori per sceglierne 20 e mi criticarono. Ma io guardavo per prima cosa la persona, la sua etica, il suo impegno, il suo approccio al collettivo. Pensate sia facile trovarne in Italia 20 su 100?"
Sui mondiali di Usa 94: "Si parla poco del nostro secondo posto ed è un fatto politico. E' una vergogna. Siamo arrivati secondi ai rigori, oltre oceano, dove le squadre europee non hanno mai vinto. Alcuni partiti all'epoca dicevano di parlare male della Nazionale. Noi non siamo cavalieri del lavoro anche per questo. Abbiamo perso ai rigori. Se rifarei giocare Baggio nella finale? Io ero l'allenatore e avevo uno staff di medici. E di preparatori atletici. Se loro mi dicevano che poteva giocare, io lo facevo giocare. Non ho nemmeno un rammarico.
Sono stato 27 anni in compagnia dello stress, l'ho governato e mi ha dato un plus valore per 27 anni, quando ho visto che non lo governavo più, e fu dopo una vittoria che non mi fece provare nessuna gioia, capii di essere arrivato. E mi sono ritirato. Ero ancora giovane. Io ho passato 27 anni in cui avrò visto cinque film in tutto. Ho dato la vita al calcio e il calcio mi ha ripagato di emozioni impensabili che io potessi avere. Io e il Milan di Berlusconi siamo andati oltre il sogno. Nessuno di noi aveva mai pensato di poter essere la più grande squadra di club di tutti i tempi".
Sul Milan: "Abbiamo massacrato le squadre spagnole, il Barcellona, il Real Madrid, in quel momento, dal 1989 al 1999 il calcio italiano sfruttando una società nuova come era il Milan ebbe grandi successi. Sull'esempio del Milan in quegli anni le squadra italiane hanno vinto 16 trofei internazionali. Negli ultimi 20 anni ne abbiamo vinte 3. Dal 2010 al 2021 ne abbiamo vinte zero.
Il Milan era stato un esempio di quanto fosse importante essere una squadra dove tutti si muovevano ed erano in posizione attiva. Berlusconi la prima volta che ci incontrammo mi disse che avremmo dovuto diventare la più grande squadra del mondo. Io risposi che era un obiettivo frustrante e limitativo. Quando l'Uefa ci ha riconosciuto che il Milan del 1989 è stata la più grande squadra di tutti i tempi, chiamai Berlusconi e gli spiegai perché quel giorno dissi che l'obiettivo posto poteva essere anche limitativo. Lavoravamo tantissimo.
Andammo con gradualità. Ebbi la fortuna che al Milan la società mi ha sempre difeso. Ho avuto degli inizi terribili. Col Fusignano perdemmo tutte le partite amichevoli. Ma quando vuoi costruire una baracca, non servono fondamenta profonde. Se vuoi costruire un castello, invece, il primo passo sono le fondamenta".
Sui calciatori allenati: "Al Milan presi Carlo Ancellotti che aveva già subito la rottura di due crociati e tre menischi. Dalle visite mediche fu appurato che aveva il 20 percento di inabilità sul ginocchio sinistro. A Roma dicevano a Berlusconi che ci avevano dato una fregatura, ma lui fu grandissimo a prenderlo".
Poi Sacchi ha svelato degli aneddoti: "Sono stato quattro anni al Milan, poi mi sono dimesso. Il calcio mi piaceva ancora dopo il quarto anno, ma non riuscivo più a stare a certi ritmi. E mi chiamò la Nazionale. Mi cercò la Juventus, chiesero a Berlusconi di lasciarmi libero, ma non sarei andato. Avevo bisogno di avere altri ritmi, rifiutai il Real Madrid, potevo andare solo in Nazionale. Anni dopo mi cercò Cragnotti della Lazio, dissi di no, ma gli feci prendere Zeman".
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