Marco Bonarrigo per il "Corriere della Sera"
Noi anime semplici immaginiamo che dietro alla medaglia d'oro di Marcell Jacobs ci siano un tempo di reazione missilistico allo sparo dello starter (0,1 secondi), una velocità di punta da scooter (43 km/ora), la capacità di divorare i 100 metri in 45 falcate da 2,27 ciascuna.
Il suo allenatore Paolo Camossi si concentra invece su un esercizio di geometria. Prende una foto di Marcell a piena falcata, traccia con la matita una prima linea perpendicolare dal bacino al suolo e poi una seconda verso la punta del piede.
«Ho capito che Marcell poteva ottenere qualunque risultato - spiega - quando dalle telecamere con cui filmiamo gli sprint ho visto che il tempo di passaggio del piede sul punto di proiezione del bacino era sceso a otto centesimi di secondo. A quel risultato abbiamo lavorato per cinque anni: quando il piede vola alla frequenza del battito d'ali di una farfalla uno sprinter non ha più limiti. Velocità, ampiezza del passo, potenza contano, per carità, ma un piede libero da ogni freno è il vero punto di svolta».
analisi della gara di marcell jacobs
L'analisi di uno sprint di alto livello è uno dei fronti più affascinanti della fisiologia sportiva. Non è un caso che domenica sul prato e sulle tribune dell'Olimpico di Tokyo il New York Times abbia raccolto e poi passato a uno staff di sette tra fisiologi e biomeccanici - che ci lavoreranno per mesi - le immagini della gara raccolte da oltre 100 fotografi.
Se per valutare la velocità di un'automobile il parametro standard è il tempo impiegato per raggiungere da ferma i 100 km/ora, per un grande velocista è il punto della gara in cui tocca i 10 metri al secondo.
«L'optimum - spiega Camossi, ex triplista di valore - è arrivarci al 18° metro, come lui a Tokyo: vuol dire che sei partito bene e hai rilanciato al massimo». Fino a quel punto, Marcell era soltanto sesto. Al 24° metro, Jacobs ha innestato il turbo diventando il più veloce di tutti, al 72° ha raggiunto la velocità massima (43 km/ora), solo al 94° ha mollato, per stanchezza e perché non c'erano avversari nel suo orizzonte visuale.
«Ha coperto i 100 metri in 45 passi e un piede - spiega Camossi - sviluppando una falcata di 2 metri e 21. Per togliere quei pochi millimetri di ampiezza a falcata che servivano a ottenere la massima efficienza dai suoi muscoli, evitando ogni irrigidimento, abbiamo brigato per mesi perché lo sprint non è solo correre più veloce, ma essere il più fluido possibile. L'aspetto più difficile è calibrare gli esercizi di forza: tra il troppo e il troppo poco il margine è minimo. Nelle ultime settimane i pesi non li abbiamo toccati».
Tra i segreti di Marcell c'è l'Optojump, un sistema di fotocellule e sensori montati su binari che analizza i tempi di volo e contatto col suolo nella ripetizione maniacale degli sprint, sputando migliaia di numeri.
E poi la famosa «gabbia» di plastica agganciata a un'automobile che vince la resistenza dell'aria e i cui video (registrati ai Marmi di Roma) spopolano sul web. «Ci corri un 100 metri in 9"40 - spiega Camossi - ma è stretta, scomoda e dentro ci si soffoca. Non serve per andare più veloci, ma per imparare a correre meglio sfruttando la leggerezza dell'aria».
E le scarpe? Delle Nike MaxFly che Jacobs indossava domenica si dice facciano guadagnare fino a 8 centesimi. «Stando a Marcell che le trova molto comode - spiega Camossi - sono leggermente penalizzanti nel primo tratto e vantaggiose nel finale. In finale le avevano in quattro ma altre hanno caratteristiche simili. Non abbiamo dati oggettivi, ma non ho mai sentito Mennea lamentarsi delle super scarpe di Bolt».
LA VITTORIA DI MARCELL JACOBS LA VITTORIA DI MARCELL JACOBS LA VITTORIA DI MARCELL JACOBS NELLA FINALE DEI 100 METRI Marcell Jacobs