IL WORKING CLASS HERO DELLA PANCHINA – DOPO BRIAN CLOUGH NEL “MALEDETTO UNITED”, LO SCRITTORE DAVID PEACE “CANTA” L’EPOPEA DEL LIVERPOOL “OLD LABOUR” DI BILL SHANKLY – DALLA SECONDA DIVISIONE AI TRIONFI POI LE DIMISSIONI IMPROVVISE PRIMA DELL’ARRIVO DELLA THATCHER
Francesco Persili per “Dagospia”
Fabbriche vuote, palazzi fatiscenti, rivolte e disoccupazione alle stelle. Primi anni Ottanta, Liverpool sembrava Beirut «ma con gli uffici di collocamento» e veniva sferzata dalle parole al veleno del primo ministro Margaret Thatcher. «Lì non hanno voglia di lavorare».
Il football inglese dominava in Europa e in quella città colpita al cuore dallo smantellamento dei docks e dalla paralisi del porto sembrava non ci fosse niente tranne che il calcio. Bill Shankly, l’allenatore che aveva costruito da zero la leggenda dei Reds, ringhiava: «Il calcio non è niente ma è tutto per la gente di Liverpool. Quello che facciamo il sabato dà uno scopo e un senso ai lavoratori. Perché il calcio è lo sport dei lavoratori».
Copertina del libro su Bill Shankly
Working class hero della panchina, Bill il rosso è stato il demiurgo dell’epopea Reds. Prese nel 1959 il Liverpool nella seconda divisione del campionato inglese e lo lasciò 15 stagioni più tardi in prima divisione, con tre campionati, due Coppe d’Inghilterra e la Coppa Uefa in bacheca. Ma cosa portò il tecnico scozzese a lasciare la panchina della squadra?
Il Magical Mystery Shankly viene cantato da David Peace nel libro “Red or Dead” (pubblicato in Italia da “il Saggiatore”. Un ritorno al calcio per lo scrittore inglese, oggi residente in Giappone, dopo il successo del Maledetto United in cui aveva raccontato un altro santone del calcio inglese: Brian Clough. L’anello di congiunzione tra le due leggende della panchina è nel fatto che entrambi sono riusciti ad essere eroi popolari, cioè di tutti, come rivela Shankly in un passaggio sull’allenatore ideale per la nazionale inglese: «Brian Clough è l’uomo che la gente vorrebbe su quella panchina perché è un uomo del popolo. Come me».
Bill il rosso applicò al calcio i canoni socialisti del suo villaggio di minatori: epica ed etica del lavoro, senso di comunità. Lui, i suoi uomini, ogni singolo dipendente del club. All together. Una missione collettiva per rendere felici i tifosi e ricambiare la loro fiducia. Peace restituisce l’ossessione totalizzante e alienante di Shankly attraverso uno stile ipnotico. Un loop di frasi e gesti ripetuti. Tabellini e cronache. Divieti di giocare a golf (può provocare stress innaturali a un calciatore professionisti) e aforismi a gogò: «A Liverpool ci sono due squadre forti.
Il Liverpool e le riserve del Liverpool. Parlare degli avversari? È l’ultima cosa da fare, serve solo a renderli più forti di quello che sono». Sarà per questo che prima delle sfide col Manchester United radunava i suoi uomini davanti al tavolo del Subbuteo e lì si divertiva a sminuire gli avversari in miniatura? Si entra nel «santuario di Anfield» e si esce trasformati da quel coro “We’ll never walk alone”, la colonna sonora del football, anche se non sei tifoso del Liverpool. Partita dopo partita, allenamento dopo allenamento, prende forma l’ambizione del tecnico scozzese e il calcio diventa un pretesto per raccontare splendori e miserie della società inglese.
L’epoca d’oro coi Beatles e Allen Ginsberg che definì Liverpool «il centro di coscienza dell’universo». Una «San Francisco più grigia», capitale del pop e del football. Poi le improvvise dimissioni di Shankly, che si intrecciano con quelle del primo ministro laburista Harold Wilson, e segnano l’inizio del crepuscolo. Il tecnico che aveva costruito l’invincibile Liverpool si aggira per la città come un re decaduto venerato dai tifosi ma osteggiato dal club che aveva portato al trionfo. I tempi erano cambiati. Il 3 maggio 1979 Margaret Thatcher diventa primo ministro. «Bill Shankly guardò fuori dalla finestra. La strada deserta, le case silenziose. Le tende tirate, le porte chiuse a chiave. Tirate e chiuse a doppia mandata per sempre».
Per i tifosi del Liverpool Bill Shankly è stato più di una guida. Una stella polare, un magnete dell’iperbole. “He made the people happy”. La statua a lui dedicata ad Anfield è lì a testimoniare il debito di gratitudine nei confronti di chi “ha fatto felice la gente”. I suoi aforismi restano scolpiti nell’immaginario. E chissà in questi anni tra Blair, Balotelli e Cameron il vecchio Bill come si sarebbe divertito…