MI AMI? MA QUANTO MIAMI! – PER I 20 ANNI “MIAMI ART BASEL” FESTEGGIA ALLA GRANDE, ANZI DI PIÙ CON UN CALENDARIO DISINIBITO, COINVOLGENTE E RICCO DI PROPOSTE: SI TRATTA DELL’EDIZIONE PIÙ AMPIA DI SEMPRE CON IL MIAMI BEACH CONVENTION CENTER CHE OSPITA 282 GALLERIE DA 38 PAESI - I COLORATI E STREPITOSI MURALES DI WYNWOOD WALLS A SAINT LAURENT CHE PUBBLICA LA RIEDIZIONE DEL VOLUME SEX CURATA DA MADONNA CON UNA MOSTRA VIETATI AI MINORENNI - L'ITALIANA MARIA CRISTINA DIDERO HA CONFEZIONATO THE “GOLDEN AGE”, L'ARTISTA UCRAINO NIKITA KADAN SCRIVE A CHIARE LETTERE “FUCK WAR” E…
Francesca Amé per "Il Giornale"
«Un miracolo». Commenta così il New York Times il successo di «Miami Art Basel» che in questi giorni vede tra palme e oceano una quantità sorprendente, mai così grande, di eventi, mostre, gallerie, collezionisti, artisti. La figlia primogenita e prediletta di Art Basel, l'elvetica regina delle fiere di arte contemporanea che poi ha partorito anche le fiere-sorelle di Hong Kong e, da quest' anno, di Parigi, era nata all'indomani dell'11 settembre per portare Oltreoceano qualche proposta allettante per i facoltosi portafogli della Florida desiderosi di investire. Compie adesso vent' anni, affrancandosi dall'algida genitrice e mostrando un carattere particolare, quello di chi ama fare le cose a modo suo. A Miami in fiera si viene (anche) in ciabatte, non si corre praticamente mai, gran parte del divertimento sta nel chiacchierare nelle lussureggianti lounges che punteggiano lo spazio, meglio se con un drink in mano, la dolce cadenza spagnola prevale (quasi) sull'americano.
Abbiamo fatto un test: girando da sola per gli stand non passano più di dieci minuti prima che qualche visitatore di passaggio non condivida un'opinione o non chieda una foto.
Qui si viene per condividere, per chiacchierare, per socializzare, qui i collezionisti arrivano in braghe corte e occhiali da sole, comprano parecchio (ma senza ostentazione). «Miami Art Basel» ha qualcosa che manca a molte altre fiere del settore: è morbida, accogliente.
Rispecchia l'anima latina della città e in due decenni ha saputo incubare a sua volta decine e decine di progetti culturali, tanto che in questi giorni, in una Miami trafficatissima e battuta da un insolito vento, non si contano le fiere satellite e le mostre temporanee. Letteralmente.
Persino il Miami Herald ha alzato le braccia: troppi gli eventi per enumerarli tutti.
Qualcuno però vogliamo citarlo: i colorati e strepitosi murales di Wynwood Walls, che proprio in questi giorni si arricchisce di dieci progetti (incluso quello dell'italiano Millo); un'altra fiera, «Contest», più attenta allo scenario emergente, e soprattutto «Untitled», che occupa Ocean Drive con una serie di installazioni acchiappa-foto.
I progetti di arte pubblica, sotto questa luce e in questi spazi, rendono il doppio: basta passeggiare per Lincoln Road per imbattersi nei leoni, nei gorilla e nei giga-animali che il francese Richard Orlinski, dopo il felice debutto sugli Champs-Elysées, ripropone a una nuova latitudine. A Miami anche la moda è di casa e tutti i brand più noti presentano o promuovono qualcosa: l'idea più piccante è di Saint Laurent che pubblica la riedizione del volume Sex curata da Madonna e dal direttore creativo della maison, Anthony Vaccarello, con tanto di mostra fotografica per soli adulti allestita sulla spiaggia (un giro a bordo oceano non si può non fare, anche solo per fotografare le casette color pastello dei baywatch locali).
Come Miami sia riuscita in due decenni a trasformarsi da meta sun & fun a tappa obbligata per gli art lovers planetari, sarebbe un caso da studiare: fino a domani sotto le palme già agghindate con le luminarie di Natale si trasferiscono qui mezza Hollywood (Leonardo DiCaprio in testa, seguito ovunque dai fotografi), il gotha del collezionismo mondiale (ma anche italiano: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo si aggirava felice fra gli stand), le gallerie più all'avanguardia, gli artisti più promettenti, uno stuolo di ventenni newyorchesi che ambisce a lavorare nel settore delle pubbliche relazioni che sembra uscito da una serie Netflix (e che rappresenta un'opera d'arte da osservare a sé). Quella di quest' anno è poi l'edizione più ampia di sempre: il Miami Beach Convention Center ospita 282 gallerie da 38 Paesi, Italia inclusa (e con ottimi ritorni, come quello di Lia Rumma). Miami è riuscita nel miracolo di superare una certa pacchianeria dei modi trovando una sua cifra che è fatta di divertimento (altra cosa che non si conta in città: il numero di feste negli hotel sul mare e nei club a downtown) ma anche di impegno.
Non mancano opere su temi scomodi per il conservatorismo della Florida (aborto, diritti della comunità LGBT, razzismo, femminismo). Di fronte alla fiera, al Pride Park, l'italiana Maria Cristina Didero ha confezionato per «Design Miami», che si svolge sempre questa settimana, un'edizione che è programmatica fin dal titolo: «The Golden Age» punta alla riscossa e alla rinascita attraverso la creatività.
Del resto, Miami è quel posto in cui Maurizio Cattelan può appiccicare con lo scotch una banana al muro della fiera (e vederla a 150mila dollari: accadde nel 2019) e dove oggi, nella sezione Nova dedicata ai nuovi talenti, l'artista ucraino Nikita Kadan scrive a chiare lettere «Fuck war» sui suoi disegni e sculture realizzate nel rifugio a Kiev e ora esposti dalla Galerie Jérôme Poggi, mentre nella sezione principale si registravano già il primo giorno vendite da urlo (come i fiori di Andy Warhol da Pace Gallery a 3,8 milioni di dollari) e un artistar come JR, famoso per le sue creazioni illusionistiche, girava con l'immancabile cappello facendo il pieno di post su Instagram. Impegno & divertimento, dunque.
Suddivisa in cinque sezioni più tre collaterali, la fiera, cullata e coccolata dal global manager Marc Spiegler al suo ultimo mandato (mentre ai vertici di Art Basel è da poco entrato Vincenzo De Bellis), galvanizza il mercato e i cuori, prende a braccetto le sperimentazioni del Nord America e gli slanci emotivi del Sud, cattura le energie dell'Europa e dell'Asia e nella sua sezione più bella e corposa, Galeries, presenta progetti interessanti, dove non mancano i contributi italiani come quello di Galleria Continua che offre una riflessione sui flussi migratori dell'argentino Leandro Erlich e dal cubano Yoan Capote, quello di Massimo De Carlo con i «ritmi colorati» di Carla Accardi, di Tornabuoni che si concentra sui geniali lavori di Alighiero Boetti (peraltro molto esposto, anche qui a Miami) e di Mazzoleni, con i lavori di Lucio Fontana, Bonalumi, Jannis Kounellis (che piace sempre tanto).
Serve tempo per vedere tutto per bene e la sola sezione Meridians, che apre la fiera con le installazioni di grandi dimensioni, vale da sola il biglietto. In questi giorni, tra gli addetti ai lavori c'ere chi sosteneva che il Miami artstyle farà presto concorrenza a New York e Los Angeles per accaparrarsi il favore del pubblico del gran circo dell'arte contemporanea.
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