Niccolò Carratelli Francesco Rigatelli per “la Stampa”
Non è tanto, o solo, un problema di posti, di letti da trovare e respiratori da montare. A preoccupare i primari dei reparti di rianimazione e terapia intensiva è soprattutto la carenza di uomini e donne capaci di far funzionare quelle macchine. «Noi abbiamo preso un solo anestesista in più, un giovane specializzando - racconta Sebastiano Macheda, dirigente all' ospedale di Reggio Calabria - Ma intanto un collega è andato in pensione e un altro si è trasferito al nord».
Niente turnover e così è inutile aumentare i posti, che poi «in Calabria ne sono stati attivati solo 6 in più in tutta la regione, altro che raddoppio», spiega Macheda. Va meglio all' ospedale Maggiore di Bologna, dove «abbiamo costruito 34 posti in più - dice il primario Nicola Cilloni -. Il reparto è già pieno a metà. Due settimane fa non avevamo pazienti».
Del resto, ieri in Italia i malati Covid in terapia intensiva hanno superato quota mille.
Stessa tendenza al Niguarda di Milano: «Abbiamo già convertito in reparti Covid quelli di Medicina generale - racconta il primario Roberto Fumagalli - ora che si va riempiendo la terapia intensiva dobbiamo aumentare la disponibilità di posti».
La Lombardia, con l' Emilia-Romagna, è tra le 10 regioni che, secondo l' Istituto Superiore di Sanità, potrebbero raggiungere nel prossimo mese la saturazione del 30% dei posti in rianimazione dedicati ai malati Covid. La soglia oltre la quale scatta l' allarme per la tenuta del sistema. Nella lista c' è anche la Campania. «Qui sono aumentati i letti, ma le forze non sono sufficienti», avverte il professor Giuseppe Servillo, primario di Anestesia e Rianimazione e direttore della scuola di specializzazione all' università Federico II di Napoli. «Non basta nemmeno più inserire gli specializzandi del quarto e quinto anno, si dovrebbe allargare al terzo e anche chiamare gli anestesisti delle Asl - spiega -. I nuovi ventilatori non funzionano da soli, servono le competenze. Temiamo di non riuscire a gestire l' emergenza vera, che deve ancora arrivare».
Niente interventi Per farlo sarà inevitabile rimandare ancora gli interventi chirurgici programmati e non urgenti, per spostare la maggior parte degli anestesisti-rianimatori nelle terapie intensive Covid. «Non ce la fanno più - spiega Flavia Petrini, presidente della Società di Anestesia Rianimazione e Terapia intensiva -, continuano a fare doppi turni per affrontare la crescita dei ricoveri per Covid. Ma se il trend non muterà, sarà inevitabile ridurre le altre attività».
Prova ad essere ottimista Maurizio Berardino, direttore del Dipartimento di Anestesia e rianimazione della Città della Salute di Torino: «Se abbiamo tenuto a marzo ce la faremo anche ora - dice - ma sarà difficile non tralasciare le altre urgenze, dalla cardiologia all' oncologia». Secondo Luigi Tritapepe, primario al San Camillo di Roma e referente per le terapie intensive della Regione Lazio, il problema è che «non siamo e forse non torneremo in lockdown, quindi avremo da gestire tutta la chirurgia traumatica, quella degli incidenti stradali per capirci, che rappresenta il 60% del lavoro». Al momento i posti in rianimazione nel Lazio sono stati aumentati solo «del 10-15%» e per Tritapepe servirebbero «circa mille infermieri in più e altri 150 anestesisti».
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
Inutile, però, portare altri specialisti a dare una mano in rianimazione, almeno secondo Alessandro Vergallo, presidente dell' Associazione anestesisti e rianimatori ospedalieri: «Si farebbe solo confusione, meglio uno specializzando di un dermatologo».
Il fabbisogno A livello nazionale servono 3mila posti di terapia intensiva in più, rispetto ai 5mila dell' era pre-Covid, ma per ora «ne sono stati creati circa 1.500», spiega Vergallo. E, per garantire tutte le prestazioni, si dovrebbero reclutare 4mila anestesisti, che però non ci sono. «Temiamo un raddoppio dei ricoveri in terapia intensiva entro 15 giorni - avverte - l' organico non basterà».