DAGOREPORT
"Furbizio" Palenzona torna a fare ciò che lo ha tenuto a galla attraverso qualsiasi tipo di potere si sia avvicendato a Palazzo Chigi: il mediatore di pace. Come ai tempi di Aiscat, quando si mise a fare il paciere tra i Gavio e i Benetton. Una volta che si mette in mezzo, i contendenti diventano burattini costretti a interpellarlo per risolvere ogni diatriba.
Ricicciato a sorpresa alla presidenza della Fondazione Cassa Risparmio di Torino (CRT), scalzando il predecessore Giovanni Quaglia che ha così pagato lo sconsiderato appoggio a Caltagirone nella fallita scalata di Generali, di cui CRT è azionista, l’astuzia da antico democristiano di Palenzona non ha perso smalto: ha subito fottuto, mettendolo in minoranza, chi l’aveva innalzato alla presidenza: l’ingenuo sindaco di Torino Stefano Lo Russo (con la moral suasion di Banca Intesa).
In attesa di incrociare le lame con il Grande Vecchio delle fondazioni bancarie (Cariplo), l’inossidabile Giuseppe Guzzetti, voglioso com’è di occupare la poltrona in scadenza di Francesco Profumo all’Acri (destinata al guzzettiano Azzone), forte di padroneggiare una CRT che ha in pancia Generali 1,61%, Unicredit 1,9%, Bpm 1,8%, Palenzona si fa intervistare da “La Stampa” per proporsi “mediatore di pace” nel duello su Mediobanca e Generali che vede contrapposti, in teoria, Milleri/Delfin e Caltagirone, da una parte, Nagel e Donnet, dall’altra.
francesco profumo giuseppe guzzetti
"In teoria" perché Francesco Milleri, erede manageriale dell’impero di Leonardo Del Vecchio, non ha gli stessi obiettivi di un Caltariccone, ormai più immobiliarista-finanziere che editore.
La Delfin guidata da Milleri oggi è più vocata a un ruolo di azionista ‘’passivo’’, che punta a intascare i ricchi dividendi per far felici gli otto agitati eredi di Del Vecchio, quindi è più disponibile a un accordo e/o mediazione con il boss di Mediobanca, Alberto Nagel, e lo zar di Generali, Philippe Donnet.
Ed ecco infilarsi tra i litiganti, come “mediatore di pace”, lo scaltro Palenzona. Che, da immarcescibile piemontese “falso e cortese”, dopo aver fatto silurato l’alleato CRT di Calta, Giuseppe Quaglia, ora gli rifila un cucchiaino di miele: ‘’Sono un grande amico e un estimatore dell'ingegner Francesco Caltagirone”.
Dopo il salamelecco, arriva il veleno, il “grande amico” gli ricorda il portone ricevuto in faccia da Nagel-Donnet a Trieste: “Ha lottato da par suo raccogliendo il consenso di tanti investitori. Le cose sono andate come sono andate e bisogna prenderne atto”. Prendi, porta a casa, e salutame il tuo “negoziatore” Fabio Corsico che per scalare Generali si era inventato Quaglia e Costamagna.
Donnet Caltagirone Del Vecchio
Ora è chiaro che il “paciere” Palenzona sta con Nagel (“Siamo di fronte a una società che tutti riconoscono essere ben gestita”), e in più con la Delfin in passato, quando era vicepresidente di Unicredit, aiutò la Luxottica di Del Vecchio nell’acquisizione dell’azienda produttrice dei Ray-Ban; e così, via intervista, “Furbizio” inoltra un invito di darsi una calmata a un Caltagirone molto assetato di rivincita in vista del nuovo Cda di Mediobanca in agenda a ottobre, di cui Delfin è primo azionista, con il 19,8% del capitale, e giocoforza gli equilibri di potere cambieranno.
FRANCESCO MILLERI LEONARDO DEL VECCHIO
Mentre a Milano il manager Milleri avrebbe aperto una trattativa con il manager Nagel, a Roma l’editore del “Messaggero”, con l’arrivo di Giorgia Meloni al potere, ha trovato una leva per i suoi sogni di gloria nella persona di Fazzolari.
E dopo vari incontri e cene, il braccio destro (e teso nel saluto romano) della Ducetta sta provando a farlo felice spingendo il pedale del freno alla prassi della “lista del cda”.
L’emendamento sul DDL Capitali (a firma del meloniano Melchiorre), che permetterebbe ai soci stabili di una società di moltiplicare il valore delle loro azioni per tre, lancerebbe Calta alla conquista delle polizze e degli immobili di Generali senza sborsare un euro.
vincenzo maranghi con palenzona
L’emendamento è ancora in discussione nella commissione parlamentare, e se passerà sarà in forma che più blanda non si può (anche perché con una tale norma “degenere”, ad esempio, Vivendi si metterebbe in tasca Tim; e nello stesso tempo il potere dei soci stabili allontanerebbe gli investitori ad entrare nelle società).
giorgia meloni e giovanbattista fazzolari
Ed è sempre il prode Fazzolari, trasformatosi di colpo in un esperto di finanza & mercati, che ha dato il là alla famigerata tassa sugli extra profitti bancari senza uno straccio di trattativa con l’Abi, facendo registrare un crollo in Borsa dei titoli bancari di 9 miliardi, per scucire agli istituti bancari quei 2,8 miliardi che serviranno al Mef per partecipare con Cdp alla Rete unica. Un “esproprio” che ha di sicuro fatto lievitare il rischio Italia tra gli investitori internazionali.
giovanbattista fazzolari pistolero
Ed ecco farsi avanti il diabolico Palenzona che, a nome del sistema bancario, avvisa il luna park Meloni-Salvini che basta un niente a rispedirli a casa a pettinare le bambole: “La tassa sugli extraprofitti delle banche danneggia il sistema e minaccia la credibilità”.
Quindi, presa la mira, spara: “Sembra che il governo abbia provato a dare un colpo al cerchio e uno alla botte: ha rivisto il reddito di cittadinanza suscitando molte critiche. e così han pensato di dare un colpo agli istituti del credito, che va sempre bene se a guidare è la demagogia. Un errore, perché di demagogia alla lunga si muore”.
stefano lucchini fabrizio palenzona paolo cirino pomicino foto di bacco
Governo avvisato, mezzo salvato. Parola di un democristiano di lunga durata che conosce, e bene, la cultura del potere.