1 – IL «PIANO B» DI HUAWEI: UN SUO SISTEMA OPERATIVO ENTRO L’AUTUNNO
Luca Salvioli per www.ilsole24ore.com
Il «piano B» prende forma. Il sistema operativo di Huawei sarà pronto per il prossimo autunno, al massimo in primavera. Andrà su smartphone, tablet, notebook, smartwatch, tv e auto al posto di Android (o Windows). A parlarne è stato il capo della divisione consumer dell’azienda cinese, Richard Yu, con il Global Times, quotidiano cinese controllato dal quotidiano ufficiale del partito comunista, il People's Daily. Le dichiarazioni hanno dunque un che di ufficiale, nel giorno in cui la Cina ha indirizzato protesta solenne a Washington sul trattamento di Huawei. Yu ne ha inoltre parlato con l’americana Cnbc e ha sottolineato che si tratta di una scelta obbligata, «non vorremmo, ma potremmo non avere alternative».
Una scelta obbligata
Avevamo scritto a dicembre dell’ipotesi che Huawei si facesse internamente un sistema operativo da usare in alternativa ad Android di Google. Un passo che rischiava di farsi necessario: la cinese Zte era finita nella lista nera delle aziende che non possono avere relazioni commerciali con le aziende americane ed era rimasta senza il supporto di Google per Android (il problema è rientrato a luglio con un accordo tra Zte e Washington). Huawei intuiva che sarebbe potuto succedere anche lei, vista la tensione con gli Stati Uniti per le accuse di spionaggio. Cosa accaduta lunedì, quando Google ha sospeso la licenza Android - anche se ci sono 90 giorni di sospensione - come conseguenza del bando di Trump nei confronti dell’azienda cinese, finita nella “entity list”.
Il dominio di Android e il “peso” di Huawei
Il passaggio a un nuovo OS sarebbe una svolta per il mercato, oggi largamente dominato da Android, che è sul 74,85% degli smartphone seguito da iOS per i device Apple con il 22,9% (dati Statcounter). Huawei è il secondo produttore al mondo dopo Samsung, e dunque il secondo come percentuale di telefoni Android. Il 19% degli smartphone al mondo sono Huawei con Android, una quota elevata tenendo conto che il mercato americano è sostanzialmente inesistente per l’azienda cinese (in Europa ha una quota del 29%, in Italia del 32%).
Un terzo OS, sfida che nessuno ha ancora vinto
Questi numeri aiutano a capire perché il passaggio non è semplice cè per Huawei nè, potenzialmente, per Google. Partiamo dal primo: passare a un nuovo sistema opeativo, e in particolare a un nuovo negozio di applicazioni, è una sfida ambiziosa perché bisogna portare con sè gli sviluppatori e rendere disponibili le applicazioni. Ren Zhengfei, fondatore di Huawei, martedì ai media cinesi aveva infatti detto «non è difficile fare un nuovo sistema operativo, ma è difficile costruire un ecosistema. È una cosa grossa, va fatta un passo alla volta». La storia recente è costellata di tentativi di uscire dal duopolio Google-Apple, ma tutti fallimentari. La più clamorosa fu la debacle di Microsoft con Nokia. Quando ancora c’erano i Lumia, spesso le app arrivavano lo stesso giorno su iOS e Android, ma non su Windows. Samsung ci ha provato con Tizen, poi rimasto su smartwatch, internet of things e qualche smartphone in India. Il mercato degli smartphone non Android vale lo 0,1% del mercato globale (Gartner). Yu ha detto a Cnbc che Huawei porterà sul suo OS il negozio di app proprietario App Gallery, già installato oggi sui device Huawei.
Gli utenti sono pronti per un nuovo OS?
Proprio perché è difficile, Yu a Cnbc ha sottolineato più volte «non vogliamo abbandonare Android, ma saremo costretti a farlo come conseguenza delle azioni del governo americano. Penso che non sia una cattiva notizia soltanto per noi, ma anche per le aziende americane perché supportiamo il loro business. Non vogliamo farlo ma non abbiamo altre opzioni». Vista la tensione tra Stati Uniti e Cina, queste parole non possono che essere viste con le lenti della guerra commerciale, in un difficile equilibrio tra lusinga e minaccia. Sempre Global Times cita alcuni analisti cinesi che mettono in guardia Google dal rischio di perdere il 20% dei suoi telefoni Android. Ma i consumatori, se davvero un nuovo OS sarà la via di uscita da questa impasse piuttosto che un accordo Trump-Cina, sceglieranno comunque Huawei o preferiranno l’esperienza di Android e del Google Play Store aprendo, come dicono altri analisti, praterie per altri competitori cinesi, o la stessa Google, con Android?
trump e xi jinping alla citta proibita piazza tien an men
2 – ECCO I MOTIVI (MILITARI) DELLA GUERRA DI TRUMP E GOOGLE A HUAWEI
Michele Arnese per www.startmag.it
Manfrina mediatica? Prezzo pagato da Casa Bianca e Pechino per essere lasciati tranquilli nel finalizzare l’accordo commerciale? Oppure vera e propria guerra tecnologico-militare fra Usa e Cina? Sono alcune delle domande che serpeggiano sui social dopo la mossa trumpiana di Google contro Huawei. Una domanda clou è stata formulata su Twitter dalla giornalista del Tg1, Barbara Carfagna, che da anni segue i temi dell’innovazione tecnologica e della cybersecurity:
Caso #Huawei Ma #Google che ha sempre dichiarato di essere per l’uguaglianza, contro le discriminazioni,sopra le nazioni, che pochi mesi fa era pronta ad accordarsi con la Cina nonostante la censura, come la mette ora ad ubbidire al governo USA? https://t.co/H4MLKaxG1D
— barbara carfagna (@barbaracarfagna) 22 maggio 2019
Una bella contraddizione, quella di Google, rimarcata dalla giornalista Carfagna. In effetti il ruolo di Google non è secondario nella strategia trumpiana. Il ceo di Google, Sundar Pichai, di recente ha incontrato alcuni generali del Pentagono. Come mai?
Secondo molti analisti, il problema prevalente fra Trump e Huawei è soprattutto militare, come ha scritto su Start Magazine l’analista Fabio Vanorio. Google ha la top clearance per partecipare alle gare del DoD, Department of Defense (Jedi, Project Maven) e, in base a ciò, deve rendere conto al Pentagono di quanto svolge con Paesi stranieri.
Fino all’era Obama, Google aveva una rilevante libertà di azione all’estero. Adesso, con Trump alla Casa Bianca, il vento è totalmente cambiato. Gli effetti di questo cambiamento? Il primo progetto ad essere modificato è stato Dragonfly. Eric Schmidt, ex ceo di Alphabet (holding che controlla Google) e adesso a capo della Defense Innovation Unit del Pentagono. Si chiede retoricamente un analista al corrente di questioni tecnologiche: “È possibile per la Cina sviluppare un prodotto come Dragonfly senza che il Pentagono ne conosca i contenuti?”. Non è possibile.
Ma le preoccupazioni di Washington su Huawei sono anche altre. Il colosso cinese ha sviluppato con Google un prodotto per l’healthcare (progettato per rilevare e diagnosticare i primi segni di disturbi visivi nei bambini) basato sull’intelligenza artificiale. Come scritto da Chiara Rossi su Start Magazine, si chiama Track AI e utilizza TensorFlow, un insieme di strumenti software AI di Alphabet, gli stessi impiegati per il discusso Project Maven che la rivolta dei dipendenti di Google ha fatto saltare.
Il software è abbinato ai dispositivi Huawei e consentirà anche ai non professionisti di diagnosticare le condizioni di salute degli occhi dei bambini più piccoli. Ma per sviluppare Track AI, Huawei si è avvalsa di TensorFlow.
TensorFlow è uno degli strumenti più popolari per la creazione di applicazioni di machine learning ed è utilizzato dagli sviluppatori di tutto il mondo. TensorFlow è open-source, quindi chiunque e ovunque può utilizzarlo e Google non può controllarne l’accesso.
Secondo quanto riportato da Bloomberg, Chris Brummitt, un portavoce di Google, ha confermato che un team pubblicitario che collabora con i clienti della società di Mountain View ha fornito consulenza nell’attività di marketing a Huawei, sebbene nessun ingegnere sotto la guida di Sundar Pichai abbia lavorato al progetto Track AI. Anche un portavoce di Huawei ha confermato questa partnership. Vero è che l’iniziativa Track AI non rappresenta una priorità strategica per nessuno dei due giganti della tecnologia, ma sottolinea le importanti relazioni commerciali che Google ha cercato di costruire con aziende cinesi come Huawei da decenni.
Il Pentagono teme il controspionaggio: vi possono essere dipendenti di Google a rischio di doppio gioco con Pechino. “La Cina è uno Stato che ricorre sistematicamente allo “spionaggio elettronico” per rubare tecnologia e segreti commerciali”, ha detto ieri Edward Luttwak a Marco Orioles di Start Magazine.
C’è una questione Nsa, poi, come svelato tempo fa da Start Magazine: la non compliance di Huawei crea una vulnerabilità enorme e inammissibile per gli Stati Uniti, si dice in ambienti dell’Intelligence italiana.
Non è finita.
Huawei fa molto affidamento sulle app di Google tra cui, per la ricerca, Chrome e Maps, non solo per motivi commerciali. Recentemente, Google Earth 3D Maps ha “incidentalmente” mostrato le principali basi militari segrete di Taiwan, con alcuni dei siti disponibili in dettaglio 3D inclusa una struttura ospitante missili Patriot.
sundar pichai audizione al congresso 4
Risultato: la preoccupazione del Pentagono è stata tale – si dice in ambienti istituzionali fra Usa e Italia – che nella Entity List del Bureau of Industry and Security statunitense – sono state inserite 68 filiali non-Usa di Huawei situate in 26 Paesi (Belgio, Bolivia, Brasile, Birmania, Canada, Cile, Cina, Egitto, Germania, Hong Kong, Jamaica, Giappone, Giordania, Libano, Madagascar, Olanda, Oman, Pakistan, Paraguay, Qatar, Singapore, Sri Lanka, Svizzera, Taiwan, Regno Unito, e Vietnam).
Alle società locali operanti in questi Stati che impiegano parti sensibili originate negli Usa e che hanno rapporti con la locale Huawei è richiesto di interromperli quando vi possano essere preoccupazioni di compromissione di segreti industriali statunitensi. “Finora si contano sulle dita di una mano. Il Pentagono ha iniziato una spunta alla lavagna. Un ottimo modo per il DoD (Department of Defense) valutare l’affidabilità dei propri partner e non di Huawei…”, sottolinea un osservatore al corrente del dossier.
Insomma, la “guerra” tecnologica con risvolti geopolitici – secondo la definizione di Marta Dassù (Aspen) intervistata da Start Magazine – invece di svolgersi solo ad un tavolo si sta sviluppando anche sul mercato globale.
sundar pichai audizione al congresso 5
I cinesi hanno tergiversato temporalmente per poter arrivare al periodo di campagna elettorale di Trump e per poterlo affrontare in una condizione di sua minore attenzione e focus, facendo leva su tutti gli agenti di Pechino presenti nei meccanismi di check-and-balance di Washington D.C..
Comunque, secondo molti osservatori, si arriverà ad un accordo ma alla fine è stata una vera e propria guerra di nervi. E a quel punto se qualcuno avrà ceduto, non si potrà più tornare indietro.