AERARE IL LOCALE PRIMA DI INFETTARVI - IL TECNICO DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ LUCA FONTANA SPIEGA QUAL È L’ARMA SOTTOVALUTATA CONTRO IL COVID: “DOBBIAMO INVESTIRE SULLA VENTILAZIONE AL CHIUSO. NON USCIREMO DALLA PANDEMIA A BREVE E DOBBIAMO ARRIVARE A LIMITARE LA CIRCOLAZIONE DEL CORONAVIRUS, I VACCINI DA SOLI NON BASTANO” - ALLO STUDIO UN TOOL PER CALCOLARE IL RISCHIO DI INFEZIONE E UN MODELLO FISICO PER SVILUPPARE GLI STANDARD DI VENTILAZIONE NEGLI AMBIENTI PUBBLICI...
Cristina Marrone per www.corriere.it
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La pandemia da Covid ha ripreso a correre in tutto il mondo con oltre 277 milioni di casi e quasi 5 milioni e mezzo di vittime. Il calo dell’efficacia dei vaccini nel tempo ha spinto molti paesi a procedere con terze e addirittura quarte dosi nel tentativo di proteggere i più fragili ed evitare i contagi anche tra vaccinati.
Omicron fa paura perché si trasmette con estrema velocità e seppure le conseguenze sulla salute sembrano essere più miti (grazie alla vasta platea di vaccinati) gli ospedali rischiano di andare in affanno. Moltissimi contagiati non sanno perché lo sono, e le catene del contagio sono difficili da ricostruire ad eccezione degli eventi superdiffusori (cene natalizie, focolai scolastici).
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L’inverno è ancora lungo, e molto tempo si dovrà trascorrere al chiuso, dove il virus si diffonde con grande facilità. Vaccini, lavaggio delle mani, distanziamento, mascherine: tutto è stato fatto, e anche se in Italia i decessi sono molto più bassi di un anno fa, i contagi sono maggiori e crescono sempre di più. Il virus uccide meno, ma è ancora tra noi.
Possiamo fare ancora qualcosa per liberarcene? La quinta opzione si chiama ventilazione ed ora anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità punta a comunicarne l’importanza e invita tutti a non trascurare un’opportunità che potrebbe rivelarsi vincente per mitigare il rischio di infezione negli ambienti chiusi.
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Ne abbiamo parlato con Luca Fontana, tossicologo, technical officer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di controlli ambientali ingegneristici per i centri di trattamento del Covid.
Per capire come contrastarlo bisogna prima capire come si trasmette il Covid: qual è la via principale del contagio?
«Sars CoV-2 è un virus a trasmissione aerea e il contagio avviene attraverso l’esposizione a fluidi respiratori infettivi rilasciati come particelle di diverse dimensioni durante l’espirazione. Mentre le particelle più grandi si depositano rapidamente, quelle più piccole rimangono sospese nell’aria per un periodo più lungo.
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Quando le persone sono nelle immediate vicinanze di una persona infetta la trasmissione può avvenire per inalazione diretta e per deposizione delle particelle infettive sulle mucose esposte. In ambienti chiusi poco ventilati o affollati, queste particelle infettive possono accumularsi nell’aria e venir inalate: inoltre all’aumentare della vicinanza con la persona contagiata aumenta anche la concentrazione di aerosol e di conseguenza del rischio di infezione.
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Attualmente ci sono prove limitate sulla trasmissione attraverso superfici (oggetti o materiali che possono essere contaminati da virus come utensili e mobili) nell’ambiente circostante la persona infetta».
Non bastano i vaccini per difenderci?
«Indipendentemente dalla modalità di trasmissione, i vaccini aiutano il nostro sistema immunitario a proteggerci da forme severe, ma sappiamo che l’impatto sulla trasmissione è limitato: sono efficaci per proteggerci dalla malattia grave e dalla morte, ma non sono altrettanto capaci di difenderci dall’infezione, quindi il virus continua a circolare in comunità, anche se molte persone restano asintomatiche.
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Con Omicron stiamo osservando un preoccupante numero di reinfezioni. Non è una sconfitta dei vaccini perché mantengono la funzione cruciale di ridurre la pressione sul sistema sanitario, ma la circolazione del virus ci sta impedendo di riappropriarci della nostra vita e potrebbe favorire l’insorgenza di nuove varianti».
E le mascherine?
«Come il lavaggio delle mani e altre precauzioni aiutano a ridurre la possibilità d’infezione ma non ad azzerarla. Le mascherine chirurgiche, ma ancor di più le FFP2, aiutano a ridurre la quantità di aerosol inalato e ad evitare che le particelle più grandi si depositino sulle mucose, ma non azzerano il rischio con una concentrazione elevata di particelle nell’aria e lunghi periodi di esposizione.
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Inoltre andrebbero indossate in modo corretto e sistematico negli ambienti chiusi, cosa che non accade così frequentemente. Pensiamo alle scuole e agli uffici dove studenti e lavoratori passano lunghe giornate. E anche ad altri ambienti chiusi dove per un motivo o per l’altro non possiamo indossare la mascherina, come i ristoranti. All’aperto l’aerosol viene quasi immediatamente disperso e diluito nell’aria, per questo si osservano pochissime infezioni rispetto agli ambienti chiusi».
Ci sono altre vie da percorrere per uscire dalla pandemia?
«Continuare con il distanziamento, le buone pratiche d’igiene, l’uso delle mascherine, la vaccinazione ma sicuramente aumentare l’impegno per assicurare la gestione del rischio contagio anche attraverso una corretta ed adeguata ventilazione dei locali. La ventilazione permette di ridurre la concentrazione di aerosol infettivo nell’aria e quindi ridurre il rischio d’infezione».
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Ma che cosa significa ventilare? Consiste nel portare aria fresca e pulita dall’esterno verso l’interno e mandare l’aria espirata, insieme all’aerosol infetto, all’esterno. Una misura ingegneristica importante di mitigazione del rischio è la ventilazione meccanica controllata , ma è possibile intervenire anche con la semplice aerazione, ovvero aprendo le finestre. Questa seconda opzione però, oltre ai rilevanti costi energetici e ambientali per la dispersione termica, non permette alcun controllo sull’efficacia della misura di protezione».
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Negli ultimi anni, prendendo spunto dalle problematiche di qualità dell’aria negli ambienti chiusi, si sono sviluppati anche i purificatori dell’aria, ovvero sistemi che filtrando l’aria interna permettono di ridurre il rischio contagio. Certo, non sono una soluzione definitiva e la ventilazione resta la prima opzione. Una soluzione promettente per il contenimento dei costi è la ventilazione personale, ovvero ricambi dell’aria limitati alla zona di respirazione di ogni soggetto quando si trova in una postazione fissa».
Ma le malattie respiratorie non si sono sempre combattute coi vaccini?
«In generale, malattie respiratorie o meno, i vaccini sono stati una grande svolta per la salute pubblica. Pensiamo all’eradicazione del vaiolo e del poliovirus di tipo 3 che causa, anzi, causava la poliomielite. La storia però ci insegna che non sempre il vaccino è la soluzione magica. A volte ci sono voluti interventi sull’ambiente per ridurre o eliminare una malattia. Esempi interessanti sono il colera, la febbre gialla e la malaria. In molti paesi il colera è stato eliminato attraverso migliorie sul sistema di distribuzione dell’acqua e sul sistema fognario. La febbre gialla e la malaria attraverso opere di bonifica. Ci sono voluti anni e investimenti importanti ma oggi non abbiamo più epidemie di colera e malaria in Europa per esempio».
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Dotare un edificio di ventilazione meccanica controllata è un investimento imponente, saremo ripagati dai costi?
«Quanto ci sta costando questa pandemia? Il costo in vite umane è semplicemente incalcolabile, un disastro. Ma in termini economici e sociali possiamo immaginare quali siano i costi. Altissimi. Terapie, ricoveri, morti indirette di chi non ha avuto accesso alla sanità oltre a tutte le attività economiche che soffrono e alle Borse che crollano: tutti stanno pagando le conseguenze negative del Covid. La pandemia ha stravolto le nostre vite, le nostre economie e dobbiamo metterci nell’ordine di idee che non usciremo da questa situazione a breve. Serve un cambio strutturale nell’approccio alla pandemia, dobbiamo cominciare a pensare a lungo termine.
È evidente che non possiamo pensare di creare un impianto di ventilazione meccanica controllata in tutti gli edifici dall’oggi al domani. Ma è importante cominciare. Potremmo iniziare a valutare lo stato della ventilazione, migliorarla o ridurre l’occupazione degli spazi. E anche comunicare meglio l’importanza della ventilazione per mitigare il rischio di infezione. Oggi possiamo vedere la lista degli allergeni in qualsiasi ristorante ma non sappiamo se è dotato di un’efficiente ventilazione: dobbiamo puntare a quello.
Per quanto possa essere elevato l’investimento iniziale, sarà comunque accettabile se comparato con i futuri benefit. Spetta poi ai governi scegliere se e come incentivare questo cambio. In Italia del resto esiste un bonus ristrutturazione al 110% di cui tanto si parla in questi giorni: perché non inserire tra le opere possibili anche la ventilazione?
La ventilazione porterebbe vantaggi extra Covid?
«Le malattie respiratorie sono le principali cause di morte e disabilità nel mondo. Circa 65 milioni di persone soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e 3 milioni ne muoiono ogni anno, diventando così la terza causa di morte nel mondo. Circa 334 milioni di persone soffrono di asma, la più comune malattia cronica dell’infanzia che colpisce il 14% di tutti i bambini a livello globale.
La polmonite uccide milioni di persone ogni anno ed è una delle principali cause di morte tra i bambini sotto i 5 anni. Oltre 10 milioni di persone sviluppano la tubercolosi (TB) e 1,4 milioni ne muoiono ogni anno. Migliorare la qualità dell’aria che respiriamo porterebbe enormi vantaggi nelle nostre vite e potrebbe mitigare il rischio di infezione non solo da Covid, ma di tutte le altre malattie respiratorie acute e croniche».
È possibile installare un impianto di ventilazione meccanica controllata anche in edifici storici?
«Immagino che i nostri colleghi ingegneri potranno aiutarci in questo ma, anche se non fosse possibile, potremmo sempre ridurre l’occupazione massima degli ambienti adattando alla ventilazione il numero di persone negli spazi chiusi».
Perché l’Oms non ha comunicato con maggiore incisività l’importanza della ventilazione?
«È vero che all’inizio è stata data poca enfasi alla trasmissione aerea al di fuori dei contesti sanitari. All’esordio della pandemia si pensava che il modo di trasmissione fosse attraverso i droplets e che l’aerosol avesse un ruolo marginale. Il tema è stato oggetto di grande dibattito all’interno dell’Oms, che comunque ha sempre raccomandato la ventilazione e il distanziamento come misure per mitigare il rischio. Purtroppo ad oggi non abbiamo una metodologia definita per dire se un patogeno è o meno a trasmissione aerea e per questo il dibattito scientifico è stato particolarmente acceso».
a scuola con la mascherina negli stati uniti
Che cosa sta facendo adesso l’Oms per promuovere la ventilazione?
Dal 2020 lavoriamo con vari esperti e alcuni documenti tecnici sono già stati pubblicati. La ‘’ventilation roadmap’’ per esempio fornisce raccomandazioni concrete su come migliorare la ventilazione interna. Un altro importante lavoro è attualmente in corso. Da qualche mese un gruppo di lavoro composto da virologi, infettivologi, ingegneri, architetti, fisici sta lavorando su come quantificare il rischio di trasmissione aerea del Covid.
I progetti sono due: il primo ha l’obiettivo di creare un modello fisico da fornire ai governi sulla base del quale potranno orientarsi per sviluppare gli standard di ventilazione negli ambienti pubblici. Al momento, ad esempio nei ristoranti, la ventilazione non dovrà essere riferita solo al controllo degli odori e della temperatura come succede ad adesso, ma andrà introdotto uno standard di ventilazione che sia specifico per l’infezione.
Il secondo progetto è un tool a disposizione di tutti grazie al quale sarà possibile calcolare il rischio di infezione. Per fare un esempio se io volessi organizzare una cena a casa mia potrò inserire i dati con la dimensione della stanza, il numero degli invitati, la ventilazione esistente o la grandezza delle finestre.
Il tool mi dirà qual è il rischio reale in casa mia, potrà consigliarmi di limitare il numero di invitati o mi dirà per quanto tempo aprire le finestre ogni ora per mitigare il rischio di contagio. Il modello andrà validato prima di poterlo pubblicare e speriamo di poterlo rendere disponibile nei primi mesi del 2022».