archbien

King Koolhaas - Ha rottamato tutte le archistar e anche gli archi normali. Si è circondato di allievi adoranti. E nella sua Biennale ha dettato la linea politica: ricominciate da me

 

 

Alessandra Mammì per "L'Espresso"

 

Rem KoolhaasRem Koolhaas

E via! È partita la Biennale d'Architettura senza architetti. Primo esempio di tanta radicalità nella storia dell'istituzione. Niente archistar, ma neanche "archi-normali". Molti gruppi di studio, studenti ricercatori, dipartimentimenti di star-university da Princeton alla Columbia.Era rivoluzione annunciata, almeno da quando il direttore incaricato di questa 14esima edizione, Rem Koolhaas, dichiarò che la sua sarebbe stata una Biennale diversa, lontana dal red carpet, dai progetti appesi ai muri, dalle maquette su piedistallo.

 

Rem KoolhaasRem Koolhaas

Niente disegni e niente prospetti e forse niente edifici. Perlomeno, non quelli a venire. Perché i confini cronologici dei "Fundamentals" di Koolhaas son lunghi un secolo: 1914 -2014. Basta col futuro. È tutto azzerato e per ricominciare si torna "ai fondamentali", appunto. È così che il teorico dell'architettura senza progetto, sciolta nel mare di informazioni che ci circondano, fluttuante come i nostri tempi e spostamenti, improvvisa e disordinata come l'abitare nomade negli spazi liquefatti delle metropoli, all'improvviso torna alla grammatica del mestiere.

 

E impone a tutti l'abbecedario. A come ascensore. B come balcone. C come camino. S come scala. M come maniglia. G come gabinetto. Una sala ciascuno studiata con piglio enciclopedico. L'intero padiglione Centrale ai giardini è occupato dagli "Elements", le 15 parole che (come Koolhaas stesso dice) formano l'antico ed eterno vocabolario del costruire. Nudi e crudi. Senza che mano umana li ricomponga in forma di progetto, opera dell'ingegno, edificio mentale prima ancora che fisico.

Biennale Architettura. Elements: maniglie e porteBiennale Architettura. Elements: maniglie e porte

 

Biennale Architettura. Elements: le finestreBiennale Architettura. Elements: le finestre

Questo è il capitolo Uno della Biennale al grado zero. Al capitolo Due invece si snoda, lungo le Corderie dell'Arsenale, ecco "Monditalia", l'ambiguo omaggio al nostro paese. Là dove dal felliniano portale d'ingresso tutto cristalli e lumini, nasce un sorrentiniano intestino percorso da Sud a Nord: splendore e decadenza del Bel Paese.

 

Film, foto, installazioni, flash, schermi, situazioni. Una sfilza di stazioni da Via Crucis, tra rovine contemporanee (il fallimento del G8 alla Maddalena, la mancata ricostruzione dell'Aquila, il degrado dei quartieri camorristi e mafiosi), soste per nutrimento intellettivo (le "Radical Pedagogies" proposte dai dottorandi di Princeton), artistiche rivisitazioni di paesaggio (le Alpi viste dall'obiettivo di Armin Linke), inchini alla storia (la biblioteca laurenziana di Michelangelo).

 

«Perché proprio noi, Mr Koolhaas?», gli è stato chiesto più volte. E più volte lui ha risposto, austero e distante come sua abitudine, che la nostra patria "bella e perduta" è luogo simbolico, paradigma di ascesa e caduta dell'architettura tutta.

 

Biennale Danza: spettacolo alle CorderieBiennale Danza: spettacolo alle Corderie

Dunque una Biennale costruita, oltre che dall'ingegno del maestro, dalle fatiche degli allievi del suo studio OMA, più quelli del suo centro-ricerche AMO e che (non dimentichiamolo), avendo ottenuto il permesso di raddoppiare la mostra fino al prossimo novembre, ha pretesa di abbracciare e inglobare anche altre discipline e biennali: cinema, musica e danza. Il primo con la sfilata di schermi e film italiani da rassegna festivaliera, l'ultima con spettacoli destinati ad appositi palcoscenici sparsi nel percorso.

 

ingresso Monditaliaingresso Monditalia

Cominciano qui i borbottii del pubblico più esperto dei giorni d'anteprima, che non ha sempre apprezzato di vedere la danza confinata nei recinti decisi da Koolhaas e i ballerini trasformati in siparietti nel flusso dei visitatori. Dov'è finita la rivoluzione, la libertà del corpo, la fuga dai sipari e palcoscenici? Nelle retrovie si sente il malumore: «Koolhaas non ha voluto confrontarsi con nessuno... ha escluso le archistar per lasciarne una sola in scena: lui stesso... persino il Leone d'oro alla carriera è stato dato a una figura eccezionale come l'illuminata mecenate Phyllis Lambert ma non a un progettista...».

 

Sussurri, grida ma anche pensieri argomentati come quello di Margherita Guccione, direttore del Maxxi architettura: «Questa disciplina è qualcosa di più di una somma di elementi, così come la letteratura non è una somma di sillabe. Posso trovare interessante l'analisi al grado zero, ma la sintesi dov'é?». O Francesco Moschini, docente al politecnico di Bari: «Siamo di fronte ad una operazione simile alla postmoderna "Strada novissima" di Paolo Portoghesi. Stesso assunto: è la somma di elementi che fa l'architettura.

 

Là il collage era incorniciato in una dimensione storica, qui invece in una dimensione merceologica. E anche Monditalia è spalmato in una storia ridotta in pillole e in un percorso che come uno zapping televisivo appare disarticolato, frammentato e compulsivo. Eppure ognuno di quei quaranta temi meriterebbe da solo una Biennale».

 Biennale architettura. Elements : Le scale Biennale architettura. Elements : Le scale

 

«Ma abbiamo capito cosa si sta dicendo veramente con questa Biennale?», domanda Luigi Prestinenza Puglisi, storico dell'architettura noto per la sua intelligente verve polemica. «Koolhaas dichiara al mondo: io non sono un Archistar, io sono l'Architettura. Lui sa che quel tempo è finito, che l'unica star rimasta con il coraggio di comportarsi come tale, è Zaha Hadid. Sa che per dominare il prossimo futuro bisogna lasciare il palcoscenico e puntare a una leadership politica incoronandosi erede della disciplina. "Absorbing Koolhaas" è il vero titolo di questa Biennale».

 

Rem KoolhaasRem Koolhaas

Il gioco di parole è con "Absorbing modernity": tema lanciato a tutti i padiglioni nazionali sparsi per Venezia. «La modernità è stata un processo doloroso che ha lacerato le identità nazionali. Tra utopia e distopia cosa è rimasto di quella illusione e cosa dobbiamo salvare?». Questo il dilemma, come spiegato in interviste e conferenze stampa dal direttore guru.

 

Neanche questa passa liscia. Odile Decq, grande firma dell'architettura francese, punta la sua unghia smaltata di nero sull'Arsenale e chiede: «Perché confrontarci solo con l'ufficiale bibbia del Moderno ignorando tutte le avanguardie che l'avevano contestata in nome di una visione? Dov'è l'avanguardia? Doc'è Archigram? Dov'è Archizoom? Dove sono il desiderio, la fuga, la speranza, il sogno? Qui vedo solo constatazioni e non proposte. Questa Biennale è cupa, reazionaria, poco generosa».

 

In effetti c'è poco da ridere: si va dall'utopia fallita della Corea che sogna una riunificazione(da qui il Leone d' oro), alla Francia che ha egregiamente risolto il compito sotto la ferma guida di uno storico quale Jean-Louis Cohen, spaziando più tra minacce che promesse. Il Cile vince un leone d'argento mettendo al centro di una drammatica messa in scena il pannello di cemento prefabbricato, che è già rudere del presente.

 

Il padiglione russo ha costruito una sarcastica, neoliberista, finta fiera dell'edilizia dove sotto logo di ditte dal nome Malevic o Lissistky si vendono pezzi di tradizione. L'ottimo Canada indaga socialmente e urbanisticamente la zona Artica dimostrando che nelle periferie del mondo il moderno non ha costruito città ma solamente basi militari, baracche funzionali, corpi di fabbriche, missioni religiose che spuntano nel nulla dei ghiacci.

 

Solo ai tropici si brinda: nel Brasile che non vede il problema e ci sommerge con un atlante firmato Mendes da Rocha, Lina Bo Bardi, Vilanova Artigas, Niemeyer e Burle Marx in perfetta armonia con l'identità nazionale che sul moderno nasce e ancor oggi cresce.

"Absorbing modernity", comunque, riappacifica gli animi.

 

«È la forza di questa Biennale», dice con chiarezza Silvia Botti, direttore di "Abitare", interpretando il parere di molti. «Va dato atto a Koolhaas di aver sintetizzato in una formula un tema forte e sentito, tanto che tutti i padiglioni, pur non essendo obbligati, hanno obbedito. Ma anche disobbedito: perché là, nelle mostre nazionali, gli architetti ci sono eccome.

 

Padiglione ItaliaPadiglione Italia

E con tutti i loro progetti, edifici e soluzioni potenti e innovative». E indica la Turchia, il Bahrain. Ma soprattutto il padiglione italiano, firmato da Cino Zucchi, che mette tutti d'accordo. «Ha la dignità dell'architettura e insieme la messa in scena di un pensiero curatoriale chiaro. Sa raccontare un paesaggio che esiste, riconosce il ruolo del disegno, parla di identità italiana con gli strumenti dell'architettura» (Margherita Guccione).

Padiglione ItaliaPadiglione Italia

 

«Per la prima volta abbiamo un padiglione di altissimo livello, anche se un po' troppo Milanocentrico» (Francesco Moschini). «È un bellissimo esempio di come si mette insieme storia, scrittura visiva e ricerca» (Silvia Botti). E per una volta, vox populi, val la pena di dirlo: "Viva l'Italia".

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