LA BATTAGLIA DI VIALLI: "DEVO AIUTARE IL MIO CORPO A SUPERARE QUESTA FASE DELLA MALATTIA". L’EX ATTACCANTE LASCIA IL RUOLO DI CAPO DELEGAZIONE DELLA NAZIONALE - NEL 2017 LA SCOPERTA DEL TUMORE. IL PASSO INDIETRO STAVOLTA È FIGLIO DELLA NECESSITÀ DI ISOLARSI. PER CURARSI, CERTO, MA ANCHE PER DIRE AL MONDO "LASCIATEMI IN PACE". CICLICAMENTE IL SUO NOME VIENE ACCOSTATO ALLA SAMPDORIA, IL VECCHIO AMORE DI CUI POTREBBE DIVENTARE PRIMA O POI PRESIDENTE...
Paolo Brusorio per “la Stampa”
Gianluca Vialli non si vergogna di stare male. Gianluca Vialli non ha mai nascosto di stare male, di lottare come una bestia contro una bestia che lo sta divorando. E anche ora che continua a stare male (se sta peggio lo sa solo lui) ce lo dice, ha deciso così.
Da subito, dal giorno in cui la sua sofferenza è diventata anche la nostra ogni volta che lo vediamo. E ci ricordiamo come' era e guardiamo com' è. E non diciamo una parola, parliamo con i pensieri. Con gli sguardi. Indagatori, gli sguardi. Ammirati, noi, dalla forza di un uomo che si è fatto omino da quanto è stato attaccato dalla malattia. Tumore al pancreas. Era il 2017. Ieri il comunicato sul sito della Federcalcio: poche parole.
Precise. Lucide. «Al termine di una lunga e difficoltosa "trattativa" con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Vialli è il capo delegazione della Nazionale, questo è il ruolo di cui si sveste in questo momento. «L'obiettivo è quello di utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia in modo da essere in grado al più presto di affrontare nuove avventure e condividerle con tutti voi».
A Torino, a fine novembre, una delle sue ultime uscite pubbliche: al Film Festival si presentava il film sullo scudetto della sua Sampdoria, "La Bella Stagione". In sala c'erano i compagni: Mancini, Lanna, Vierchowod, Bonetti. In mezzo, lui: un dolce vita bianco appeso a due spalle che ricordano da lontano quelle che furono. Il volto minuto, la camminata faticosa, un cappotto che dentro ce ne stavano due di questi Gianluca Vialli. La parlata lenta, ma una gran voglia di parlare. Di spiegare e di ricordare. Come se dentro e dietro quei ricordi ci fosse il vento della vita che prima lo spingeva e che invece ora gli sbatte contro. E lo piega. Ma lui resiste. Ogni volta l'asticella si alza. Questo tornare dietro le quinte, in fondo non era necessario annunciarlo visto che la Nazionale fino a marzo non giocherà, è figlio della necessità di isolarsi. Per curarsi, certo, ma anche per dire al mondo che non ha mai smesso di cercarlo"lasciatemi in pace".
Da qui la telefonata alla Federcalcio di ieri mattina e la richiesta, ovviamente accordata, di autosospendersi. «Grazie alla sua straordinaria forza d'animo sono convinto che tornerà presto.
Può contare su ognuno di noi, perché siamo una squadra, dentro e fuori dal campo»: le parole sono del presidente della Figc Gravina che volle Vialli capo delegazione nel novembre 2019 nel pieno della ricostruzione azzurra. Accanto a Roberto Mancini serviva una persona che conoscesse il pallone, che fosse un volto fidato e affidabile e che andasse d'accordo con il ct.
Non poteva essere che lui, quella persona. Accettò nonostante la malattia l'avesse già duramente provato e tanto fu lo choc quando si presentò per la prima volta in pubblico. Poi, a quegli occhi scavati dentro un viso che sapeva di dolore, non ci abbiamo più fatto caso. Abbiamo messo da parte la tristezza e considerato Vialli come un compagno di viaggio azzurro. Quel bacio al pallone raccolto dalla panchina durante la partita contro la Polonia il primo emozionante tributo al passato fino all'esplosione sul prato di Wembley: 11 luglio 2021, l'Italia è campione d'Europa e due uomini in mezzo al campo si stringono in un abbraccio indimenticabile. Su quel prato, insieme, avevano perso una finale di Coppa dei Campioni con la Sampdoria («molto per colpa mia» ricordava Vialli proprio a Torino); su quel prato, insieme, avevano infine vinto.
«Si è chiuso il cerchio quella notte». E si è chiuso stretto dentro quell'abbraccio. Bromance. Che ha radici lontane e che lontano ha portato questi due ragazzi. Indivisibili nella gioia e nel dolore. Vialli abita a Londra: la scoprì con il Chelsea prima da giocatore e poi da allenatore e dà lì non si è più mosso. Fortino e casa di cura. Protettiva e inespugnabile. Ciclicamente il suo nome viene accostato alla Sampdoria, il vecchio amore di cui potrebbe diventare prima o poi presidente. «Come tutti, seguo gli eventi», la risposta a chi gli chiedeva notizie. Prima o poi: una sospensione del tempo così dilatata dagli eventi che per Vialli non vale più. Per lui c'è l'adesso. Ed è plasmato dalla sofferenza e da una voglia di vivere che il destino ha sfidato quando ha deciso di infilare una bomba nel corpo dell'ex centravanti dai gol impossibili. « Un abbraccio»: chiude così il suo messaggio Gianluca Vialli. Un abbraccio, pudico e caldo allo stesso tempo, è quello che vuole dargli anche ognuno di noi.
VIALLIvialliabbraccio tra gianluca vialli e roberto manciniabbraccio tra gianluca vialli e roberto manciniabbraccio tra gianluca vialli e roberto mancinivialli mancinipagliuca vialli mancini boskov