AZZURRO? NO, GRAZIE - IL BRASILIANO DI ORIGINI ITALIANE DELLA LAZIO LUIZ FELIPE "RIFIUTA" LA CHIAMATA DELL' UNDER 21 IN ATTESA DELLA SELEÇAO - TUTTI GLI ORIUNDI POSTI DAVANTI AL DILEMMA: GIOCARE PER L' ITALIA O PER LA NAZIONALE DEL PAESE IN CUI SONO NATI? I CASI LAPADULA, CHE RIFIUTÒ IL PERÙ, SALVO POI ESSERE CONVOCATO DA VENTURA E QUELLO DI MASSIMO MARGIOTTA, CHE INVECE SCELSE IL VENEZUELA…
Lorenzo Longhi per Avvenire
Che si tratti o meno di un "gran rifiuto" lo si saprà col tempo, quando la carriera di Luiz Felipe Ramos Marchi conterà qualcosa in più rispetto a una trentina scarsa di presenze in A. Ma di rifiuto si tratta, e non certo fatto per viltade quanto, forse, per orgoglio: così il difensore della Lazio, anni 22 da festeggiare venerdì prossimo, brasiliano di nascita paulista e di origini italiane, ha deciso di rifiutare la possibilità dell' esordio con l' Under 21 di Gigi Di Biagio che lo aveva convocato in vista delle amichevoli con Austria (giovedì a Trieste) e Croazia (lunedì prossimo a Frosinone).
Il motivo? Dopo una «lunga riflessione», ha preferito puntare tutto sulla Seleçao, nella speranza un giorno di indossare il verdeoro del Brasile. Legittimo, eccome. Poi, certo, il tarlo che l' ha roso l' ha portato sino all' inizio del suo primo ritiro azzurro, costringendo il ct a depennarlo in extremis, ed è vero anche che una eventuale presenza con l' Under non gli avrebbe poi impedito di optare per la Seleçao in caso di prima convocazione per la Nazionale maggiore: c' è tempo, si può scegliere, e fare anche esperienze diverse; del resto Luiz Felipe la maglia del Brasile l' aveva anche già vestita con l' Under 20. Tant' è: «Il calcio è soprattutto una questione di cuore», ha detto (o meglio: l' ha affidato al megafono social di Instagram, che sta ai calciatori come la Gazzetta Ufficiale sta al Parlamento), e allora è giusto che il ragazzo va- da dove il cuore lo porta.
Un cuore che un' idea chiara ce l' ha. Un cuore meno diviso di quanto non sia stato, a suo tempo, quello di Amauri, altro italo- brasiliano che la telenovela l' ha vissuta, invero in età ben più tarda, quando scegliere non si può quasi più. Era il 2009, l' attaccante allora alla Juventus andava per i 29 anni e non aveva mai vestito la maglia di una nazionale quando, a gennaio, Dunga lo convocò proprio in vista di un Brasile-Italia a Londra. Fu il club bianconero a dire no, negando il nulla osta necessario trattandosi di un' amichevole.
Divenne italiano due mesi più tardi, la Seleçao non lo chiamò più e lui dovette attendere l' agosto del 2010 per la maglia azzurra: il contentino glielo diede Prandelli, sempre a Londra, una sfida tra Italia e Costa d' Avorio (persa, peraltro). 59 minuti, un unicum passato immediatamente in archivio. Ironia della sorte, oggi Mancini si affida all' uomo che lo sostituì quella sera: Fabio Quagliarella. Verdeoro che diventa azzurro, ma che di azzurro ha poco. Romulo, per dire: una carriera senza alcuna ipotesi di nazionale sino ai 27 anni, poi ancora Prandelli e via, il paradiso all' improvviso e la possibilità di giocare un Mondiale, quello del 2014 proprio in Brasile, con l' Italia.
Era fra i 30, sarebbe stato fra i 23, ma anche lì qualcosa non andò per il verso giusto: il fisico lo tormentava, questa la ragione ufficiale del suo no. Ma i maligni, che non mancano mai, sostennero che disputare un Mondiale da italiano proprio in Brasile, per un ragazzo nato in una città chiamata Pelotas, non sarebbe stato proprio il massimo.
Meglio è andata a Thiago Motta (30 presenze nel-l' Italia, ma due anche nella Seleçao), a Eder, a Jorginho che è fra i 29 di Mancini in questi giorni. E poi, passando all' Argentina - ma senza andare troppo indietro nel tempo - ecco un Camoranesi campione del mondo, i vari Ledesma e Schelotto che hanno all' attivo una presenza appena, Osvaldo e quel Franco Vazquez del quale Conte s' innamorò ai tempi del Palermo. Due partite: sedotto e abbandonato, e meno male che in Argentina qualcuno (Scaloni) si è ricordato di lui nel 2018 e allora, a quel punto, per il centrocampista ecco il ripudio del cuore azzurro d' antan: «Mi sono sempre sentito argentino».
Opportunità, più che altro, e in effetti il regolamento sulla doppia nazionalità lascia aperta la porta a scelte puramente interessate, comunque insindacabili. Perché, nell' arco di un periodo di fulgore agonistico tutto sommato breve, l' avventura in una nazionale purchessia porta prestigio, e fa conoscere meglio il mondo. E sì, chi come Luiz Felipe dice no, lo fa perché comunque spera in altro: Ogbonna, nato a Cassino, sarebbe stato un oriundo per la Nigeria, ma voleva l' Italia, la sua Italia, e fu accontentato. Un po' meno Lapadula, che rifiutò il Perù, salvo poi essere convocato da Ventura ma doversi accontentare di tribuna e panchina. Ma esserci andato vicino conta poco, e forse è per questo che Alfred Gomis i Mondiali (da riserva) li ha fatti con il Senegal.
Vedere alla voce Massimo Margiotta. Nato a Maracaibo e vissuto in Venezuela per gran parte dell' infanzia, all' Italia aveva pensato a sprazzi, ma a lungo: Under 18, Under 21, Olimpica. Ma frequentare la generazione calcistica dei Vieri (Bobo s' intende, mentre il fratello Massimiliano giocò sei gare con l' Australia) e degli Inzaghi, dei Totti e dei Del Piero, dei Montella e dei Delvecchio di grandi speranze non ne dava. Al contrario, la maglia della vinotinto gli ha permesso anche di giocare e segnare in Coppa America, di sfidare il Brasile, di far parte insomma di una storia. Di raggiungere il sogno di ogni bambino: la Nazionale. Una nazionale, e tanto basta.