IL ‘BON TROP’ DEL PALLONE! - DA VINNIE JONES A IBRA, DALLO STRAPPO DEI PELI DELLE ASCELLE ALLA STRIZZAMENTO DEI COGLIONI, IL CALCIO NON CONOSCE BUONE MANIERE
Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"
Erede di un guardiacaccia e boscaiolo in mutande a sua volta nelle foreste del calcio inglese, Vinnie Jones, amabilmente soprannominato Psyco, aveva un metodo segreto. Fingeva di aiutare l'avversario a rialzarsi e con mano prensile, gli strappava i peli delle ascelle. Variante solo lievemente elaborata dello strizzamento di coglioni in piena area con l'arbitro distratto, dell'efferato insulto mentre si finge di sorridere a madre, sorelle, mogli e zie, "mignotte", di solito, invariabilmente, del cazzotto al costato nelle mischie da calcio d'angolo o delle dita negli occhi nelle discussioni da mucchio selvaggio.
Il brodo di coltura, il campionario unico, la tradizione, è sempre stato questa. Così, l'ultima idea del Liverpool americano, pensare di rieducare frotte di tifosi già tristemente famigerati attraverso una paginetta di buone intenzioni denominata pomposamente decalogo, si staglia, con troppi ismi, tra neocolonialismo, velleitarismo e cabaret.
Nell'ossessione normalizzante che vuole imporre smoking, ecumenismo e terzo tempo a prescindere sui campi di tutto il mondo, come in un format che eleva l'abbattimento della differenza a tavola della legge, ma di ragionare sulla differenza si dimentica spesso, a Liverpool devono essersi distratti . E hanno dato il si stampi a un confuso breviario in cui l'odioso "sporco ebreo" ha lo stesso peso di "Non fare la femminuccia".
Una demenziale insalata russa, in cui il grave si stringe con l'innocuo, restituendo la desolante sensazione di uno zero a zero che nulla sposta e niente può cambiare. Nella città dei Beatles, senza necessariamente ricordare le orde criminali che macchiarono la notte dell'Heysel nel 1985 e allietarono la fitta, eterogenea spedizione di barbari in Sardegna in occasione di Italia '90 allo scopo di darsele previa opportuna ricarica etilica con olandesi e irlandesi, al tema sono sensibili.
Perché al di là della mitologia e della mistica sangue-squadra, l'ironia dei napoletani in trasferta a Verona: "Giulietta è âna zoccola" sembra mancare ed è proprio con i rossi di Liverpool che l'uruguaiano Suarez giocava quando, preso da un raptus, chiamò sette volte "negro" Patrice Evra chiudendo la discussione con esponenziale fantasia. A Evra: "Non parlo con i negri". Alla commissione giudicante: "Negro non è un insulto, diciamo tutti così".
Nella stesura del decalogo tutto ciò deve aver pesato, aggiungendo ai chilometri di coda di paglia e ai quintali di senso di colpa pregresso, il fardello delle multe che in tutta la Premier si stanno rapidamente trasformando in voci di bilancio. In attesa che gli steward del Liverpool (ipocritamente deputati dalla società a evitare che si trascenda dialetticamente con la sola forza delle parole) scendano dalla croce, si dimettano da poveri cristi e diano vita a una sacrosanta disubbidienza civile, non si può che ragionare sull'ipotetica esportabilità del decalogo nel nostro far-west.
Dove si vogliono abbattere le barriere e si pretende l'espulsione della Ps, ma agli steward viene regalata la stessa divisa color Anas da martiri dei colleghi anglofoni (ultimi duri colpi ricevuti, mazzate vere e proprie, a Lecce, durante i Play-off per salire in serie B). Dove i presidenti (dai territori separatisti del sublime Cellino, alle lande di Mel Brooks frequentate da Preziosi, Lotito e De Laurentiis) ci deliziano con intemperanze verbali che permettono di non disperare sull'ineluttabile tramonto del pallone anni 80, Aldone Biscardi appare ancora dagli schermi ogni lunedì e i più venduti quotidiani del Paese, quelli sportivi, vivono, prosperano e proliferano su un immaginario Camp senza le cui nequizie (rivalità , polemiche, cafonalesimi, sparate, provocazioni, epigoni e controfigure di Balotelli e Materazzi) sarebbe morte certa.
Ingannevole è il detto più di ogni cosa, anche e soprattutto quello coniato nel primo trentennio del ventesimo secolo dal pluriscudettato mediano della Pro Vercelli, Guido Ara: "Il calcio non è uno sport per signorine". Falso. C'è posto per tutti, basta avere cattiva coscienza e malafede come fari.
Falsa la profezia di Ara. Un po' perché dimentica le leggende sentimentali da spogliatoio, un po' perché trascura l'animo candido di tanti pallonari in difficoltà con depressioni, scarpe appese a qualche tipo di muro, improvvise sparizioni dalla scena, un po' perché Maradona non si è mai offeso se qualcuno gli diceva "Nano" e "midget", tra le parole cancellate dal Liverpool, c'è.
Nella strada verso una decente presa in giro, nella delimitarizzazione degli stadi, nel costo complessivo che si può pagare al linguaggio, il conformismo stona. Il campanilismo senza degenerazioni non ha mai ucciso nessuno. Una conferenza stampa di Cassano non ha mai ferito nessuno. Una gallina a guinzaglio di Zigoni neanche. L'ipocrisia e il dominio consapevolmente legato ai soli violenti (i capibastone da curva citati da Fabio Capello anni fa) che in molti casi continuano a dominare e di cui le questure d'Italia e le dirigenze di mezzo campionato conoscono a memoria telefono, abitazioni e reati contro il patrimonio, sì.
Salvateci Ibrahimovic, il suo insopportabile ciondolare e quel coro, rabbia, passione, delusione amorosa e raziocinio che cambiando il nome proprio era l'inoffensiva colonna sonora degli stadi di un tempo: "Puttana, puttana, l'hai fatto per la grana". Vietata anche questa. Dai piccoli maestri del Liverpool. In nome dell'ovvio e condiviso rifiuto di ogni discriminazione. Nell'ovvio rispetto di ogni scelta di sesso, razza o religione. Sembra una chiesa illuminata, ma è un trucco. à solo una società per azioni.
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