LA CINA È VICINA AL MILAN - INTESA COL GRUPPO IMPRENDITORIALE CONTROLLATO DAL GOVERNO DI PECHINO PER LA CESSIONE DEL CLUB: BERLUSCONI TENTENNA MA LA FININVEST SPINGE PER IL SI’: PESA IL BUCO NEL BILANCIO, IN ROSSO PER OLTRE 89 MILIONI DI €
Enrico Currò e Luca Pagni per “la Repubblica”
Stavolta il Milan è davvero a un passo dal parlare cinese. Tutto dipenderà dai tormenti di Berlusconi, riluttante a cedere il timone: se non subito, entro un paio d’anni. Tocca al proprietario, infatti, il via libera o il pollice verso all’operazione che in estate consegnerebbe il 50% del club a un gruppo imprenditoriale di primo livello, controllato dal governo di Pechino, con opzione per la maggioranza in 24 mesi.
Dopo lo strano caso del thailandese Mister Bee – liquidato come goffo broker da chi lo presentò come mago della finanza d’Asia – il sospirato investimento orientale viene giudicato indispensabile dai vertici di Fininvest, la holding di famiglia. Il deficit di bilancio del Milan per il 2015 sarà ancora pesante: oltre 89 milioni di euro.
La trattativa, rivelata il 7 febbraio da Repubblica, è avanzatissima, con le carte in regola per chiudere a luglio. Una settimana fa, nell’ultima riunione milanese, sono stati definiti i dettagli della proposta, più realistica di quella ormai tramontata di Bee.
L’ingegnere di Bangkok era la teorica guida di una cordata di imprenditori asiatici, pronti a sborsare a Fininvest 480 milioni per il 48%. Il Milan veniva dunque valutato un miliardo, cifra fuori mercato. Poi i guai giudiziari dell’advisor svizzero e le ripetute proroghe hanno smascherato la precarietà dell’affare.
Oggi la valutazione complessiva scende di almeno un terzo, intorno ai 630 milioni. Ne consegue che l’esborso iniziale del gruppo cinese supererebbe di poco i 300 milioni: secondo gli analisti, si tratta comunque di un’offerta congrua. Anzi, dati il calo del fatturato (sotto i 200 milioni l’anno) e il terzo esilio consecutivo dalla Champions, la valutazione più oggettiva sarebbe di mezzo miliardo.
Ma il vero nodo resta il controllo della società, che Berlusconi non intende cedere. Con meno politica, il calcio è al centro delle sue giornate. Il sogno sbandierato è rivincere la Champions con una squadra giovane e tutta italiana.
Il silenzio è sul pessimo esito della separazione tra parte sportiva e commerciale, suddivise da fine 2013 tra due Ad, la figlia Barbara e Adriano Galliani. Non è detto che a vacillare, nell’eventuale nuovo assetto, sarebbe Galliani, del quale all’epoca Berlusconi respinse le dimissioni, dissuadendolo dal trasferirsi in Cina al Guangzhou allenato da Lippi.
Mentre Mister Bee si diceva disinteressato al comando in prima persona, subordinandolo allo sviluppo del marchio in Estremo Oriente e alla quotazione in borsa, i nuovi investitori non sono così generosi: vogliono partecipare alle decisioni strategiche e alla scelta dell’amministratore delegato. Difficilmente conserverebbero la diarchia attuale, tra le cause del pesante deficit.
La bozza di intesa prevede inoltre una serie di accordi commerciali, materia di competenza di Barbara, fin qui frustrata dal calcio: il dietro- front del padre sul nuovo stadio al Portello con richiesta danni da Fondazione Fiera, il faticoso decollo della nuova sede, del museo, del ristorante e dello store, i numerosi consulenti assunti e ripudiati.
Quanto alle spine sportive, non il sesto posto dell’Europa League, ma solo la vittoria in finale di Coppa Italia con la Juve restituirebbe entusiasmo. E porterebbe, Supercoppa inclusa, una decina di milioni.
Galliani sogna ancora di strappare Ibra a United o Psg. Intanto si schiera con Mihajlovic, lui che in estate si vide bocciare l’ingaggio di Sarri da Berlusconi. Il quale, volubile sugli allenatori, pensa a Brocchi, simbolo della suddetta squadra giovane e italiana. Non è escluso che spunti il terzo incomodo Di Francesco. Sul Milan cinese, invece, il pronostico è impossibile perfino per chi frequenta Arcore.