DAGLI ENERGY DRINK ALLA FABBRICA DEI CAMPIONI: L'INCREDIBILE ASCESA DI DIETRICH MATESCHITZ - IL CO-FONDATORE DI "RED BULL", SCOMPARSO SABATO A 78 ANNI CHE HA COSTRUITO UN IMPERO SPORTIVO RIUSCENDO A SCOVARE TALENTI E INVESTENDO AL MOMENTO GIUSTO - MOLTI GLI DIEDERO DEL PAZZO QUANDO DECISE DI BUTTARSI NELLA FORMULA 1, IN CALO DI INTERESSE DOPO IL RITIRO DI MICHAEL SCHUMACHER - I SUOI METODI DI SELEZIONE ERANO "SPIETATI" MA SAPEVA VALORIZZARE I GIOVANI...
1.LA FABBRICA DEI CAMPIONI, COSÌ MATESCHITZ SCOVAVA I TALENTI
D. Spa. per il “Corriere della Sera”
Evitava le telecamere ma decideva tutto o quasi all'interno delle sue aziende. Fino a quando la salute glielo ha consentito. Invisibile ma potentissimo Dietrich Mateschitz, gli hanno dato del pazzo quando decise di mettere i soldi in una Formula 1 in calo di interesse dopo la fine del regno di Michael Schumacher. A metà degli anni duemila. «Sono proprio i momenti di riflusso quelli in cui è bene investire di più. È un bel segnale per tutti se la Red Bull spende».
Altro che lascia, raddoppia. Così l'inventore dell'energy drink spiegava l'acquisto della seconda scuderia, la Minardi poi ribattezzata Toro Rosso (ora AlphaTauri, un marchio di moda della galassia Red Bull). Ricorda Gian Carlo Minardi: «Era sempre cordiale e disponibile, si vedeva pochissimo in giro ma aveva una passione enorme. I suoi investimenti hanno fatto sì che a Faenza esista ancora una realtà industriale di livello mondiale. La squadra è diventata tre volte più grande rispetto ai miei tempi, ha più di 500 dipendenti, ma ha continuato nel nostro solco: scoprire nuovi campioni».
Helmut Marko come braccio destro nelle corse, fiducia totale a Christian Horner e a Franz Tost (il team principal dell'AlphaTauri, anche lui austriaco). Doppia scuderia per un doppio scopo: avere maggior peso politico (quando minacciava il ritiro in F1 tremavano) e «addestrare giovani piloti». «Nel mondo esistono talenti da valorizzare e allora è meglio avere un team nel quale gestisci l'intera crescita di questi ragazzi» questa era la sua visione.
La fabbrica dei campioni, il metodo Red Bull è spietato. Tanti sono stati messi alla porta in maniera brusca o semplicemente non ritenuti all'altezza: Alguersuari, Buemi, Vergne, Kvyat, Hartley. Ma la miniera produce anche diamanti: Sebastian Vettel, sgrezzato nel vivaio di Faenza e poi lanciato alla conquista dei quattro titoli di fila (2010-2013), i primi di Mateschitz. E poi Daniel Ricciardo, ma soprattutto Max Verstappen: «Didi» si fidò a farlo debuttare a 17 anni, capì che quell'adolescente con i brufoli aveva doti fuori dal comune.
C'era un rapporto speciale fra loro, lo svela Max: «Non voleva mai farsi vedere dalle telecamere, ma era gentile e premuroso e pian piano ci siamo conosciuti. Ha creduto in me nonostante fossi giovanissimo. Ricorderò per sempre il nostro ultimo incontro, abbiamo parlato a lungo. Lo porterò sempre con me».
2. MISTER RED BULL, L’UOMO CHE HA CAMBIATO LO SPORT
Umberto Zapelloni per “il Giornale”
Dietrich Mateschitz era l'uomo che aveva messo le ali allo sport, non solo a Sebastian Vettel e a Max Verstappen. Meglio riconoscibile come il signor Red Bull, era uno degli uomini più ricchi del mondo, il 56° stando alle classifiche 2021 di Forbes e aveva fatto dello sport il suo parco giochi privato investendo milioni di euro in qualsiasi disciplina potesse creare spettacolo.
Lo ha fatto in Formula 1, nel moto mondiale, ma anche nel calcio con il Salisburgo, ma soprattutto con il Lipsia, nello sci, nel nuoto, negli e-sports, negli sport estremi, come i tuffi dalle grandi altezze che lui portava nei posti più belli e spettacolari del mondo, fino anche la federnuoto si è accorta di quel potenziale inserendoli nel programma di mondiali e Giochi olimpici. In un certo senso ha cambiato le leggi dello sport non soltanto investendo milioni di dollari, ma cambiando proprio faccia alla comunicazione un po' come con la sua pattuglia acrobatica di aerei che ogni tanto sfreccia nei cieli.
La sua vita è incominciata a 40 anni quando fondò la Red Bull GmbH di cui detiene il 49% delle azioni. Ha dato allo sport una botta di energia giovane e fresca, esattamente l'effetto che hanno le sue bevande quando ti viene un abbiocco. Partendo da una bibita in lattina, ha conquistato 10 titoli mondiali con Vettel e Verstapppen, battendo chi le automobili le fabbrica per vivere e non è che investa molto meno. Ha rilevato due squadre, trasformando la Jaguar in Red Bull e la gloriosa Minardi in Toro Rosso (e poi in Alpha Tauri, inguardabile nome della collezione di moda del gruppo).
Ha portato il Salisburgo a vincere in Austria e il Lipsia a far scuola con quel Rangnick che stava per finire al Milan. Ci ha provato anche a New York comprando i MetroStars e trasformandoli in New York Red Bulls e in Brasile fondando la Red Bull Brasil. Ha scoperto giovani talenti, ha rivoluzionato la comunicazione fondando pure una rivista che è diventata un must per gli amanti degli sport estremi, ha portato nel paddock, negli stadi, nelle palestre, sulle montagne e in fondo al mare una ventata di gioventù. Proprio come ha fatto con i suoi drink energetici nel panorama delle bevande.
Si è inventato una nuova categoria merceologica invadendo 170 paesi e costruendo un brand valutato più di 10 miliardi di dollari. Oggi l'azienda ha 13.610 dipendenti e nel 2021 ha venduto 9.804 miliardi di lattine. Dopo averci messo una decina d'anni a laurearsi in marketing all'università di Vienna (era più interessato a feste e ragazze) ha cominciato la sua carriera in Unilever, passando poi alla Procter & Gamble a vendere creme, dentifrici e shampoo. Quando per battere il jet lag in Thailandia ha aperto una lattina di Krating Daeng il suo mondo è cambiato.
Questo almeno racconta la leggenda, perché una versione ufficiale non esiste. La bibita spopolava tra i camionisti e tra chi non voleva rischiare una botta di sonno. A quel punto con il socio thailandese che aveva in portafoglio la bevanda, ha fondato la nuova società: 500mila dollari a testa e la sfida è partita. Il primo aprile 1987 la prima lattina di Red Bull è arrivata sul mercato austriaco. Conquistarlo non è stato facile. Nessuno la voleva.
Molti paesi la ostacolavano perché conteneva troppa caffeina, in Italia per molto tempo non veniva venduta ai minorenni. Mateschitz ha cominciato a battere gli autogrill porta a porta con le sue lattine strette e lunghe. Non si arrendeva mai proprio come all'inizio della sua carriera da sponsor quando aveva dovuto insistere per convincere Gerhard Berger, allora alla Ferrari, a entrare nella sua squadra.
Avrebbe potuto sfruttare la sua popolarità invece ha sempre preferito fare il regista lontano dai riflettori. Lo show lo faceva fare agli altri, basta che portassero i suoi colori. Sul cappellino, sulla tuta, sul costume. Ovunque basta che si vedesse e trasmettesse un'immagine di velocità, freschezza, gioventù. A lui è sempre bastato mettere le Aaali agli altri. Al massimo per sé teneva qualche aereo da collezione nell'hangar diventato museo a Salisburgo.