DA TORREVECCHIA AI CAMPI DA FOOTBALL DEGLI STATI UNITI: LA STORIA DA FILM DI HABAKKUK BALDONADO - CLASSE 1999, È CRESCIUTO ALLENANDOSI NELLA CAPITALE E ORA POTREBBE SFONDARE NELLA MASSIMA SERIE AMERICANA, LA “NFL” – IL SUO RACCONTO: “IL CAMPO ERA ALL’EUR MA IO ABITAVO IN ZONA PORTUENSE ED ERA COMPLICATO. PAPÀ, DOPO UNA GIORNATA DI LAVORO, SI ADDORMENTAVA SUGLI SPALTI - ENTRAI IN CONTATTO CON IL COACH DELLA CLEARWATER ACADEMY INT, IN FLORIDA E MIA MADRE MI DISSE 'VAI'. POI…”
“Pitt made me who I am.”
- Habakkuk Baldonado @abba1999
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— Pitt Football (@Pitt_FB) March 29, 2023
Estratto dell’articolo di Giovanni Marino per “la Repubblica”
Quasi due metri per 116 chili di muscoli. Un difensore tremendamente efficace. «Ma non ero così, ci ho lavorato tanto, Dio solo sa quanto...», quasi si giustifica con il suo accento romano il primo giocatore di scuola italiana che potrebbe entrare nel mondo della Nfl.
Habakkuk Baldonado è a un passo dal grande sogno. Da giovedì a sabato il Draft sceglierà i migliori giocatori dei college e “Haba” (classe 1999) è in piena corsa. Da Roma a Pittsburgh, meglio: da Torrevecchia agli Stati Uniti, passando per i campi dell’Eur. A Repubblica racconta con contagioso entusiasmo la sua storia. […]
Come fa un ragazzo di Torrevecchia nell’Italia calciofila a sfondare nel gioco dei touchdown?
«Da ragazzino non sapevo proprio niente del football. C’era solo il calcio, sì. Ma a 12 anni vidi in tv una partita della Nfl. Ha presente il colpo di fulmine? Ecco, proprio quello... Era tutto così tremendamente veloce, adrenalinico, ma al tempo stesso complesso e strategico che mi conquistò. Cercai un team: trovai i Lazio Marines.
Il campo di allenamento era all’Eur ma io abitavo in zona Portuense ed era complicato.
Ci andai per un po’, ma ci si allenava solo dopo le 21 e papà, che mi accompagnava dopo una dura giornata di lavoro, si addormentava, esausto, sugli spalti. Così, visto il peso che tutto questo aveva sulla mia famiglia, dopo solo un mese smisi».
Ma c’è un secondo tempo...
«Sì, fortunatamente. Il sacro fuoco riprese a bruciare dentro di me quando incontrai Fabrizio Umetelli, un mio ex compagno di squadra. Mi disse che i Marines si erano spostati a Viale Marconi e mi invitò a tornare in campo. Non ci pensai su un secondo. Da lì non ho più smesso».
A Roma ha imparato a giocare, e molto bene visto che poi...
«Poi la chance negli Usa. È andata così: grazie all’aiuto di Guido Cavallini entrai in contatto con l’head coach della Clearwater Academy Int, vicino a Tampa, in Florida. In quel momento avevo 17 anni e non me la sentivo di lasciare la città che amo, la mia città.
Gesù, che faccio?, mi tormentavo. Mamma Paola, la mia forza, non ha esitato: “Vai, vai!”. L’inizio non è stato facile. Mi sono infortunato e sembrava tutto finito. Ma recuperai e chiusi la stagione con numeri pazzeschi». […]
Quanta Roma ha portato con lei in questa avventura americana?
«Mi manca tutto di Roma, dai compagni di scuola alle interminabili serate a Trastevere. Con me ho sempre una gigantesca bandiera italiana con il Colosseo sopra. Del mio Paese, poi, mi mancano il cibo (qui fanno la pizza con l’ananas...) e il sapersi rilassare con gli amici. In Usa sono tutti individualisti, concentrati solo nel far soldi. Ovviamente tifo giallorosso, adoro Totti ma anche Spalletti, grande allenatore, polemiche a parte». […]