LA DOLCE OSSESSIONE PER 'O TIR AGGIR - INSIGNE HA PROVATO IL COLPO DEL KO AL BELGIO ANCORA, IN ALLENAMENTO: PRIMA ERA DIVENTATO CAUSA DI UNA NAUSEA COLLETTIVA (BASTA, SMETTILA, INVENTATI UN'ALTRA ROBA) E POI CAPOLAVORO, OPERA D'ARTE - LORENZO È IL NOSTRO UOMO DI MAGGIOR CLASSE, PENALIZZATO DAI PARAGONI CON UN PASSATO INGOMBRANTE: BAGGIO, TOTTI, DEL PIERO - LUI E MANCINI SI CAPISCONO CON MEZZO SGUARDO: CON LA SPAGNA È L'UNICO LÀ DAVANTI NON IN DISCUSSIONE... - VIDEO
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— La UEFA (@UEFAcom_it) July 6, 2021
Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera"
È rimasto un po' indietro (gli altri azzurri già camminano verso il cerchio del centrocampo, dove sono attesi da Roberto Mancini e Gianluca Vialli, a braccia conserte). Lui, prima di andare, deve fare quella cosa lì. Sente di doverla fare. Molto più di un tic. Un'ossessione.
Allora Lorenzo Insigne sceglie a caso uno dei palloni sparsi sul campo, lo accarezza con l'esterno del destro, se lo sposta di venti centimetri e, alzando la testa, guarda l'incrocio dei pali più lontano: calcia forte con l'interno e prova anche qui, anche adesso, il suo solito tiro a giro con la palla che s'impenna e s'abbassa, diventato prima trend topic su Twitter per nausea collettiva - basta, smettila, inventati un'altra roba - e poi capolavoro, opera d'arte, quando i difensori del Belgio si sono voltati dicendo: ma dov'è che l'ha messa?
Inizia l'ultimo allenamento. Hive Stadium, piove su Londra al tramonto. Il prato di Wembley, poco distante. Leonardo Spinazzola avrebbe potuto volarci sopra. I cronisti spagnoli vogliono sapere se è confermato che al suo posto giocherà Emerson Palmieri. Chiedono anche se cambierà qualcosa a sinistra. No: quando Emerson salirà, Insigne stringerà verso il centro, provando a galleggiare sulla trequarti. Gli spagnoli annuiscono e dicono che Insigne è il nostro calciatore di maggior classe. Hanno ragione (probabilmente).
LORENZO INSIGNE E IL TIRO A GIRO
Però le nostre facce sono sempre un filo di circostanza. Il fatto è che in quella zona del campo, con quei compiti, abbiamo spesso avuto dei fuoriclasse. Baggio, Totti, o anche Del Piero e Cassano.
E prima di loro Bearzot si prendeva il lusso di lasciare a casa Beccalossi. E prima ancora uno come Mariolino Corso, con quel sinistro miracoloso, aveva giocato in Nazionale solo 23 volte. Siamo sempre stati abituati bene. Non è colpa di Insigne. Ma, inevitabilmente, è un suo problema.
Il calcio vive di paragoni. Se nella vita guardare indietro è un errore, nel calcio è divertente. Mancini non lo fa. Un po' perché non è il tipo, un po' perché non può permetterselo. Sa che Insigne è il meglio che può avere da quella parte, in quel ruolo.
E non l'ha mai messo in discussione (in attacco, l'unico ad avere questo privilegio: Immobile ha l'ombra di Belotti e persino di Bernardeschi, come falso nove; a destra, vediamo se contro la Spagna Chiesa s'è davvero ripreso la maglia).
Insigne è sette centimetri più basso di Messi, due di Maradona. Ma non è per un dettaglio così che, spesso, i tifosi del Napoli lo fischiano. Anche questo ha pagato, e paga, Insigne: è il capitano di una squadra e di una città che da trent'anni aspetta di innamorarsi nuovamente dopo aver amato il più forte calciatore di tutti i tempi.
E poi c'è un presidente gelido, Aurelio De Laurentiis, che vuole rinnovargli il contratto facendolo passare dai 4,5 milioni netti attuali a 3,5 (clamorosa dimostrazione di stima e fiducia).
E infine c'è pure il suo carattere: schivo e permaloso. Un brutto miscuglio. Quando i fischi arrivavano addosso ad Antonio Juliano, gran capitano degli anni Sessanta/Settanta, tra Sivori e Altafini, «Totonno» si esaltava con la sua faccia da indio. Insigne s'acciglia, e prima s'arrabbia, poi si deprime. Fateci caso: nei suoi sguardi non c'è quasi mai traccia di allegria.
La Lamborghini in garage, duecento metri di appartamento in via Petrarca, sulla collina di Posillipo: però la felicità è sempre un punto di vista. Magari Lorenzo voleva anche essere amato dalla sua città.
Poi, sì: è nato a Frattamaggiore, comune dell'hinterland. Tre fratelli e il padre Carmine che fa l'operaio e perde il lavoro, la madre Patrizia che cerca di tenere tutto unito, il pranzo con la cena, la dignità con l'affetto: e lui che la domenica, a dieci anni, lavora in una bancarella aspettando il lunedì, per tornare a giocare nella scuola calcio.
Da lì, la biografia di uno che, abbastanza velocemente, ce l'ha però fatta: Cavese, Foggia, Pescara, fino al Napoli. L'incontro fondamentale con Zeman. Le difficoltà con Mazzarri. La consacrazione con Sarri. Qualche incomprensione con Ancelotti.
Mancini e Insigne si capiscono con mezzo sguardo. Forse c'è molto merito del ct, che fa giocare abbastanza bene tutti. Comunque non è mai facile stabilire dove arriva la bravura dell'allenatore e dove comincia quella del calciatore.
Di sicuro alcune giocate sono proprietà privata di Insigne: lo stop in corsa, il dai e vai, il pallone - volendo - sempre di prima, una certa abilità nel trovarsi lo spazio giusto. Poi, va bene: Insigne si ostina a fare anche quella cosa lì (per la cronaca: ad inizio allenamento, l'aveva piazzata all'incrocio, una delizia).
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