DONALD TRUMP, PER ME NUMERO 1 – COACH DAN PETERSON, MITOLOGICO ALLENATORE DI BASKET, SPIEGA PERCHE’ HA VINTO IL TYCOON: “QUANDO BIDEN HA PROVATO A DIRE CHE LA CAMPAGNA ELETTORALE DI TRUMP ERA UN RIFIUTO, LUI SI È VESTITO DA UOMO DELLA SPAZZATURA E SI È FATTO FOTOGRAFARE SU UN CAMION. E PERSINO GLI SPAZZINI L’HANNO VOTATO! HA PORTATO DALLA SUA PARTE I NERI, I LATINOAMERICANI E PERSINO MOLTI MUSULMANI. SI È PRESENTATO LORO COME UN FRATELLO RASSICURANTE" – E POI RACCONTA, PER L’ENNESIMA VOLTA, COME SCAMPO’ AL GOLPE PINOCHET IN CILE
Leonardo Iannacci per liberoquotidiano.it - Estratti
Daniel Lowell Peterson, nato 88 anni fa a Evanston, Illinois, sotto il segno del Capricorno, non è soltanto un grande ex allenatore di basket, un commentatore televisivo, un genio del marketing pubblicitario, un bravo scrittore, un simpatico attore caratterista. È laureato in storia americana e ci può spiegare bene, da osservatore attento, cosa sta succedendo in questi giorno oltreoceano dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
Peterson, come si spiega il fatto che Trump non ha solo vinto ma ha stravinto?
«Perché ha lavorato sodo e bene in campagna elettorale. Meglio della Harris. Dopo la sconfitta del 2020, ha analizzato gli sbagli di allora e non li ha più ripetuti».
Il segreto del suo trionfo a cosa si deve?
«Al lavoro pazzesco della sua organizzazione, alle migliaia di volontari e a qualche suo colpo di genio».
Per esempio?
«Quando Biden ha provato a dire che la campagna elettorale di Trump era un rifiuto, lui si è vestito da uomo della spazzatura e si è fatto fotografare su un camion. E persino gli spazzini l’hanno votato!».
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Ma un divario così netto se lo aspettava?
«Assolutamente no. È stata un partita dominata da Trump che non ha vinto per un canestro ma di 20 punti!»
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Cos’altro l’ha colpita nella vittoria di Trump?
«Il fatto che ha portato dalla sua parte i neri, i latinoamericani e persino molti musulmani. Non me lo sarei mai aspettato. In questo è stato un genio perché si è presentato loro come un fratello rassicurante».
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Vero che scampò al golpe di Pinochet per pochi giorni?
«Nel 1973 allenavo la nazionale cilena, ma a Santiago tirava una brutta aria. Alla fine di agosto presi un aereo per Bologna perché il proprietario della Virtus, Gigi Porelli, al quale ho dedicato il mio ultimo libro, mi aveva fatto firmare un bel contratto. Ignaro di quello che sarebbe successo in Cile, partii e l’11 settembre ci fu il golpe nel quale fecero fuori Salvador Allende. Il mio ufficio di Santiago era a 80 metri dal suo palazzo che fu assalito. Vidi tutto quell’inferno dalla televisone. Ma ormai ero in Italia».
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