DOPO LA VITTORIA COL NAPOLI, CONTE HA RIMESSO LA JUVE E IL SUO COTONATISSIMO TUPÉ “AL CENTRO DEL VILLAGGIO” - MA NEL SUO FUTURO C’È L’ESTERO: SI SENTE IL NUOVO “MOU”

Emanuele Gamba per "La Repubblica"

E poi, a notte oramai fonda, Conte disse linesman invece di guardalinee («Non mi veniva la parola in italiano»), come se fosse il segno di in un viaggio imminente. O come, più probabilmente, come se l'Italia non gli bastasse più, e più che con l'italiano non si trovasse con gli italiani.

«Perché si parla di questi e di quelli, agli altri vanno gli elogi e a noi le critiche. Anche l'anno scorso si dicevano le stesse cose, dopo che perdemmo con l'Inter: siamo sazi, non abbiamo intensità, non siamo più quelli del primo anno. Però la Juve è sempre lì. Sempre».

La vittoria con il Napoli, per forma e dimensioni, ha ristabilito le gerarchie. «La marcia della Roma ha buttato un po' di fumo sul nostro cammino, ma stiamo facendo cose straordinarie». E da domenica, dunque, ogni cosa è tornata al suo posto: la Juve quasi in cima al campionato e Conte al centro dell'arena, pronto a scagliarsi contro chiunque o, eventualmente, a fare da scudo umano ai suoi giocatori, «ai miei ragazzi straordinari», che però, è bene precisare, hanno dannatamente bisogno di lui: «Non puoi vincere solo con i fuoriclasse, serve anche l'organizzazione. Ma è bello vedere i campioni che seguono al cento per cento lo spartito. Io giovedì notte non ho dormito, perché non riuscivo a capire come battere il Napoli. Ma poi quello che avevamo studiato è venuto tutto alla perfezione».

È il ritorno di Conte, prima ancora della Juve. Seminando una parola qua e una parola là, l'allenatore bicampione d'Italia si è messo al centro del villaggio, altro che la chiesa di Garcia. Ma d'altronde erano settimane che aspettava, che pazientava, che si mitigava. Le difficoltà che avrebbe incontrato la sua squadra le aveva in qualche modo previste, e anche anticipate nelle dichiarazioni di quest'estate.

Sapeva che due scudetti avrebbero allentato la tensione, l'attenzione, la concentrazione: tutti quei gol presi sono state distrazioni, non debolezze. Sapeva che si sarebbero mescolati fatica e appagamento, «perché è difficilissimo avere ancora voglia di vincere dopo aver conquistato due scudetti» e che la Juve avrebbe pagato dazio nei primi mesi della stagione. Magari non immaginava un tracollo come quello di Firenze («Dieci minuti assurdi in una partita che stavamo dominando »), ma in fin dei conti è stato quel tracollo così rumoroso a dare la sveglia definitiva.

Conte, difatti, sapeva anche che sarebbe bastato aspettare: è rimasto calmo, ha alzato la voce di rado, ha rimesso in carreggiata i giocatori passo dopo passo, senza stressarli ma assecondandone l'appetito che tornava, un colpetto alla volta. Ha usato più la carota del bastone. È stato lucido, persuasivo. I risultati, e il modo in cui arrivano, gli stanno dando ragione.

Adesso, dunque può tornare a essere spontaneamente e completamente se stesso: la polemica con Benitez, nata su basi futilissime, è poi tracimata nella notte tra domenica a lunedì. Conte ha aspettato ben oltre la mezzanotte per sapere cosa avrebbe detto il collega spagnolo («La Juve più di noi ha cento milioni di fatturato, e non mi si può dire che se non vincerò con il Napoli non avrò fatto nulla, perché io ho dodici titoli internazionali») e mica si è morso la lingua:

«Compresi quelli conquistati da calciatore, io di titoli ne ho una ventina, quindi ho tante cose da insegnare. Oltretutto ho anche perso molto, e la sconfitta mi ha dato quella cattiveria che adesso mi serve per vincere. Negli ultimi cinque anni ho conquistato quattro campionati: non sono e non sarò mai l'ultimo arrivato». Ma potrebbe essere il prossimo ad andarsene: la serie A finirà per stargli stretta.

 

antonio conte foto mezzelani gmt antonio conteAntonio Conte BENITEZ-HIGUAINandrea agnelli festeggia lo scudetto juve negli spogliatoi ANDREA AGNELLI E PAVEL NEDVED

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