CALCIO DOTTO - DI QUANTE VITE (SPORTIVE) DISPONE ZLATAN IBRAHIMOVIC? ORA L’ULTIMO CRAC. STRANO (PSICOSOMATICO?) CHE IL POLPACCIO GLI FRANI MENTRE LA SUA MENTE SI TORCE NEL DUBBIO SE RESTARE O MENO AL MILAN. DOVESSE MAI CHIUDERE CON IL CALCIO, LO FARÀ DA LEGGENDA. UNA PICCOLA ANTICIPAZIONE CE L’HA GIÀ DATA: “NON USCIRÒ DI SCENA ZOPPICANDO, MA A MODO MIO. ANCHE SE DOVESSI CAMMINARE SULL’ACQUA”. OCCHIO AI NAVIGLI (IBRA HA RIPORTATO UNA LESIONE AL POLPACCIO, IL TENDINE D'ACHILLE E' INTEGRO)
Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Di quante vite (sportive) dispone Zlatan Ibrahimovic? La questione si fa interessante. Quante “tegole” può ancora sopportare il suo magnifico corpo di quarantenne, sempre più vicino all’esoscheletro di un semidio? Quanti falsi “allarmi rossi” suoneranno invano sulla sua storia infinita, sempre più segnata da un lucido delirio di onnipotenza? Quanti “fulmini a ciel sereno” potranno ancora abbattersi sulla sua pretesa d’invincibilità? Nata probabilmente come un gioco egoico, ha finito per crederci. Di sicuro, Ibra non ha altro Dio all’infuori di sé. E quando Ibra ha fede, le montagne si spianano, i mari si aprono.
Ora l’ultimo crac. Ibra è uscito dalla sua tenda di Milanello zoppicando e scuro in volto, come Achille alla morte di Patroclo. Una belva dentro l’eventuale dolore. Il polpaccio sarà il suo tallone? Speriamo non sia il suo tendine (lo sapremo dagli esami diagnostici). Quando, tre anni fa, si ruppe crociato anteriore e posteriore i più lo liquidarono come “finito”. Errore madornale. Tornò, se non più forte di prima, certo più cattivo, quasi malvagio, spaventando in lungo e in largo i teneri campi d’America, con il suo ghigno da joker, il suo sibilo da cobra e le sue mosse da taekwondo.
L’unico, Ibra, ad essere sopravvissuto alla propria statua, vandalizzata dai suoi tifosi di Malmoe che si sentivano traditi dal ragazzo del ghetto e dal suo flirt con l’Hammarby, il club rivale di Stoccolma. Da Malmoe a Milano, passando per Torino, ancora due volte Milano, Barcellona, Parigi, Manchester, Los Angeles, Zlatan ha messo insieme i pezzi della sua mitografia con uno scientifico e spietato senso della trama che lui chiama destino.
Un meraviglioso e strapagato mercenario, un capitano di ventura alla Bartolomeo Colleoni dagli attributi d’acciaio oltre che più numerosi della media. Sempre più incastrato nel suo personaggio un po’ spaccone, un po’ stregone, fotomontandosi nei social con maschere sincretiche in cui puoi trovarci quello che vuoi, il dio e il diavolo, sangue slavo e corteccia vichinga. Messaggi da decifrare in cui costante è la sfida al mondo, prima ancora che il mondo si dichiari ostile. Dettaglio superfluo per Ibra che inventa il nemico soprattutto là dove non c’è. Sentirsi Dio gli viene naturale. Quando è giù di corda o di autostima te ne accorgi perché si limita a Gesù Cristo. Guai sminuirlo, chiamandolo “re” o “imperatore”, ti tira uno scarpino in faccia.
Strano (psicosomatico?) che il polpaccio gli frani proprio mentre la sua mente si torce nel dubbio se restare o meno al Milan. Difficile immaginarlo che si pieghi in due per piangere sulla spalla del fido Mino, alias Raiola. Difficile anche che la sua Helena lo convinca a fare il mammo dei due figli. Più facile pensare che Zlatan stia già covando il suo nuovo furore. “Avete voluto Zlatan, vi ho dato Zlatan. La storia continua…” il suo commiato ai tifosi del Galaxy, con la chiosa più arrogante della storia: “Ora tornate a guardare il baseball”. La storia probabilmente continua, polpaccio o no. A Zlatan basta poco. Gli basta sapere di essere Zlatan. Dovesse mai chiudere con il calcio, lo farà da leggenda. Una piccola anticipazione ce l’ha già data: “Non uscirò di scena zoppicando, ma a modo mio. Anche se dovessi camminare sull’acqua”. Occhio ai Navigli.
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