bruno fernandes

“È UN MOSTRO, NON LO VOGLIAMO” – IL PORTIERE KILLER BRUNO FERNANDES TORNA IN CAMPO NELLA TERZA DIVISIONE DEL CAMPIONATO BRASILIANO MA I TIFOSI PROTESTANO - L’EX PORTIERE DEL FLAMENGO FU CONDANNATO NEL 2013 A 20 ANNI E 9 MESI DI CARCERE PER IL BRUTALE OMICIDIO DELLA FIDANZATA – IL GIOCATORE, CHE INTERESSAVA ANCHE IL MILAN, AVEVA TENTATO IL SUICIDIO IN CARCERE. ORA E’ IN SEMILIBERTÀ

Carlos Passerini per corriere.it

 

bruno fernandes e la fidanzata uccisa

«È un mostro, qui non lo vogliamo». La gran parte dei tifosi del Poços de Caldas, terza divisione del campionato brasiliano, non ne vuole sapere: «È un assassino, non merita una seconda chance». Molti minacciano di stracciare l’abbonamento, diversi sponsor hanno già ritirato i finanziamenti, a partire dall’azienda che distribuisce le divise, eppure il presidente Paulo César da Silva se la ride: nella foto che lo ritrae insieme al nuovo acquisto non nasconde la soddisfazione per quello che ritiene un grande colpo di mercato.

 

Per tutti laggiù Bruno Fernandes è il Mostro. Ma non per sua la sua forza fra i pali, bensì per il feroce crimine per il quale è stato condannato. Nel 2013 gli hanno dato 20 anni e 9 mesi di carcere per il brutale omicidio dell’amante, la modella venticinquenne Eliza Samudio, risalente al 2010. Una vicenda agghiacciante, impressa nella memoria collettiva di un Paese nel quale peraltro i femminicidi hanno raggiunto livelli spaventosi, come testimoniano le 1.173 vittime accertate nel 2018, più di tre al giorno.

bruno fernandes

 

L’omicidio dopo il parto

Rimasta incinta di Bruno, nonostante le minacce Eliza aveva deciso di far nascere il figlio Bruninho: nemmeno cinque mesi dopo il parto fu rapita, strangolata, fatta a pezzi e gettata in pasto ai rottweiler per far sparire ogni traccia. A confessare la storia, un cugino del calciatore. Ucciso un paio d’anni dopo da due killer.

 

Un caso che indignò i brasiliani per il disprezzo assoluto della vittima e per la metodica pianificazione dell’assassinio, orchestrato con glaciale freddezza dal giocatore e dai suoi amici. La vicenda stroncò la carriera del giocatore, all’epoca titolare del Flamengo e a un passo dalla convocazione in nazionale, dove veniva considerato l’erede di Julio Cesar. Il Milan lo aveva preso in considerazione come successore di Dida.

bruno fernandes

 

Le firme contro il suo rientro in campo

Nella foto della presentazione pubblicata su Facebook, anche Bruno sorride. Non è la prima volta che trova un ingaggio, da quando è finito in carcere. Nel 2017 aveva firmato per il Boa Esporte di serie B, poi però la semilibertà gli fu revocata e tornò dentro. L’ha però riottenuta il 19 luglio scorso: se il giudice di sorveglianza non si oppone potrà quindi allenarsi e giocare le partite ufficiali, a patto di tornare non in carcere ma addirittura a casa tra le otto di sera e le sei del mattino. Il ritorno in campo è previsto per la seconda metà del 2020, quando riprenderà il campionato mineiro di terza divisione.

 

bruno fernandes

Che per Bruno, oggi 34enne, è però soltanto una tappa, come ha spiegato il suo avvocato al quotidiano brasiliano Globoesporte: «È abbastanza contento, il suo obiettivo è tenersi in forma, poi potrà analizzare con calma altre proposte». Un’associazione dei diritti umani, «Somos todos vitimas unidas», aveva già raccolto 40 mila firme contro il suo ritorno in campo nel 2017 e ora ripartirà con la sua campagna.

 

L’unica speranza di chi non vuole rivedere in campo il portiere-killer, che qualche anno fa in carcere aveva tentato il suicidio, è che il tribunale neghi l’autorizzazione al nuovo impiego. Improbabile, secondo il Poços de Caldas. Che si difende sui social: «Vogliamo solo dargli l’opportunità di riavere una vita normale». Sotto, il commento di un tifoso: «Sì, però così quella povera ragazza viene ammazzata un’altra volta».

bruno fernandes

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