GOD SAVE THE "QUINZI-BOY" – DALLE MARCHE A WIMBLEDON, UN PISCHELLO TRIONFA NEL TORNEO JUNIORES (MA A 17 BECKER VINCEVA QUELLO VERO)

Enrico Sisti per "La Repubblica"

Il campioncino che ancora non può votare (17 anni) viene da vicino ma per farsi le ossa è dovuto andare lontano. E' transitato nella scuola di Nick Bollettieri grazie a una borsa di studio, si è accasato nel gruppo di Edo Infantino a Tandil (zona Del Potro) e ora si allena con Eduardo Medica facendo la spola tra Argentina e Miami: «C'è stato un tempo in cui pensavo solo a vincere e dalla famiglia arrivava più o meno lo stesso messaggio. Poi ho scoperto che si può perdere e che non è tutto questo dramma». Risolto il dramma non dramma ha cominciato a vincere.

«Ma per andare avanti ci vuole il consenso della famiglia ». Uno così non può mantenersi. Nel 2013 ha vinto finora 5.253 dollari, che bastano sì e no per un viaggio tutto compreso. Il problema del tennis è che il 65% dei nomi sul ranking Atp e il 100% delle categorie inferiori non guadagna abbastanza per girare il mondo e giocare i tornei (Future, Challenger, Atp). Dopo tre mesi di stagione c'è chi rischia la bancarotta.

Soldi a parte, se per un momento ci dimentichiamo che alla sua età Becker e Sharapova vincevano Wimbledon fra i senior, a 17 anni Gianluigi Quinzi pare davvero un predestinato. Ha talento, voglia e mezzi fisici in un'età in cui i tre ingredienti sono solitamente acerbi. E' calato nelle dinamiche del tennis moderno: non un lungo alla Raonic ma un robusto atleta da fondo campo pronto a offrirsi al serve & volley. Abituato alla terra, su cui si allena, preferisce i tornei sul cemento. E da ieri sull'erba non si sentirà più un intruso.

Ha uno spontaneo accento marchigiano (è nato a Cittadella ma la famiglia è di base a Porto San Giorgio), è mancino, possiede un solidissimo rovescio bimane e può contare su un servizio in crescita (ieri ha funzionato poco). In finale contro il coreano Chung
(7-5, 7-6) ha vinto giocando meglio dell'avversario i punti decisivi nella giornata più importante della sua vita: si chiama carattere.

La coppa alzata era poco più capiente di un boccale di birra ma l'emozione sarà più lunga di un bevuta al pub, ammesso che lo facciano entrare. Quinzi deve solo augurarsi di sfuggire alla maledizione Bentivoglio/ Nargiso, quello strano sortilegio che colpì, con effetti diversi, gli ultimi due vincitori italiani di uno Slam a livello juniores.

Nel '93 la faentina Bentivoglio vinse lo Us Open a 16 anni e l'anno dopo si ritirò perché tutto quel carosello di servizi, ribattute, palle corte, accordature, coach, attese, docce, viaggi più alberghi, gioie e delusioni, non bastò a cancellare la minaccia del padre: «Non voglio una figlia atleta e ignorante». Diego Nargiso trionfò a Wimbledon nel 1987 ma pagò a caro prezzo quella vittoria: «Sarebbe stato meglio se quel Wimbledon non l'avessi mai vinto». La sua carriera "pro" ebbe più bassi che alti.

Ma Quinzi non sarà né Diego né la Bentivoglio. Né vivrà come tanti tennisti italiani rimasti con un pugno di sabbia al posto della racchetta. A maggio ha vinto il suo 1° torneo "pro" in Marocco. Sono anni che trotta fra speranze, coccole e sudore. E ha imparato a perdere. «Ma quando sono in campo mi sento imbattibile». A gennaio era n. 1 juniores, poi ha sbagliato l'Australian Open, è sceso di condizione e di classifica. Anche fra i ragazzi il tennis è una giungla. E' n. 405 dell'Atp. I "main draw" sono chimere. Tra la battuta e l'auspicio: «Il mio obiettivo è vincere uno Slam». Lui è uno tosto: sa aspettare.

 

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