graffiti cairo

GRAFFITI DEL CAIRO - ABO BAKR, PROFESSORE D’ARTE, NEL 2011, PARTÌ DA LUXOR PER PIAZZA TAHRIR - A DICEMBRE AVEVANO AMMAZZATO ALMENO 40 DIMOSTRANTI, E ABO RISPOSE CON UN ENORME MURALE CHE ORA RISCHIA LA DEMOLIZIONE

Mia Jankowicz per “The Guardian”

 

graffiti a piazza tahrirgraffiti a piazza tahriropera abo bakr al cairoopera abo bakr al cairomurale cairota di alaa awadmurale cairota di alaa awadmurale di abo bakrmurale di abo bakroperai del governo imbiancano mohammed mahmud streetoperai del governo imbiancano mohammed mahmud streetvisitatori a mohammed mahmud streetvisitatori a mohammed mahmud street

Ammar Abo Bakr venne per la rivoluzione e restò per i graffiti. Il professore d’arte, nel gennaio 2011, partì da Luxor per piazza Tahrir, e, armato di bomboletta spray, cominciò a scrivere messaggi sui muri. A dicembre avevano ammazzato almeno 40 dimostranti, la polizia ne aveva accecati ancor di più, e Abo Bakr rispose con un enorme murale che ritraeva dimostranti ciechi, sul muro della “American University in Cairo” (AUC), diventato il posto più iconico della città. Le sue opere complesse, liriche e ambiziose, sono il commento visuale alla rivoluzione egiziana.

 

murale egiziano sulla primavera arabamurale egiziano sulla primavera arabamurale egiziano in memoria della rivoluzionemurale egiziano in memoria della rivoluzione

Ora già mezzo muro è stato buttato giù. La zona del centro va ripulita e ristrutturata, la street art non rientra nel piano di abbellimento, nemmeno il murale di Alaa Awad che ritrae antiche figure egizie in guerra. Nessuno pensa che il graffitismo sia una forma permanente, anche perché da sempre, il giorno dopo l’apparizione di un murale, il governo manda a ripulire le pareti.

il muro di mohammed mahmoud streetil muro di mohammed mahmoud streetmessaggi sul muro di piazza tahrirmessaggi sul muro di piazza tahrirgraffiti a piazza tahrirgraffiti a piazza tahrirdonne del faraone in battaglia di alaa awaddonne del faraone in battaglia di alaa awad

 

Però quel muro ha un forte valore simbolico, è un documento della rivoluzione e andrebbe tutelato. L’università sostiene che l’edificio è fatiscente, un derelitto, va demolito. Al massimo gli scatterà una foto e la esporrà per ricordarlo. Insomma la conservazione non viene considerata, ed è facile immaginare che si tratti una ripulitura ideologica di elementi indesiderati, una strategia deliberata del governo che serve interessi politici. Quel muro è la prova che una rivoluzione c’è stata, è memoria nazionale di una storia recente. Togliendolo, è come se niente fosse successo. 

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