FORMULA HAMILTON: "LAVORO SENZA SOSTA COME SENNA E SCHUMI MA HO UN DEFICIT DI ATTENZIONE. NELLE RIUNIONI CON I TECNICI DOPO MEZZ’ORA NON SEGUO PIÙ, ALLORA DEVO STACCARE" - IL PLURICAMPIONE DEL MONDO DELLA MERCEDES SI CONFESSA: LE LOTTE CON GLI INGEGNERI, LA NOIA DEI TEST (“CI SONO PILOTI CHE AMANO GIRARE IN TONDO TUTTO IL GIORNO. NON LI CAPISCO”), BOTTAS, VETTEL, IL SURF, LA MODA, IL GLAMOUR E LA F1 DEI SOGNI...
Gianluca Gasparini per la Gazzetta dello Sport
Los Angeles e Hollywood, il surf e lo skydiving. L' assidua presenza alle settimane della moda, le collezioni disegnate per Tommy Hilfiger. Le amicizie glamour, i viaggi da una parte all' altra del mondo con l' aereo privato. Lewis Hamilton è anche questo, certo. Ne parlano tutti, fin troppo. Ma Lewis Hamilton è soprattutto uno straordinario pilota, che insieme alla Mercedes sta facendo la storia. Un pezzo di storia, quanto meno.
Spesso lo diamo per scontato, e non è il caso. E allora vale la pena di provare ad analizzare, insieme a lui, un fenomeno in questo momento allo zenith della propria carriera. Mai così forte. Ci sediamo alla sua sinistra e iniziamo l' intervista tirando fuori un foglietto con i tempi sul giro del GP di Spagna del maggio scorso. Guarda incuriosito, cerca di capire. Sono evidenziate le due tornate (53 e 54) successive al rientro ai box della safety-car.
Nella prima ha girato in 1'19"850, il migliore degli altri in 1'21"217. Nella seconda in 1'18"492, chi lo seguiva in 1'21"362. In due giri l' inglese ha rifilato 4"237 a Valtteri Bottas, a parità di monoposto. Un altro pianeta. Prende in mano il foglietto. Sorride, quasi con pudore. Ora ha capito.
Lewis, quei due giri significano che si può fare ancora la differenza in questa F.1 con il solo talento?
«Sì, assolutamente! Si può. O almeno, alcuni possono. Se prepari bene la monoposto, la adatti al tuo stile, puoi tirar fuori qualcosa in più. E a dire la verità negli ultimi due anni è successo che pilotassi un' auto di cui non eravamo contenti, lottando al limite e riuscendo anche a vincere. Non è solo la guida. È il lavoro con gli ingegneri, sistemare l' assetto, la frenata, i rapporti del cambio, come conservi le gomme, come spingi in certe curve e non in altre: tutto si somma nel fine settimana e trova il suo compimento in gara».
In Canada, quando Vettel è rientrato in pista, lei ha preso la decisione giusta in un secondo. Ma lo stesso succede quando deve attaccare, come a Monza l' anno scorso. Cosa la rende così sicuro?
«E' qualcosa di naturale, ma dipende anche dall' esperienza, dall' averci provato: ho fatto un mucchio di errori, sono qui da molto tempo Però succedeva anche da ragazzo, quando ho iniziato con i kart e ne avevo uno usato perché ci mancavano i soldi: ero sempre al limite e dunque dovevo scegliere al volo la miglior soluzione. Ho lavorato anni per avere tutti gli elementi giusti al top: aggressivo o riflessivo quando serve.
E in più sono parte di un team. In Canada con Seb il mio istinto è stato "Dai gas!". Sono un combattente, se ci tocchiamo ci tocchiamo. Ma dietro di me ci sono quasi 2000 persone che dipendono dalla mia decisione: se faccio un incidente perdiamo la gara e sono zero punti in classifica. Scelte di un attimo, in cui inconsciamente però entra tutto».
Che rapporto ha con i suoi tecnici? Vi capita mai di litigare?
«Li sfido ogni giorno. In McLaren era difficile. C' erano cose che volevo, sapevo avrebbero funzionato. Ma all' inizio in squadra c' era Alonso, un due volte campione del mondo, e seguivano lui. Poi sono sempre stato percepito come un pilota giovane. Quando sono arrivato in Mercedes, invece, mi hanno ascoltato tanto. Di sicuro non li ho mai portati sulla strada sbagliata Ho potuto esprimermi su tutto. Quando parlavo con Aldo (Costa, il dt Mercedes fino al 2017; n.d.r. ) e gli dicevo "Perché verniciamo sotto il fondo?
Non serve", la volta successiva avevano cambiato. I contrasti più grandi con i tecnici, in cui restiamo sulle nostre posizioni perché siamo tutti testardi, arrivano quando si fidano troppo dei dati dei computer mentre io traduco le sensazioni da pilota. Ogni tanto serve un po' di lotta per rompere la rigidità, ma quando alla fine riesco a imporre la mia idea e funziona mi piace moltissimo. È una soddisfazione, perché tutti questi ingegneri hanno studiato un sacco e sono super intelligenti. Quando invece ha ragione il pilota e può buttar lì un "te l' avevo detto" è tanto divertente». Il 2019 non è iniziato bene.
Cos' è successo dopo il primo test a Barcellona in febbraio?
«Potete immaginare alla fine della prima giornata, quando sono sceso dall' auto e ho parlato. Ho provato a essere chiaro e conciso però è stata una riunione molto lunga: ho spiegato ogni più piccola sensazione, anche due volte in caso sfuggisse. Ma sono stato costruttivo. Non ho mai detto: "Qui andiamo bene".
Non serviva. Solo: "Qui abbiamo un problema, qui un altro, qui un altro ancora, in quest' area succede questo". Ma è anche vero che dopo i primi giri con una monoposto non sai mai bene com' è, come va, come la senti. È come una relazione umana. Incontri una persona per la prima volta, sembra carina, ma non conosci il carattere e non ti fidi ancora, non sai cosa la rende felice o cosa fa funzionare tutto.Con un' auto è lo stesso: impari qualcosa in quei primi giorni e poi continui per tutto l' anno».
Dopo 13 stagioni nei GP, è possibile annoiarsi certi giorni guidando una F.1?
«A me non piacciono i test, quelli di gomme in particolare.C' è gente che si taglierebbe un braccio per fare il mio mestiere, ma come in tutti i lavori del mondo c' è una parte che col tempo diventa noiosa. Ci sono prove in cui i primi 20 giri sono belli, poi pensi che ne devi fare altri 100 e ti dici "Oh, mamma". Sai già come va la macchina, non c' è competizione, non è il massimo del divertimento. Ai test non sono molto interessato. Primo: non mi diverto.
Secondo: non mi migliora come pilota. Ma in Bahrain, dopo il GP, provavamo qualcosa che avevo segnalato a Barcellona e aveva richiesto un mese per ottenere i pezzi: lì ho girato io, non volevo che un altro valutasse se quella era la direzione giusta. Sfortunatamente è piovuto, così non mi sono sparato i soliti 120 giri Ma ci sono piloti felici di farlo, alcuni amano girare in tondo tutto il giorno. Non li capisco».
Quanto è cambiato come pilota nel tempo?
«Ti evolvi ogni anno perché sono diverse le auto, le piste, le gomme, tutto. La base è quella, da un certo punto di vista sono lo stesso pilota del 2007 quando ho esordito in Formula 1.
Ma aggiungi conoscenza, informazioni e studi te stesso. Ho la stessa velocità pura, naturale, che ho un po' raffinato, ammorbidito se vogliamo. E adatto il mio stile di guida a ciò che serve».
Se dovesse dividere il Lewis Hamilton pilota del 2019 in percentuali: quanto è talento, quanto lavoro e quanto intelligenza tattica?
«Per me il talento contiene l' intelligenza tattica. Poi, se ne hai molto, puoi decidere di lavorare poco o tanto. Senna e Schumacher avevano una grande etica del lavoro ed è il motivo per cui hanno conquistato tanto successo. Io punto a quel tipo di atteggiamento.
Non so tradurlo in percentuale ma in F.1 ho scoperto che, anche vincendo, dovevo lavorare molto. La gente pensa non serva. Anche mio fratello mi dice: "Sei fortunato con quel talento". Ma non basta. Tutto ciò che non si vede, l' allenamento, le riunioni infinte con i tecnici.
In questo sono riservato e non ne parlo spesso, ma ho un deficit di attenzione, dopo mezz' ora arriva un momento in cui non seguo più, non sono concentrato. Allora chiedo uno stop. Prima andavo avanti, stavo lì anche se sapevo che in testa non entrava più niente.
Adesso mi fermo: "Devo andare a fare un giro, devo uscire, fare qualcosa, poi torno". Mi capiscono».
Che relazione ha costruito con il suo compagno Bottas?
«Un rapporto senza negatività. Ci sono piloti che farebbero di tutto per vincere, venderebbero la loro madre per riuscirci. Valtteri vuole solo migliorare e poi puntare al successo.
Quest' anno, a inizio stagione, è tornato più aggressivo e carico.
Sta scoprendo una nuova parte di sé. È bello ma non condiziona la nostra relazione: tra noi non c' è animosità. Il suo arrivo ha aiutato il clima in squadra.E abbiamo gente in gamba che ci guida, ci aiuta. Non c' è un team migliore in F.1».
Tempo fa ha detto che le piacerebbe pilotare monoposto con motore V12 e cambio manuale: è per paragonarsi ad altri fenomeni del passato?
«No, non voglio fare confronti.Siamo tutti unici a modo nostro: non c' è un altro me, non c' è un altro te. Ci sono similitudini però non puoi paragonare musicisti dagli Anni 60 e di oggi, è tutto così diverso. L' umanità è andata avanti, siamo una specie più sofisticata rispetto a l passato. Ma io sono nato negli Anni 80 e vedevo mio padre guidare con il cambio manuale. E' più difficile, lo vorrei per quello.
Oggi abbiamo i motori V6 ibridi e va benissimo, la F.1 sta andando giustamente verso il rispetto per l' ambiente. Ma ho nostalgia del rumore di una volta, mi manca. Non dimenticherò mai quando sono andato a Spa con papà nel 1996 e ho visto Michael Schumacher uscire dalla prima curva: era come al passaggio di un jet a bassa quota. Ho fatto un salto: "Wooooow!". Mi si è bloccato lo stomaco e mi è venuta la pelle d' oca, sono impazzito. Adesso non è così eccitante: il suono è un' emozione. Se esistesse un V12 che non inquina vorrei quel motore, il cambio manuale e la frizione: è la F.1 che ho amato da bambino».
Come si sente alla viglia di Silverstone e come vede il futuro della stagione?
«Mi sento bene. Ho una gran monoposto e una squadra super organizzata. Impariamo sempre più dalla vettura, da come lavora con le gomme: c' è un limite nel potenziale di un' auto e noi cerchiamo di superarlo, ad ogni weekend si comprende qualcosa. Spingi e trovi problemi da risolvere. Fin qui sono molto contento: in qualifica vado forte ma negli ultimi due o tre anni la gara è stato il mio punto di forza».
Si fa ridare il foglietto del GP di Spagna, lo guarda a lungo. «E' interessante che qualcuno l' abbia notato». Sarebbe stato difficile il contrario.
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