JE SUIS CICCIOTTELLO! - PARLA IL DIRETTORE DI ''QS'', SILURATO PER IL TITOLO SULLE OLIMPIONICHE: ''VOLEVAMO DIRE CHE ANCHE LE PERSONE COMUNI POSSONO DIVENTARE ATLETE DI ALTISSIMO LIVELLO. PURE DELL'ARCIERE GALIAZZO AVEVAMO MESSO IN LUCE LA FORMA FISICA 'NON PERFETTA'. MA IN QUEL CASO NESSUNO CI ACCUSÒ DI SESSISMO'' - ALTRO TITOLO INFELICE SULLE ARCIERE: ''VOGLIAMO SOLO TIRARE''
1 - GIUSEPPE TASSI «SÌ, SULLE CICCIOTTELLE HO SBAGLIATO L' AVREI DETTO ANCHE A UN MASCHIO»
Stefania Chiale per il “Corriere della Sera”
Direttore, come vi è venuto in mente quel titolo sulle «cicciottelle»?
«Mi lasci partire dalle scuse, per favore».
Va bene.
«Abbiamo chiesto scusa, sul sito e sul giornale, a chi tra i nostri lettori si è sentito toccato dal termine "cicciottelle" ritenendolo non adatto. Scuse doverose».
Giuseppe Tassi è il direttore di Qs , la testata che gestisce le notizie di sport de Il Resto del Carlino , La Nazione e Il Giorno , e che ieri per quel titolo - «Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico», comparso l' 8 agosto - è stato rimosso dall' incarico dal suo editore. Le «cicciottelle» in questione sono Guendalina Sartori, Lucilla Boari e Claudia Mandia, le atlete che hanno fatto sperare all' Italia una medaglia olimpica nel tiro con l' arco, prima di chiudere in quarta posizione.
Mentre una delle tre, Claudia Mandia, lancia su Facebook l' hashtag #jesuiscicciottello, sui social non si placa la polemica, aperta dalla Federazione Italiana Tiro con l' Arco: «Focalizzare l' attenzione sull' aspetto fisico delle ragazze su un quotidiano che scandalistico non dovrebbe essere è stato davvero di cattivo gusto», ha scritto il presidente Mario Scarzella.
Perché ricorrere all' attributo fisico per descrivere delle atlete?
«Mi creda: non c' era alcuna intenzione discriminatoria o sessista nel titolo. Il termine aveva una connotazione affettiva».
Scusi?
«Siamo partiti da un fatto che chi ha seguito la gara ha sicuramente notato: le tre arciere azzurre hanno un aspetto insolito per delle atlete di livello olimpico. Con questo titolo volevamo rilevare - ripeto, in tono affettuoso - che anche le persone comuni possono diventare delle atlete di altissimo livello».
Ammetterà che l' aggettivo invece poteva apparire dispregiativo, o perlomeno inopportuno…
«Lo abbiamo pensato anche noi: al punto che abbiamo corretto il titolo in seconda edizione. Ci siamo resi conto che poteva urtare la sensibilità di alcune persone».
Perché non correggere prima?
le cicciottelle del tiro con l arco
«È stato un errore dovuto alla concitazione dei tempi di lavorazione e di chiusura del giornale».
Se fossero stati tre arcieri avreste titolato «Il trio dei cicciottelli»?
«Se avessero avuto connotazioni fisiche simili, sì. Ricordo che nel 2012 dell' arciere Marco Galiazzo fu messa in luce la sua forma fisica "non perfetta". L' intento era lo stesso. Ma in quel caso non ci furono accuse di sessismo».
Quelle che invece vi sono piovute addosso dai commenti su Facebook e Twitter...
«I social sono una piazza democratica imprescindibile. Ma gli utenti di queste piattaforme devono maturare: devono rendersi conto che esprimendo giudizi trancianti impegnano se stessi. Ci vogliono senso di autocontrollo e moderazione: le stesse che vengono chieste ai titolisti. La leggerezza di certe espressioni finisce sui social come sulle pagine dei giornali. Ripulire il nostro linguaggio è un traguardo da inseguire, ma senza ipocrisia».
In che senso?
«Parlo del famoso limite del politicamente corretto, che dipende dalla sensibilità delle persone. Ognuno dovrebbe avere misura, anche quando è in disaccordo».
Trent' anni fa una frase del genere avrebbe fatto meno scalpore?
LUCILLA BOARI - CLAUDIA MANDIA - GUENDALINA SARTORI
«Certo. Questi sono i tempi del politicamente corretto e di una maggiore sensibilità. Tutti dobbiamo adeguarci: per questo è stato giusto chiedere scusa. Abbiamo fatto un errore e lo abbiamo ammesso».
2 - QUELLE SUPERDONNE SIMBOLO DI NORMALITÀ: “VOGLIAMO SOLO TIRARE”
Vittorio Macioce per “il Giornale”
Il bersaglio è a settanta metri, colorato, come una bandiera, il giallo al centro, poi il rosso, poi blu, nero e bianco. Da qui non lo puoi vedere, ma ogni colore è diviso da un filo sottile nero. Nel giallo il centro del centro è dieci, sotto è nove. Questo vale anche per gli altri. Il rosso è otto e sette, il blu sei e cinque e così via.
Gwenda si sta allenando. È mattina. L' arco olimpico, questa è la sua disciplina, ha un corpo centrale, il riser, e due flettenti fissati da viti e uniti tra loro da una corda. Il rest è il supporto che sostiene la freccia prima di essere scoccata. È nel clicker però che arciere e arco si riconoscono. È questa lamina di metallo che, scattando, segnala all' arciere se l' arco è stato aperto nella misura da lui scelta, ottenendo per ogni tiro la medesima potenza e il medesimo allungo.
Quel momento devi sentirlo, con tutta te stessa, non è questione solo di occhio o di mira, ma qualcosa di più profondo, che viene da quella che per metafisica viene definita anima. È come lo swing nel golf o la forza per lo jedi, Star Wars naturalmente.
Gwenda deve averlo sentito adesso, lo swing.
Qualcuno prima si è messo a citare Paulo Coelho, non solo perché qui siamo Rio, a casa sua: «Quando l' arciere tende la corda, nel suo arco può vedere il mondo intero. Quando accompagna con lo sguardo il volo della freccia, esso gli si avvicina, lo accarezza e gli consente di provare la sensazione meravigliosa di un compito portato a termine».
L' arciere è il suo senso del dovere. La freccia arriva a destinazione. È nel blu. È un sei.
Gwenda si toglie la benda e si stropiccia gli occhi. Si allena alla cieca.
Mario Scarzella, presidente della federazione, ti guarda e ti fa un segno come a dire: «Hai visto?». Le ragazze hanno perso una medaglia per un tiro che è una rarità, una freccia sul nero. Il 99 cento dei tiri senza benda va nel giallo o di sfiga nel rosso. Paura? «È l' Olimpiade, e qui nel bene o nel male accade di tutto, soprattutto l' improbabile». Qui, più che mai, l' arciere affronta sé stesso fin nelle ultime profondità. «Non si gareggia con gli altri, si gareggia sempre contro se stessi».
Il tiro con l' arco, si sa, è zen.
Se arrivi qui è perché nuoti tutti i santi giorni, per rinforzare le gambe, che ti piantano a terra, e i muscoli dorsali, quelli che flettono l' arco. È fatica. È tenuta. Gli atleti sono un po' come i supereroi, ognuno ha il suo potere magico. Quello dell' arco è la concentrazione assoluta, che non significa isolarsi, ma isolare ogni sensazione, ogni voce, ogni emozione e prendere quella che ti serve per sentire il centro, l' ombelico dell' universo. L' arco ti insegna a non guardare il dito, ma la luna. È essenziale. Non tiene conto della forma. Gli arcieri sono i supereroi della porta accanto.
tiro con arco ai giochi indigeni
Gwenda è Guendalina Sartori ed è il capitano della squadra femminile di tiro con l' arco. Le altre due sono Claudia Mandia e Lucilla Boari. Le polemiche sul «trio delle cicciottelle» le ha spente con un video: «Noi vogliamo solo tirare». Il senso è che gli stolti guardano il dito. Poi è tornata ai suoi superpoteri. Un giorno magari racconterà la vera storia delle «ragazze di fuoco» e dei canti della rivolta.
Questi non sono gli Hunger Games, che comunque assomigliano a altre specialità come l' arco nudo o come l' arco lungo (quello che deriva direttamente da Robin Hood) ma nella vita ti capita comunque di finirci dentro.
Monselice è un borgo di origine longobarda sotto i colli Euganei, in provincia di Padova. A settembre, come ogni anno, ci sarà il palio. Nove contrade si sfidano in gare di origine medievale. Una di queste è l' arco. Gwenda arriva da lì, appartiene a un luogo senza tempo, dove si vola con un pizzico di magia.