MARIJUANA IN CORPORE SANO – IL CASO DI SHA’ CARRI RICHARDSON, LA VELOCISTA STATUNITENSE COSTRETTA A SALTARE LE OLIMPIADI DOPO ESSERE RISULTATA POSITIVA ALLA CANNABIS, HA SCATENATO IL DIBATTITO SULLA REVISIONE SCIENTIFICA DELLA SOSTANZA – L’AGENZIA MODIALE ANTIDOPING HA ANNUNCIATO CHE LA MARIJUANA RIMARRÀ VIETATA NEL 2022 MA CHE POTREBBE NON ESSERLO PIÙ A PARTIRE DALL'ANNO SUCCESSIVO – SONO CIRCA 150 I CASI DI POSITIVITÀ A CANNABINOIDI E LA LISTA DI ATLETI TROVATI IN POSSESSO DI CANNABIS È LUNGHISSIMA, COME AD ESEMPIO MICHAEL PHELPS…
Gianluca Cordella per "il Messaggero"
La Wada innova, la Wada dà scandalo. Dipende dalla vostra posizione sulla cannabis. Di certo la Wada prepara la rivoluzione. Perché il caso di Sha' Carri Richardson, la regina della velocità statunitense costretta a saltare le Olimpiadi dopo essere risultata positiva al Thc - il principio attivo della canapa - ha scatenato il dibattito. Sono umana, si era limitata a twittare l'atleta che aveva ammesso di aver fumato uno spinello perché provata psicologicamente dalla morte della mamma.
E addirittura il presidente americano Joe Biden l'aveva difesa: «le regole sono regole e vanno rispettate. Che poi possano essere cambiate è un altro discorso». Una specie di appello raccolto dall'Agenzia mondiale antidoping, che ha annunciato l'imminente revisione scientifica della sostanza. Che rimarrà ancora vietata nel 2022 ma che potrebbe non esserlo più a partire dall'anno successivo.
Dopo il caso della Richardson (che seguiva a sua volta lo stop dello specialista dei 400 Kahmari Montgomery), molti vip e una buona fetta di politica - oltre a Biden, ovvio - si sono schierati contro una regola considerata superata e non necessaria. Lo stesso presidente della World Athletics, Sebastian Coe, aveva detto che «non sarebbe irragionevole avere una revisione» della norma. Due le direttive di pensiero.
La prima è quella che vacilla sempre di più, quella cioè relativa al miglioramento delle prestazioni sportive che non sembra così scientifico. E poi c'è la seconda, quella sociale, che nasce da un mondo che si sta dimostrando sempre più tollerante verso la marijuana, considerata legale in un numero sempre maggiore di paesi. Per dare un'idea: dallo scorso anno la Nba ha smesso di cercare i residui di cannabis nel sangue e nelle urine dei suoi giocatori.
Avrà pesato anche il fatto che la lista di quelli pizzicati in possesso di cannabis sia diventata negli ultimi anni sempre più lunga. Dagli ex Lakers D'Angelo Russell a Alex Caruso - entrambi fermati in aeroporto di recente con marijuana in valigia - fino all'ex Miami Heat Dion Waiters, collassato su un volo per aver fatto indigestione di orsetti gelatinosi alla cannabis.
Ma resta che ogni anno sono circa 150 i casi di positività a cannabinoidi e che la Wada una certa apertura l'aveva manifestata già non vietando l'uso di marijuana lontano dalle competizioni, come chiesto da qualcuno: «si rischierebbe di violare la privacy». Così le positività valide sono solo quelle accertate dalle 23:59 del giorno precedente alla gara fino alla raccolta del campione relativo alla gara in questione.
BONG
E pensare che proprio un controllo privato - o meglio, una paparazzata - rischiò di compromettere la carriera di Michael Phelps, il nuotatore più forte di tutti i tempi, che venne fotografato a una festa mentre fumava un bong. Ma si era lontani dalle gare, quindi nessuna squalifica per doping. Solo uno stop punitivo di 3 mesi dalla Federnuoto americana e qualche sponsor indignato che andava via sbattendo la porta. Chissà come avrebbero reagito adesso...