"POTEVAMO ESSERE UN TEAM FERRARI. SE MONTEZEMOLO MI AVESSE DATO RETTA..." – IL RIMPIANTO DELL’EX PATRON GIANCARLO MINARDI: “OGGI NELL’ALPHATAURI, CHE È DI PROPRIETÀ DELLA RED BULL, CI SONO ANCORA MECCANICI DELLA MIA EPOCA" – VIAGGIO NELLO STABILIMENTO DI FAENZA DOVE LAVORANO 500 PERSONE (IL 25% DONNE): "IL FUTURO? IL BUDGET CAP CI FARA’ FARE UN BALZO” – E SU GASLY…
«Se venti anni fa l'amico Montezemolo mi avesse dato retta, facendo della mia squadra un team satellite della Ferrari, beh, questa vittoria sarebbe stata ancora più italiana... ».
Giancarlo Minardi ha riconosciuto vecchi amici sotto il podio di Monza. Suoi ex dipendenti intenti a celebrare l'impresa di Pierre Gasly.
«Io ho ceduto il controllo del team ormai quindici anni fa - sospira l'ex costruttore romagnolo -. Oggi nel team, che è di proprietà della Red Bull, ci sono tanti stranieri. Ma ci sono ancora meccanici della mia epoca. Sono molto felice per loro, ne conosco la passione e la dedizione».
E' stata una gara emozionante...
«Sì, si era già capito che in questa stagione, Mercedes a parte, il livello è equilibratissimo. Credo che senza Lewis Hamilton in pista, vedremmo corse sempre molto emozionanti».
Gasly è un potenziale campione?
«Ha qualità e non si è abbattuto quando la Red Bull gli ha tolto il posto accanto a Verstappen per darlo ad Albon. Credo che a Faenza abbia trovato l'ambiente umano giusto. Mi raccontano che si sente molto italiano, ha casa a Milano, è stato bello vederlo sul podio mentre risuonavano le note di Mameli e della Marsigliese».
Gasly potrebbe ripetere la carriera di Vettel, che con la ex Minardi vinse il suo primo Gp nel 2008 sempre a Monza?
«Perché no? C'è una generazione di giovani drivers che sta crescendo in fretta. Anche in F2 si vedono talenti interessanti. Ci divertiremo, in futuro».
Non con la Ferrari, purtroppo.
«Per la Rossa è un brutto momento. Ma passerà. Oggi vanno più piano del mio ex team e ovviamente questo non è normale. Ma ho fiducia, risorgeranno, gli amici di Maranello »
LA FORMULA 1 FATTA IN CASA CHE BATTE I GRANDI ALPHATAURI, STORIA DI UN SOGNO ITALIANO
Stefano Mancini per “la Stampa”
Colpi di gomito e complimenti, tra i corridoi dello stabilimento AlphaTauri è un continuo. Niente abbracci, niente pacche sulle spalle, la gioia ai tempi del Covid è trattenuta da mascherine e distanziamenti. Faenza per una volta ha battuto Maranello (e tutti gli altri), Davide contro Golia di questa striscia di Emilia Romagna che è la motor valley, pardon, la valle dei motori nazionale.
Ferrari e l' ex Toro Rosso corrono in Formula 1, dove non capita spesso che i valori si invertano.
«Abbiamo vinto di nuovo a Monza dodici anni dopo Vettel. Andiamo al Mugello a far vedere di nuovo quanto siamo veloci». Franz Tost tiene carica la squadra. È il team principal dal 2006, solo Christian Horner della sorella maggiore Red Bull ha più anzianità di servizio. È raro vederlo sorridere o alzare la voce, ma i dipendenti giurano che in fabbrica è un' altra persona. Del tipo che alla festa di Natale ha preso una Magnum di champagne e l' ha spruzzato nello stile dei piloti sul podio.
Lo stabilimento dell' AlphaTauri sorge nella zona industriale di Faenza, ingentilita da viali alberati. Vi lavorano 500 persone, metà italiani a prevalenza romagnola, mentre un quarto proviene da 35 Paesi diversi. Le donne sono il 25 per cento, probabilmente un record per la F1. All' ingresso dello stabilimento ci accoglie Otello Valenti, direttore delle risorse umane. «La squadra è quasi tutta al Mugello», si scusa.
Qui si progetta, costruisce e sviluppa una monoposto che negli anni, un pezzo alla volta, è cresciuta fino all' impresa di Pierre Gasly. Il reparto compositi è uno dei più delicati. I fogli di carbonio hanno la consistenza della stoffa prima di essere lavorati pezzo per pezzo fino a diventare quasi indistruttibili: se domenica a Monza Leclerc a 200 chilometri orari si è schiantato contro una barriera senza farsi un graffio, il merito è anche della cellula di sopravvivenza.
La magia è trasformare una specie di tovaglia in un' ala, in una carrozzeria, in una presa d' aria, «e guai a sbagliare - dice Valenti -. Getteremmo via soldi e tempo, oltre a scendere in pista senza dei pezzi studiati e progettati dai nostri tecnici».
Per fare questo lavoro artigianale, sono stati assunti dipendenti della vicina fabbrica di calze della Omsa e artigiani delle ceramiche faentine. Ma l' anima di AlphaTauri è ancora un' altra. È l' impronta data da Giancarlo Minardi, fondatore nel 1980 e in Formula 1 dal 1985 al 2005: la scuola. Una volta, piloti e tecnici ascoltavano i suoi insegnamenti pratici, mentre ora c' è Formula Future, dove studiano e si formano ingegneri neolaureati. «Mercedes e Ferrari vengono a fare la spesa da noi - racconta Valenti -. Sono contento per i ragazzi, però un po' mi dà fastidio che ce li portino via».
La questione piloti è più delicata. Il vivaio a volte si inceppa: dopo Trulli e Fisichella, Alonso e Vettel, Ricciardo e Verstappen, i nuovi vanno in crisi quando vengono promossi al volante dell' ammiraglia Red Bull. È successo a Kvyat, che per un anno è finito fuori dal giro a guidare il simulatore Ferrari, fino al rientro in Toro Rosso. È capitato a Gasly, che ha fatto risultati migliori quando è stato retrocesso.
Sta accadendo ad Albon, travolto dall' esuberanza di Verstappen. A Faenza ricordano la regola di Tost: «Al primo anno è l' auto a portare il pilota. Al secondo anno il pilota comincia a prendere confidenza, ma soltanto al terzo riesce ad andare al limite». Non gli hanno dato retta. Il problema è la fretta. La F1 corre, come è nel suo Dna, ma il metodo Red Bull rischia di diventare un tritacarne in cui, per un Verstappen che diventa fenomeno, si perdono altri talenti. Come passare dalla scuola media all' università.
Sulla festa di Gasly, francese di Rouen, 24 anni, una casa a Milano, trapelano poche notizie. Prevale la tesi innocentista: è un professionista, si sarà comportato bene a meno di una settimana dalla gara al Mugello. Sul podio giurava di non rendersi conto di quanto era successo, tanto che si è fermato lassù in alto, gli occhi fissi nel vuoto a ripassare nella mente i fotogrammi di una gara incredibile.
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Il futuro? «Siamo ottimisti - conclude Valenti -. La Red Bull mette le ali, noi saliamo un pochino alla volta. Ma con il budget cap faremo un balzo: le grandi squadre dovranno tagliare spese e organizzazione, mentre noi andremo avanti con i nostri metodi di lavorazione». Rimane un dubbio: perché il nome AlphaTauri?
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Perché è il nome di una stella rossa nella costellazione del Toro. E perché è il nome di una linea di abbigliamento che punta su materiali nuovi e tecnologici, sostengono gli esperti di marketing. Peccato che, ascoltando l' Inno italiano a Monza, qualcuno abbia pensato all' Alfa Romeo.
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