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SE L’EMOJI DIVENTA ARTE - IL "MOMA" DI NEW YORK HA FATTO ENTRARE NELLA PROPRIA COLLEZIONE 176 SIMBOLI DELLA COMUNICAZIONE SOCIAL - IL CRITICO BONAMI: “MENTRE DAVANTI AD UN PICASSO MOLTI ANCORA SI CHIEDONO COSA AVRÀ VOLUTO DIRE, RICEVENDO UN EMOJI TUTTI SAPPIAMO DI COSA L’ALTRO STA PARLANDO, ANCHE SE MAGARI A VOLTE PREFERIREMMO NON SAPERLO”
Francesco Bonami per la Stampa
Poco tempo fa visitando l' eccezionale biblioteca Malatestiana di Cesena ammiravo un codice miniato diligentemente trascritto dall' amanuense Francesco di Bartolomeo da Figline primo custode della biblioteca alla metà del quindicesimo secolo.
Mi chiedo oggi cosa direbbe il povero frate nel sapere che il Museum of Modern Art di New York ha recentemente fatto entrare nella propria collezione, accanto ai Picasso, Magritte, Mirò e tutto il resto, i 176 «emoji» originali ideati dal giapponese Shigetaka Kurita nel 1999 per l' azienda di telefonia mobile nipponica DoCoMo.
E' davvero affascinate immaginare cosa avrebbe potuto dire un uomo medioevale o rinascimentale che passava la vita a creare un libro dalla preparazione delle pagine di pergamena alla diligente trascrizione dei singoli caratteri accompagnandoli con bellissimi disegni, di un simbolo come l' emoji che esprime nel modo più semplice possibile un emozione, un pensiero, una cosa.
Francesco da Figline potrebbe consolarsi pensando che grandi civiltà come quella cinese o quella egiziana già utilizzavano i loro emoji nella forma degli ideogrammi o in quella dei geroglifici. Tutto torna si potrebbe dire. Anche se molti considereranno scandaloso paragonare un emoji ad un geroflico o ad un ideogramma.
Invece dovremmo essere felici di sapere che l' emoji non fu tanto inventato per banalizzare il linguaggio, ma per facilitare la comunicazione fra individui. I primi emoji, come quelli che oggi si possono vedere esposti all' entrata del Moma, erano in bianco e nero, larghi 12 pixel e lunghi altri 12. Paragonati a quelli di oggi erano veramente rudimentali. Occhi quadrati e bocca rettangolare.
Adesso ce ne sono quasi 2000 di tutti tipi e per tutti i gusti, dalla faccina che ride, più famosa della Gioconda, alla Caaba della Mecca. Il signor Shigetaka Kurita venne fuori con questa sua idea dei simboli per facilitare la comunicazione fra i suoi connazionali per i quali spesso è difficile esprimere le proprie emozioni con le parole.
Se «dillo con un fiore» è il nostro modo occidentale e romantico di comunicare l' amore senza tanti fronzoli così l' emoji fu per i giapponesi il modo di superare la propria timidezza. Il simbolo del cuore non a caso fu ed è il più utilizzato. Prima dei cellulari, se vi ricordate, usavano quegli aggeggi chiamati «pagers». I giovani in Giappone li utilizzavano compulsivamente come oggi tutti usiamo i cellulari.
Quando però la DoCoMo mise sul mercato una nuova versione del Pocket Bell togliendo il simbolo del cuoricino l' uso e le vendite crollarono drammaticamente. Fu allora che Kurita si rese conto che i simboli erano diventati parte essenziale della comunicazione fra le persone. Oggi gli emoji sono il linguaggio usato dal 92% di chi comunica online o con i cellulari.
E' il linguaggio che più velocemente di ogni altro si trasforma. Scrittura fonetica e simboli sono intrecciati sempre di più. Francesco da Figline, ma anche il filosofo Ivan Illich inorridirebbero davanti a queste notizie.
Eppure l' emoji ha rivoluzionato il nostro modo di parlarci tanto che addirittura l' Oxford Dictionary l' ha premiato nel 2015 come parola dell' anno. Il Moma anziché inorridire cavalca giustamente, dando l' esempio, la trasformazione della società, dell' arte e dei suoi simboli. Già nel 2010 aveva acquisito nella collezione di design la chiocciolina @. Ma la questione fondamentale alla fine rimane una sola. Meglio capirsi o non capirsi fra individui? Direi capirsi e sono sicuro che anche il monaco Francesco da Figline sarebbe d' accordo.
Il suo meticoloso e lungo lavoro di trascrizione non aveva altro scopo che raggiungere più persone possibile per diffondere la comprensione del sapere umano. Così, anche se per alcuni di noi può essere deprimente ammetterlo, mentre davanti ad un Picasso molti ancora si chiedono cosa avrà volute dire, ricevendo un emoji tutti sappiamo di cosa d' altro sta parlando, anche se magari a volte preferiremmo non saperlo.