È LUI O NON È LUI? GIOVANNI AGOSTI SI DIMETTE DAL COMITATO SCIENTIFICO DELLA PINACOTECA DI BRERA IN POLEMICA CON IL DIRETTORE JAMES BRADBURNE CHE VUOLE ESPORRE LA TELA “GIUDITTA E OLOFERNE” TROVATA IN FRANCIA MA CHE SECONDO MOLTI CRITICI NON È DI CARAVAGGIO: “QUESTO E’ UN MUSEO NON UNA GALLERIA PRIVATA”
Armando Besio per la Repubblica
Dopo un anno di luna di miele con la città di Milano, James Bradburne, effervescente direttore manager anglo-canadese della Pinacoteca di Brera, uno dei venti insediati ai vertici dei principali musei italiani dalla riforma del ministro Franceschini, ieri ha dovuto incassare il primo schiaffo.
Glielo ha affibbiato Giovanni Agosti, uno dei fuoriclasse della storia dell’arte italiana, professore alla Statale, noto per la finezza delle sue ricerche e della sua scrittura. Agosti si è dimesso dal comitato scientifico di Brera, accusando Bradburne di avere promosso l’esposizione di un quadro di proprietà privata e di incerta attribuzione.
Venendo così meno ai doveri di rigore e prudenza imposti a un museo pubblico. L’opera in questione è la presunta Giuditta e Oloferne di Caravaggio, scoperta due anni fa nella soffitta di una casa di campagna francese e affidata dai proprietari al mercante parigino Eric Turquin. Uscirà per la prima volta dalla Francia il 7 novembre, protagonista di una mostra a Brera, dove sarà affiancata alla Cena in Emmaus della Pinacoteca, questa senza alcun dubbio di Caravaggio, e ad altri quadri caravaggeschi.
Ma è davvero il compito di un museo come Brera quello di lanciare con il nome di Caravaggio un’opera discussa che potrebbe finire sul mercato entro il 2019? Il valore sarebbe di 120 milioni di euro. Lo Stato francese l’ha bloccata per due anni ancora per farla esaminare da un’équipe di studiosi terzi.
Mina Gregori, massima esperta di Caravaggio, aveva rifiutato l’attribuzione. Troppo diversa, a suo giudizio, dalla vera Giuditta di Palazzo Barberini. A Brera la possibile autenticità è rilanciata da Nicola Spinosa, ex soprintendente di Capodimonte, curatore della mostra milanese.
«Proposta irrituale» scrive il dimissionario Agosti in una lettera che comincia con un affettuoso «caro James» ma che procede con tutt’altro tono. Le accuse a Bradburne muovono dall’aver sottoscritto un accordo con privati senza coinvolgere il comitato scientifico. Ci voleva «discrezione maggiore, perché Brera è un museo dello Stato italiano, non una galleria privata né una fondazione bancaria» e «presentare un dipinto nelle sue sale è automaticamente conferirgli una patente di autorevolezza».
Il direttore aveva promesso che «il quadro sarebbe stato esposto in maniera problematica», invece è stato accettato il ricatto dei proprietari che «hanno imposto nel cartellino l’attribuzione a Caravaggio senza punti interrogativi». Agosti riconosce che il dipinto, visto in fotografia, appare di «notevolissima qualità». Ma non è un questione di merito, bensì «di eticacomportamentale e deontologia professionale. Non si devono accettare le imposizioni del prestatore, a maggior ragione se il prestatore è colui che è deputato a vendere il dipinto».
Replica Bradburne: «Il museo è un luogo vivo. Il mio compito non è attribuire, semmai di offrire un’occasione unica di confronto al pubblico e agli studiosi, che potranno osservare questo quadro accanto ad altri che hanno già avuto un’attribuzione certa».
È vero che la proprietà ha preteso un cartellino senza dubbi sull’attribuzione come condizione di prestito, «ma noi abbiamo aggiunto in catalogo, nella didascalia e nei testi esplicativi di sala che “questa attribuzione è condizione posta dalla proprietà e non riflette necessariamente la posizione della Pinacoteca di Brera, del suo Comitato scientifico e del Consiglio di Amministrazione”. E per le spese di assicurazione non pagherà lo Stato, ma uno sponsor». Conclude Bradburne: «Mi spiace per Agosti, ma questa operazione l’ho fatta per aprire il museo al dibattito, in totale trasparenza ».