barbara rose

ANCHE PER L’ARTE PRENDI IL 2020 E METTILO DA PARTE - DOPO GERMANO CELANT E LEA VERGINE, QUEST'ANNO MALEDETTO SI PORTA VIA PURE LA CRITICA BARBARA ROSE - POLIGLOTTA, AMERICANA, OLTRE CHE PROFONDA CONOSCITRICE DELLA SCULTURA ROMANICA, DELL'ARTE MEDIEVALE E DEL BAROCCO, ROSE HA RACCONTATO JACKSON POLLOCK, GEORGIA O' KEEFFEE,  ROBERT RAUSCHENBERG, JASPER JOHNS, ANDY WARHOL, GEORGE SEGAL E CY TWOMBLY

Vincenzo Trione per il “Corriere della Sera

 

barbara rose

È stato un anno maledetto (anche) per la critica d'arte. Dopo Germano Celant e Lea Vergine, nella notte di Natale ci ha lasciato Barbara Rose. Difficile perimetrarne ora la plurale e vitalistica azione intellettuale (nel 1966 e nel 1969 fu insignita dell'Art Criticism Award dal College Art Association of America).

 

In un'epoca non ancora dominata dagli indipendent curator, è stata una convinta sostenitrice del nesso tra storia dell'arte e critica d'arte. Impegnata a saldare indagine filologica, militanza e riflessione teorica, ha inteso la storia dell'arte, per riprendere una fine osservazione di Francesco Arcangeli, «come attività dinamica e discriminante, e fatalmente coincidente con la critica d'arte».

 

barbara rose da giovane

Nata a Washington nel 1936, a lungo assistente di Leo Castelli, formatasi alla Columbia University di New York, allieva di grandi studiosi come Meyer Schapiro e Rudolf Wittkower, Rose aveva una profonda conoscenza della scultura romanica, dell'arte medievale e del Barocco.

 

Sorretta da questa cultura, si era accostata alle avanguardie, senza mai aderire alla fantasmagoria del presente, pensando l'avventura ermeneutica come un gesto «politico», non come una cronaca imparziale e algida.

 

Questa inclinazione non da chierico acquiescente ma da interprete responsabile emerge con forza dalle scelte che Rose aveva fatto come senior curator del Museo dell'University of California e del Museum of Fine Arts di Houston.

 

libro di barbara rose

Ma rivelatori sono soprattutto i suoi studi pionieristici sull'arte statunitense del secondo dopoguerra (pubblicati su riviste di cui è stata editor e corrispondente, come «Art forum», «Art International», «Art in America», «New York Magazine», «Interview», «Vogue America»).

 

In particolare, dopo essersi interrogata sulle «due vie» dell'arte del Novecento (Duchamp e Malevich), Rose ha decifrato le traiettorie dei neo-espressionismi e dei concettualismi. Dunque, i due poli opposti dell'arte d'Oltreoceano: il volto dionisiaco e quello apollineo, il destino e il progetto (per riprendere due figure care a Giulio Carlo Argan).

 

Responsabile della diffusione del termine «Neo-Dada» e creatrice del neologismo «ABC Art», Rose ha raccontato Jackson Pollock, Georgia O' Keeffee, Lee Krasner, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Andy Warhol, George Segal e Cy Twombly e, insieme, ha seguito Donald Judd, Dan Flavin, Robert Morris, Ad Reinhardt, Ellsworth Kelly, Carl Andre.

 

barbara rose con larry poons e frank stella

E, tuttavia, Rose non si è limitata a documentare l'arte dell'American dream. Sempre attenta ad attribuire una notevole centralità all'idea di «lunga durata», ha iscritto quelle profezie visive all'interno di una cartografia più ampia e articolata.

 

In tal senso, illuminanti: il suo libro più fortunato, L'arte americana nel Novecento (1967); e due sue antologie di saggi, Autocritique (1989) e Paradiso americano (edito in Italia da Scheiwiller nel 2008).

 

Approdo di questa filosofia è la mostra Monocromos, curata nel 2004 al Reina Sofía di Madrid, quasi un testamento: un viaggio verso il grado zero della pittura; un percorso mistico attraverso le «iconografie senza icone» dipinte nel Novecento, come una via Crucis suddivisa in stazioni dedicate a specifici colori (dall'oro al bianco). All'origine di queste scritture critiche non ci sono mai stati calcoli né strategie: solo generosità, passione.

 

barbara rose 2

Rose aveva una precisa ambizione: dare voce agli artisti che non sempre riescono a pronunciare le intenzioni sottese alle proprie opere, cercando di svelare al pubblico i misteri sottesi a costruzioni pittoriche e materiche spesso ermetiche.

 

Perciò, dietro le pagine del critico statunitense, in filigrana, si nascondono i suoi incontri, i suoi dialoghi, i suoi amori. Frequentava gli artisti nei loro atelier. Li spiava mentre dipingevano. Li ascoltava. Li difendeva. Li considerava creature superiori e fragili.

 

andy warhol e barbara rose

A lungo ha frequentato Rauschenberg, Twombly, Judd, Morris, Reinhardt, Kelly, Andre: per lei, quelle «leggende» erano innanzitutto amici, compagni di strada. Nel 1961 aveva sposato Frank Stella. Warhol l'aveva filmata in 13 Most Beautiful Women.

 

Un giorno mi raccontò di aver regalato a Warhol un paio di scarpe e a Johns uno dei suoi bersagli. Proprio con Johns ebbe anche una relazione segreta («Ma Jasper non lo dirà mai», ripeteva). Non di rado Rose ha anteposto gli aspetti umani al giudizio critico, occupandosi anche di artisti modesti. È stata, questa, un po' la sua debolezza. Ma lei era così: facile agli innamoramenti intellettuali, pronta a sostenere i più giovani, non temeva di sbagliare.

 

barbara rose libro

Seduttiva, molto bella, animata da un involontario cupio dissolvi, aveva un temperamento nomade. Poliglotta, era sempre in viaggio: si sentiva a casa propria ovunque. Pur restando intimamente americana, trascorreva diversi mesi dell'anno in Europa. Parigi, Madrid. Adorava il nostro Paese. Aveva una piccola tenuta vicino Todi. Conosceva bene gli artisti italiani (stimava soprattutto Nino Longobardi e Roberto Pietrosanti).

 

Nominata tra i vicedirettori dell'Enciclopedia Treccani dell'Arte contemporanea, collaborava con il «Corriere della Sera» e, dal 2011, con il suo supplemento culturale, «la Lettura». «Ho voglia di fare qualche nuova proposta, di ricominciare a scrivere per il "Corriere"», aveva confessato Barbara qualche giorno fa.

barbara rose 3barbara rose 1

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