TOTTI-SPALLETTI, SCONTRO INFINITO – IL 'CORRIERE DELLO SPORT': L'EX CAPITANO RIVELA DI AVER TIFATO LAZIO NELLO 'SPAREGGIO' CHAMPIONS – NEL LIBRO TOTTI ESALTA LIPPI E RACCONTA LE 4 NOTTI PASSATE DA SPALLETTI CON LUI A VILLA STUART DOPO L’OPERAZIONE NEL 2006: "C' È STATO UN MOMENTO NEL QUALE IL MISTER È STATO STRAORDINARIO CON ME, ED È GIUSTO DARGLIENE ATTO" – SPALLETTI: "PRIMA LEGGO IL LIBRO E POI SI FANNO DUE DISCORSI"
Da www.fcinternews.it
Rivelazione del Corriere dello Sport. In questi giorni nei quali stanno uscendo alcune anticipazioni della biografia di Francesco Totti, il quotidiano romano svela un retroscena che la dice lunga sul rapporto ormai logoro tra l'ex capitano giallorosso e Luciano Spalletti: "Totti ha raccontato agli amici di aver tifato Lazio, per la prima volta nella vita, in occasione dello scontro diretto dell’ultima giornata di campionato. Facile intuirne il motivo: l’allenatore dell’Inter era Spalletti, meglio i rivali cittadini in Champions piuttosto", spiega il Corsport.
Il quotidiano romano ricorda come si sia logorato il rapporto tra i due, con riferimenti in particolare alla seconda era vissuta in giallorosso dall'allenatore toscano. "Totti non perdona a Spalletti di averlo accompagnato alla porta attraverso comportamenti che riteneva irriguardosi". Spalletti aveva avuto rassicurazioni dalla dirigenza sul mancato rinnovo dell'allora capitano, che forse poi restò in campo un anno di troppo, vissuto praticamente ai margini del campo.
"Oggi i due si ignorano velenosamente, pur riconoscendosi a vicenda la stima professionale - si legge -. Non risulta si siano incontrati in occasione degli ultimi Roma-Inter, dal momento che nessuno ha cercato l’altro. Spalletti è diventato conciliante, ogni volta che viene sollecitato sul tema in sala stampa, diversamente dai tempi in cui frequentava Trigoria. Ma sa bene che con Totti non potrà esserci mai un’amicizia. Non la vuole neanche lui".
2. IL CRAC E LE LACRIME: COSI’ COMINCIO’ LA CORSA MONDIALE
Anticipazione dell’autobiografia di Totti “Un Capitano” scritta con Paolo Condò pubblicata da "La Gazzetta dello Sport"
Crac. La scalata al titolo mondiale comincia così, con un perone che si spezza, domenica 19 febbraio 2006, pochi minuti dopo l' inizio di Roma-Empoli. […] È il primo anno di Spalletti, dopo un avvio un po' stentato abbiamo preso velocità, siamo reduci da nove vittorie consecutive e nessuno pensa seriamente che loro possano fermarci, anche perché la settimana successiva c' è il derby e vogliamo arrivarci lanciati.
Mi marca Richard Vanigli, che non è un titolare abituale ma nemmeno un ragazzino, eppure gioca con la foga di chi deve conquistare il posto in squadra. Tre falli in cinque minuti, sollecito all' arbitro Messina un cartellino giallo; non perché siano violenti, ma se non metti uno stop non giochi più, ogni intervento è un fischio. Niente, si gira dall' altra parte.
Immagino che l' ammonizione sia soltanto rimandata, devi prenderti un altro calcio, porta pazienza Francesco Va esattamente così, un minuto dopo: 6' del primo tempo e quarto fallo, ammonizione, ma è troppo tardi. Vanigli mi ha colpito da dietro a metà campo. Sarebbe "soltanto" un altro livido se il piede sinistro non si piantasse nel terreno, restando lì mentre il corpo scivola in avanti passandogli sopra. Mi accorgo del disastro dalla "caduta" del piede e allora, per la prima volta nella mia vita, capisco cosa sia il panico.
Un terrore indicibile, la sensazione precisa e raggelante che sia tutto finito. Piango e urlo di tutto a Vanigli, ma questo me l' hanno raccontato dopo perché per un buon minuto perdo la cognizione di quanto mi accade attorno. Sono lì che inveisco per dieci secondi e per altri dieci tengo la faccia a terra, poi ricomincio il ciclo finché Brozzi e Vito e Silio Musa, il fisioterapista, non mi sono addosso, e a loro tre grido: «Me so' rotto tutto». Vedo Vito alzarsi in piedi e agitare le mani in gesti febbrili, penso che ordini il cambio ma Spalletti ha già detto a Montella di spogliarsi, è già operativo. Vito sta semplicemente chiamando l' ambulanza a bordo campo.
Qualcuno mi infila la giacca della tuta, è pur sempre febbraio, e pochi istanti dopo la barella mi deposita in macchina senza troppa delicatezza.
«Presto, presto, a Villa Stuart» grida Vito all' autista, mentre il dottore, appreso dalla clinica che il professor Mariani è nella sua casa di campagna di Anguillara come ogni sabato e domenica, sta cercando di rintracciarlo al cellulare. Per fortuna ci riesce subito, mentre l' ambulanza viaggia a sirene spiegate lungo i tornanti di Monte Mario.
È incredibile come, di quei momenti convulsi, ricordi tutto con implacabile lucidità. La sedia a rotelle che mi attende all' ingresso della clinica, l' orologio digitale che quando entro segna le 15.26 - venti minuti appena dopo l' incidente in campo -, le due ali di infermiere e inservienti che mi scortano discrete fino alla sala delle risonanze, persino il ragazzo che, nel generoso tentativo di darmi un piccolo sollievo, sussurra che Perrotta ha fatto gol, e che stiamo vincendo 1-0. Il piede finisce per un quarto d' ora dentro al macchinario, sono solo nella stanza, chiudo gli occhi cercando di non pensare a niente mentre il ronzio della risonanza magnetica segnala il verdetto in preparazione. Ho ancora addosso i calzoncini da gioco, le cosce sono intrise di erba e sudore, le lacrime si sono asciugate ma mi cola il naso, vorrei tanto farmi una doccia.
Quindici minuti ancora, la macchina si ferma con un ultimo sospiro metallico, le porte della sala si spalancano e Ilary è lì, sconvolta eppure calma.
Ci eravamo salutati al telefono prima del riscaldamento, lei era in macchina con Cristian diretta a Fiumicino perché doveva raggiungere Sanremo per le prove del Festival, che avrebbe presentato di lì a una settimana. Adesso è qui che mi abbraccia, mi bacia e mi dice che Mariani è già arrivato e sta valutando le lastre.
Restiamo lì cinque minuti, mano nella mano, con Cristian fra le braccia della tata.
Provo a frenarmi, ma è il momento in cui pago tutto lo stress: scoppio a piangere, e piango senza ritegno, consolato da mia moglie. Riesco a ricompormi appena in tempo per l' ingresso in scena del professor Mariani, che senza nemmeno dire ciao agita le radiografie e sentenzia: «Dieci minuti e la sala è pronta, ti operiamo subito Francesco, io e Santucci».
[...] «Subito? Non si potrebbe fare domani?». Mariani trasecola.
È un luminare, non è abituato a vedersi contestare le decisioni. Mi parla scandendo le parole, come se fossi un bambino. «Francesco. Ti sei fatto molto male. Andando a spanne sarebbero sette mesi, e il Mondiale è tra meno di quattro. Se vuoi avere una chance, devi guadagnare ogni minuto possibile.» Vorrei dire ancora qualcosa, perché il panico è una frustata che va e viene in pochi secondi mentre la paura - anche di un intervento chirurgico - è un' emozione meno brutale ma più duratura, difficile da scacciare. Però lo sguardo di Ilary mi incenerisce, e capisco che non ci sono sponde, soprattutto fra la gente che mi vuole bene. Imploro soltanto l' anestesia totale, perché se sentissi il professore chiedere all' assistente un trapano morirei direttamente per lo spavento, e alle 16.30 entro in sala operatoria.
[...] Mi risveglio alle 20.30, con un sapore acido in bocca.
[...] «Capitano, abbiamo vinto» grida qualcuno, ed è tutto quel che volevo sentire. Da loro. Per il resto aspetto Mariani, che entra in camera dopo aver negoziato l' allontanamento della folla. «Ti dico subito che puoi farcela. Ti sei rotto il perone e il legamento del collo del piede. L' intervento è durato due ore e un quarto, ti ho inserito una placca con tredici viti che resterà lì per sempre, più la vite sul collo del piede che bloccherà per un mese il legamento e poi andrà rimossa.
La rieducazione sarà lunga, faticosa e anche dolorosa, ma conosco bene il tuo corpo, so che le calcificazioni sono più rapide della norma, per cui mi sento di prometterti che a giugno sarai in grado di giocare delle partite. Non chiedermi come, però, perché i tempi sono davvero stretti e un Mondiale non è uno scherzo, richiede un' efficienza fisica totale. Voglio dire che ci arriverai, ma non so con quanta preparazione alle spalle. Dipenderà molto da te.» Come sempre, penso, ed è la penultima cosa che ricordo prima di un lungo sonno senza sogni.
[...] Quando riapro gli occhi, alle nove del mattino, in camera c' è soltanto mia madre. [] Siamo tornati indietro di venticinque anni e lei, con un sorriso appena accennato, mi posa la mano sulla fronte per sentire il calore e - immagino - spiegare poi all' infermiera di cosa ho bisogno. Mi verrebbe da dirle che mi sono rotto una gamba, mica ho l' influenza, ma trattengo per noi due soltanto questo breve momento di intimità ritrovata. Molto breve, in realtà. Una sagoma compare al di là del vetro, bussa alla porta, e senza attendere risposta entra nella camera. Le nove sono passate da qualche minuto, io non ho ancora fatto caso a come sento il piede, e nella mia stanza c' è già Marcello Lippi. Il commissario tecnico della Nazionale. Il nostro c.t.
«Mister, come sta?» Mi escono soltanto le parole più banali, perché sono sbalordito. Il pensiero si concentra sull' ora in cui Lippi dev' essersi messo in macchina a Viareggio per essere qui alle nove. «Come sto io? Come stai tu, è questo il punto. Chi se ne frega di come sto io. Ciao Francesco, allora, raccontami». Alla fine, considerato il Mondiale e i ritiri per amichevoli e gare di qualificazione, avrò passato con Lippi non più di tre mesi della mia vita. Ma valgono come trent' anni, perché un uomo in grado di capirmi così in profondità, e quindi di prendermi sempre per il verso giusto, anche quando deve darmi una cattiva notizia, non l' ho più incontrato. Almeno nel calcio.
[...]«Francesco, sono venuto a dirti che tu verrai al Mondiale senza se e senza ma. Ieri sera ho parlato con Vito che mi ha dato le prime informazioni, più tardi andrò da Mariani per conoscere la situazione nei dettagli; ma qualsiasi cosa mi dica, tu verrai al Mondiale perché per vincerlo ho bisogno di te, anche al trenta per cento. Mi servi. Ci servi. Non pensare negativo nemmeno per un istante, e fidati della tua capacità di recupero. Sarà un lavoro duro, certo, però io lo vivrò accanto a te.» Siamo abituati a pensare che tutti servano ma nessuno sia indispensabile, una bella massima che ci mantiene umili.
Ma non è di umiltà che ho bisogno quel giorno, disteso su un letto d' ospedale con la gamba in trazione. Al contrario, ho bisogno di sentirmi indispensabile e Lippi - che ha un tocco magico nell' individuare le necessità dei suoi uomini - l' ha percepito al volo, soltanto guardandomi in faccia. Avverto una spinta quasi fisica, nelle sue parole.
[...] Mi giro dall' altra parte nel tentativo di prender sonno, il solito orologio digitale scatta sulle undici, nel silenzio dell' elegante clinica che domina Roma avverto prima uno scalpiccio nel corridoio e poi un bussare trattenuto alla porta, nell' evidente intento di farsi sentire soltanto da me. Al di là del vetro smerigliato c' è un' ombra, dire «Avanti» è un automatismo.
Luciano Spalletti. Le undici di sera, e il mister si introduce di soppiatto nella mia camera.
Ha un pacco abbastanza voluminoso con sé, mi fa segno di tacere con l' indice davanti alla bocca e lo scarta, tirando fuori un cavalletto componibile e un blocco di grandi fogli bianchi.
Come colpito improvvisamente da un dubbio lontano, mentre lo assembla si gira verso di me per chiedere: «Ma stavi dormendo?».«No mister, non riesco proprio a prendere sonno». «Ah! Bene, bene» e riprende il suo lavoro, come rasserenato. Trenta secondi dopo, l' allestimento è pronto. Toglie di tasca un pennarello nero, e comincia. «Adesso, caro Francesco, disegniamo la Roma del prossimo anno. Ti scrivo le varie opzioni, poi studiamo assieme i pro e i contro di ogni giocatore.» Io sono del tutto imbambolato per lo stupore. Lui lo sa, deve averlo previsto, e adesso certamente ci marcia accelerando la preparazione dello strano Monopoli. Scrive tre nomi di portieri, sei di difensori, sei di centrocampisti e cinque di attaccanti. «Cominciamo: scegline uno per ruolo come se non avessimo problemi di budget, quelli li consideriamo poi.»
Per quattro notti resto a Villa Stuart, per quattro notti Spalletti arriva alle undici e se ne va alle tre del mattino. Quel che facciamo, in sostanza, è chiacchierare di calcio: l' analisi dei giocatori che la Roma potrebbe acquistare è ovviamente un pretesto, perché in realtà discutiamo di tutto, dallo stile di gioco delle grandi squadre europee all' assoluta specificità del contesto romano, il più grande sin lì conosciuto da lui, che viene dall' Udinese. E ovviamente anche da me, non avendone mai frequentati altri. Sono quattro nottate lunghe e insieme leggere, nelle quali il mister mi concede grande confidenza e, attraverso il gioco del mercato, mi fa restare con la testa ben dentro alla Roma in un momento nel quale si sarebbe potuta creare una certa distanza, se non altro perché fino ad agosto di giocare per il club non se ne parla. Ho il ricordo di una grande unione fra noi, in quei momenti, persino di affetto, e anni dopo la cosa accentuerà la mia incapacità di comprendere il suo comportamento.
Ma c' è stato un momento nel quale Spalletti è stato straordinario con me, ed è giusto dargliene atto.[] Sono settimane di grande intensità emotiva, perché attorno a me c' è un mondo di persone che spinge perché io ce la faccia, e nitidamente avverto che si comportano così perché mi vogliono bene, non solo perché c' è in ballo per tutti il Mondiale. [] Finché, all' inizio di maggio, il c.t. mi chiama e, con voce asciutta ma un po' emozionata - o almeno così mi pare di percepire - mi pone la domanda che deve: «Francesco, è il momento di comunicare alla Fifa l' elenco dei preconvocati. Posso contare su di te?». Ricordate che da bambino suonavo ai citofoni di via Vetulonia dicendo di essere Gerry Scotti? Ecco, in quel momento penso al famoso «L' accendiamo?» del suo quiz, perché pur nella sua cortesia la domanda di Lippi ha un significato ugualmente ultimativo. Ma io non ho dubbi, l' accendiamo eccome. «Sì mister, ci sono».«Non potevi darmi notizia più bella, Francesco. Ci vediamo a Coverciano».